Conferenza 25 Ottobre 2016 - "Rapporti di volo dei piloti della Stazione Aeronautica di Brindisi al rientro da una missione di volo durante la 1^ Guerra Mondiale" - di Gen. Giuseppe Genghi

 

CONSIGLIO PERIFERICO PROVINCIALE

DELLE ASSOCIAZIONI D’ARMA

BRINDISI

 

Oggetto: conferenza del 25 ottobre 2016: “rapporti di volo dei piloti della Stazione Aeronautica di Brindisi al rientro da una missione di volo durante la 1^ guerra Mondiale”.

 

Saluto il Presidente del Rotary Club Brindisi Salvatore MUNAFO’, e le gentili Signore e i gentili Signori presenti.

Prima di entrare nel vivo dell’argomento che ho scelto di trattare, accennerò all’importanza che ha avuto l’utilizzo del mezzo aereo durante la grande guerra.

Fu Giulio Douhet, un Ufficiale Artigliere, nato a Caserta il 30 maggio 1869 e morto a Roma il 14 febbraio 1930, uno dei primi, in Italia, a intravedere le nuove opportunità offerte dall’aereo.

 

L’aereo, per la sua indipendenza dalla superficie terrestre e marina e per la sua velocità di traslazione, si sposta in qualunque direzione con facilità e con una velocità superiore a quella di qualsiasi altro mezzo.

Ne consegue che la sua capacità offensiva è talmente grande da costringere chi si deve difendere a mettere in campo forze di gran lunga superiori.

Già nella guerra di Libia 1911 – 1912 l’Italia impiegò gli aerei con compiti di ricognizione in territorio nemico o per scoprire entità e spostamenti delle forze nemiche. L’aereo venne impiegato anche in missioni di bombardamento con ottimi risultati.

Il 18 ottobre 2012 il trattato di Losanna pose fine alle ostilità ed assicurò all’Italia il possesso dalla Libia e dell’Egeo. 

Nella grande guerra, l’improvviso apparire del nuovo mezzo, non permise di orientare perfettamente le idee, ed all’offesa aerea si tentò, istintivamente ed empiricamente, di contrapporre una difesa contraerea, sia agendo nell’aria, sia agendo da terra; nacquero così le artiglierie contraeree, le squadriglie da difesa e quelle da caccia.

L’esperienza dimostrò che tutti questi mezzi erano incapaci di adempiere realmente alle loro missioni, nonostante che le offensive aeree che vennero svolte durante la grande guerra fossero di scarsa importanza, slegate e condotte senza un chiaro e preciso concetto direttivo.

Per impedire che il nemico potesse impiegare le sue forze aeree non c’era nessun altro mezzo pratico se non quello di distruggere le sue forze aeree impedendogli di volare, ossia di conquistare il dominio dell’aria.

Chi possedeva il dominio dell’aria e disponeva di una adeguata forza offensiva, mentre da un lato preservava tutto il proprio territorio ed il proprio mare dalle offese aeree nemiche e toglieva all’avversario la possibilità di qualsiasi azione ausiliaria aerea, dall’altro si trovava in grado di esercitare sul nemico azioni offensive di un ordine di grandezza terrificante, contro le quali all’avversario non restava alcuna possibilità di reagire.

Fino ad ora ho parlato in genere di mezzi aeronautici, ma poiché in aeronautica i mezzi sono divisi in due grandi categorie: più leggeri e più pesanti dell’aria, cioè dirigibili ed aeroplani, vi dirò che solo la categoria dei più pesanti dell’aria offre aerei utilizzabili a scopi bellici.

 

Ora dobbiamo vedere quale era la situazione nell’Adriatico e in particolare a Brindisi.

 

A Brindisi troviamo la stazione idrovolanti o stazione aeronautica.

Nella stazione aeronautica di Brindisi nel corso della guerra operarono tre aeronavi, meglio conosciute come dirigibili.

Le aeronavi furono impiegate:

  • per operazioni di bombardamento dell’obiettivo da distruggere in relazione ai bisogni del momento bellico e del raggio d’azione dell’aeronave, in modo che esse potessero raggiungerlo con un carico di esplosivo sufficiente allo scopo e a una quota di relativa sicurezza rispetto alle difese.
  • per missioni di esplorazione, di sorveglianza e di scorta di convogli.  

Nel luglio 1916 a Brindisi – zona Casale – iniziarono i lavori per la costruzione di tre hangar in legno e tela tipo inglese, per aeronavi esploratori; i lavori terminarono nel dicembre 1916 per cui subito entrò in servizio l’aeronave (Dirigibile Esploratore) D. E. 5 dotata di 2.000 metri cubi di cubatura, una velocità di 70 Km orari e 600 Kg di peso; questa aeronave operò solo nel primo trimestre del 1917 e compì 41 missioni.

Nel secondo trimestre del 1917 entrò in servizio l’aeronave Dirigibile Esploratore D. E. 6 che operò fino al marzo 1918 e compì 46 missioni.

