Pubblicato su”EUROMEDITERRANEO” n. 138 del 16 novembre 2008

 

 

BRINDISI:

IL PORTO PIU’ GRANDE DELL’ADRIATICO

 

Il Ministro delle Infrastrutture Mattioli ha firmato il decreto 178, che assegna alla competenza dell’Autorità Portuale la fascia costiera della zona industriale, che consentirà l’ampliamento del porto di Brindisi fino a Cerano: una vecchia proposta del 1994. La notizia è stata accolta con entusiasmo da parte di alcuni ambienti, ma con preoccupazione in altri. In particolare le popolazioni del territorio a sud di Brindisi, Tuturano, San Pietro Vernotico, Cellino, San Donaci, Torchiarolo, Casalabate, temono ricadute negative per la propria economia e l’ambiente.

 

I timori non sono infondati: il Sole 24 ore, Ambiente Italia e Legambiente nell’indagine annuale sulla sostenibilità urbana collocano Brindisi negli ultimi posti della graduatoria nazionale, all’87a posizione, ultima tra le città pugliesi; e non solo, rispetto alla stessa graduatoria del 2007 Brindisi è sprofondata di ben 18 posti in meno. Inoltre ben 400 ettari della zona Santa Lucia - Cerano sono penalizzati dal divieto assoluto di essere coltivati per l’elevato tasso di inquinamento, secondo l’ordinanza del Sindaco Mennitti.

 

Gran parte dell’area interessata lungo la costa, da Capo Torre Cavallo fino a Torre Mattarelle, è vincolata dalla legge regionale n. 28 del 23 dicembre 2002 , in quanto Parco naturale Regionale “Salina Punta della Contessa”. Con il porto industriale nella baia di Cerano si vorrebbe realizzare la più grande area portuale dell’Adriatico, con infrastrutture per lo scarico di prodotti chimici, merci varie e soprattutto la movimentazione dei combustibili, dal carbone per la centrale Federico II al petrolio, ai prodotti gassosi e inoltre si paventa la realizzazione del rigassificatore per superare l’attuale blocco della costruzione.

 

Per molti è il tentativo del rilancio del porto secondo un piano ben stabilito: traffico passeggeri a Bari, traffico merci e soprattutto carbone a Brindisi. Infatti persino la rampa per il carico e lo scarico delle auto della stazione ferroviaria Brindisi-marittima, esistente da decenni e necessaria per l’intermodalità dei trasporti auto+treno+nave, non esiste più. Con il consenso e senza condizioni del Comune di Brindisi questa è stata spostata e accettata a braccia aperte nel porto di Bari. La rampa consentiva il collegamento ferroviario internazionale Parigi Gare de Lyon – Brindisi marittima e via mare con Patrasso ed Atene. I Comuni della Provincia di Bari sfruttano al meglio le opportunità derivanti dai collegamenti ferroviari, qui, invece, si accetta passivamente ogni richiesta e decisione altrui.

 

Alla luce delle varie esperienze negative del passato si spera che l’ampliamento portuale non si riveli una forma di colonizzazione del territorio da parte dei grandi gruppi economici internazionali, causata dalla scarsa rappresentatività imposta alla politica brindisina. Troppi episodi e troppe vicende si sono verificate per non generare qualche dubbio; basti pensare al tentativo di non candidare alcun rappresentante del capoluogo nelle ultime elezioni politiche, fino all’intenzione di sostituire Francesco Saponaro, unico esponente della provincia di Brindisi, nella Giunta regionale. E poi lo smantellamento dell’Arsenale della Marina Militare (e il paventato trasferimento a Venezia del Reggimento San Marco), il declassamento delle stazioni ferroviarie brindisine, la confusione nella vicenda della sabbia di Punta Penne, la cattiva gestione della sicurezza degli impianti a rischio e dell’inquinamento ambientale e socio-sanitario. Non solo, l’aeroporto di Brindisi, pomposamente indicato “Del Grande Salento” e penalizzato dallo scalo barese, viene ormai difeso a denti stretti solo dalla Confindustria di Brindisi.

 

Il presidente dell’Autorità portuale, Giuseppe Giurgola, fa bene il proprio mestiere ed è naturalmente soddisfatto della decisione del Ministro Mattioli, ma è necessario uno sviluppo armonico dell’intero territorio. Infatti, quali vantaggi deriveranno dall’ampliamento dell’area portuale agli altri settori economici? La grande industria si difende da sola, ma la piccola industria brindisina è da sempre penalizzata: difficoltà di vario genere nell’ampliamento e nell’insediamento di nuovi impianti, ingiusto coinvolgimento nei pesanti oneri per le caratterizzazioni dei terreni inquinati della zona industriale. Il commercio è semidistrutto dai grossi centri commerciali, che stanno prosciugando le risorse locali, provocando la fine del commercio storico. L’agricoltura è in stato fallimentare e l’immigrazione di braccianti a basso costo sta creando disoccupazione tra i lavoratori locali, prossimi ormai a diventare anche loro emigranti.

 

Occorre quindi una guida politica sicura, che con la partecipazione di tutti i soggetti interessati coordini le scelte, i programmi, gli interventi e sappia coniugare lo sviluppo, la crescita economica e la tutela ambientale del territorio; soprattutto sappia salvaguardare il tessuto sociale, ambientale e sanitario della nostra popolazione.

 

VITO MAELLARO