Nel terzo trimestre del 1917 entrò in servizio l’aeronave Dirigibile Esploratore D. E 8 di uguali caratteristiche delle prime due e compì 42 missioni; fu posta in disarmo nel luglio 2018.

Le missioni di esplorazione compiute dai dirigibili che operavano a Brindisi, consistevano nel controllo periodico delle acque circostanti la piazzaforte di Brindisi, nella sorveglianza della rotta di sicurezza del porto e nella scorta dei convogli eseguita sempre in posizione avanzata.

 

Nel 1918 la squadriglia dei Dirigibili Esploratori venne spostata nell’aeroscalo di San Vito dei Normanni, intitolato a Maurizio GALLO, ritenuto più sicuro dagli attacchi aerei austriaci.

In tutta la Puglia, fin dopo la 1^ guerra Mondiale, oltre all’aeroscalo di Brindisi, esistevano quello di Capo San Vito a Taranto e quello di Otranto, sui quali operavano i Dirigibili Esploratori di fabbricazione inglese acquistati nel 1915 a Londra.Altri due aeroscali erano presenti a Grottaglie con Dirigibili da Bombardamento e a San Severo in provincia di Foggia.

Le aeronavi o dirigibili venivano impiegati anche in missioni di bombardamento come si evince dal rapporto del Comandante dell’Aeronave A 1 Tenente di vascello Marcello Arlotta, sulla missione compiuta il 6 agosto 1918 sulle opere militari di Teodo (Cattaro) diretta dalla Direzione Servizi Aeronautici di Brindisi e voluta dal Comando in Capo dell’Armata del Basso Adriatico.

Dal rapporto dell’Arlotta sulla prima missione si apprende che partì alle ore 20,00.

Sorvolò la costa pugliese fino ad Ostuni e poi attraversò alla quota di 1.000 metri il Mare Adriatico. Avvistata la costa del Montenegro la seguì fino alla rada di Cattaro che trovò illuminata..

Il Comandante Arlotta nel suo rapporto così scrisse: ”Spingo a tutta potenza i quattro motori per vincere un forte vento di maestrale e raggiungere la località di Teodo. Alle ore 1,20 sono già alla quota di 4.500 metri, e sono sulla verticale di Punta Zoliano, estremo NW del bersaglio (opere militari, baraccamenti ed arsenale di Teodo), eseguo il lancio delle bombe. Distinguo nettamente 12 esplosioni entro la zona mirata. I fanali delle navi agli ancoraggi di Kumbor e di Toedo si spengono immediatamente. Dodici proiettori dei quali sei zenitali si accendono ed esplorano il cielo in direzione dell’aeronave senza riuscire ad individuarla. Cinque batterie aprono il fuoco dalle posizioni di Vernak, Teodo, Traste, Obostrok e Krasic. Queste due ultime però cessano il tiro dopo un paio di minuti, le altre, invece, continuano il fuoco di interdizione mentre l’aeronave si allontana verso SW col vento in poppa e con i quattro motori a piena potenza alla quota di 5.000 metri.

Alle ore 1,40 lascio la costa Sud della baia di Traste e dirigo per la rotta del ritorno: i proiettori di Cattaro vengono spenti.Il rapporto del Comandante ARLOTTA, dopo aver descritto l’attraversamento del Canale d’Otranto, il sorvolo dell’aeroscalo di San Vito dei Normanni e l’atterraggio a Grottaglie, termina con queste considerazioni:

“Ritengo che questa prima missione di guerra sia stata un’ottima prova per tutto l’apparecchio: non ho riscontrato alcuna perdita di gas; l’aeronave dopo 13 ore di moto, avendo raggiunto la quota massima di 5.000 metri è rientrato con l’involucro in soddisfacentissime condizioni di forma, i quattro motori hanno funzionato sempre bene, ognuno di essi è stato in moto per la durata di 13 ore delle quali circa 9 a piena potenza (1.400 giri) ho potuto raggiungere l’obiettivo alla quota di 4.550 metri con 960 Kg di bombe senza destare allarme prima del lancio, malgrado la zona montuosa.

 

L’Aeronave “A1” in quella missione percorse in totale Km 540, con un equipaggio di otto persone, un carico di benzina alla partenza di Kg. 1.950 (all’arrivo Kg. 200) e un carico totale alla partenza di Kg. 4.480 (all’arrivo Kg. 1.070).

Il Tenente di vascello Marcello ARLOTTA perse la vita in un’altra missione di bombardamento compiuta contro le installazioni austro – ungariche: a Lui è intitolato l’Aeroporto di Taranto – Grottaglie.

 

Numerose furono le missioni di guerra effettuate da apparecchi partiti dallo scalo di Brindisi.

Mi limiterò a citare solo quella che ritengo la più importante.

Nell’estate del 1917 i bombardamenti aerei su Durazzo si intensificarono in modo costante, non dando mai tregua all’obiettivo attaccato e producendo seri danni agli impianti portuali e aeronautici austriaci.

Non trascorreva giorno in cui il cielo di Durazzo non fosse attraversato da velivoli italiani, i quali, oltre che per azioni offensive, vi si recavano per constatare elementi utili per i successivi bombardamenti che erano effettuati con la partecipazione di sempre più numerosi apparecchi.

Il 16 luglio 1917 il Vice Ammiraglio Cutinelli Rendina, Comandante in Capo dell’Armata, organizzò, partendo dall’aeroscalo di Brindisi, un bombardamento aereo su Durazzo effettuato da 18 idrovolanti con lo scopo di arrecare danno agli hangars degli apparecchi austriaci.

Il Comando della spedizione fu affidato al Capitano di Fregata S. Denti di Piraino, Direttore dei Servizi aeronautici del Basso Adriatico, che al ritorno scrisse il rapporto redatto per il Comando Superiore Navale di Brindisi in cui si legge;

 

hanno preso parte all’azione complessivamente una sola flottiglia di tre squadriglie che erano così formate:

  • squadriglia di Brindisi in tre apparecchi: capo squadriglia il Tenente di Vascello PIEROZZI,
  • squadriglia della Regia Nave “Europa” in cinque apparecchi: Capo squadriglia il Tenente di Vascello Pellegrini,
  • 257^ squadriglia di Valona in 7 apparecchi: Capo Squadriglia Capitano di Fanteria Fabretti.

Il sottoscritto che trovavasi su uno degli apparecchi della squadriglia “Brindisi” (F.B.I. n. 14,) pilotato dal Ten. di Vascello Orazio Pierozzi, si alzò per ultimo.

A una distanza di 20 miglia i velivoli sorvolarono le cacciatorpediniere di scorta, la formazione aerea italiana fu accolta da colpi di cannoni, che fecero capire che l’avvicinarsi della flottiglia era attesa, poiché la difesa aerea era già in funzione…

Il rapporto del Cap. di fregata S. Denti di Piraino, cui era affidata il comando della spedizione e la diretta responsabilità della missione di guerra, così prosegue:

“nel porto non si è notata la presenza di navi da guerra, ma un notevole movimento di traffico. Vi erano due grossi piroscafi ancorati in vicinanza delle ostruzioni: uno più piccolo ancorato fra essi e la terra, ed uno attraccato alla banchina mercantile contornato di maone (la maona è una grossa chiatta portuale che viene usata nello sbarco e nell’imbarco delle merci). Vi erano pure altre piccole imbarcazioni, alcune delle quali a vapore, all’ancora ed in moto in vicinanza della costa. Sui pontili dell’Hangar si trovavano tre apparecchi dei quali uno di dimensioni più piccole, che quando il quinto apparecchio della flottiglia stava compiendo il lancio delle sue bombe, si alzò in volo raggiungendo una quota di circa duemila metri e dopo aver diretto al largo verso le nostre cacciatorpediniere fece ritorno alla base discendendo. Molti dei punti di caduta delle bombe lanciate dalla flottiglia sono indicate nello stato che allego… Sulla via del ritorno, quando la flottiglia giunse quasi sulla verticale delle prime cacciatorpediniere, le squadriglie di Valona accostarono a sinistra per far ritorno alla loro base secondo le istruzioni impartite.

Il funzionamento dei motori è stato ottimo, così come ottimo è stato il funzionamento

Radio Telegrafico e quello della sistemazione fotografica.,

Riassumendo la spedizione di bombardamento sopra Durazzo in forza di 18 apparecchi, i quali tutti sono rientrati alla base dopo aver raggiunto il loro obiettivo di difesa, è la più importante spedizione punitiva d’oltremare che sia stata compiuta dall’inizio della guerra europea.

Esso è stata eguagliata, solo come numero di apparecchi, a quella tedesca ultimamente compiuta contro Londra con idrovolanti di potenza ben maggiore dei nostri F, B. A..

Nell’effettuare il bombardamento si è cercato di arrecare il minor danno possibile all’abitato e alle costruzioni che non avessero carattere militare. Il materiale tutto, motori ed apparecchi, ha ben risposto allo sforzo che gli è stato richiesto, testimoniando così la coscienza che apportano nel loro lavoro le squadre di maestranze ed i meccanici delle sezioni Aeronautiche di Brindisi.

Gli uomini tutti, piloti e osservatori, hanno esattamente compiuto il loro dovere”. 

Prima di concludere questo mio intervento, desidero ricordare tre valorosi piloti che hanno operato presso la Stazione Aeronautica di Brindisi: il Ten. di Vascello Orazio Pierozzi, il Ten. Col. Francesco De Pinedo e il Gen. Brigata Umberto Maddalena.

 

2. Orazio Pierozzi

 

 

Orazio Pierozzi è nato a San Casciano in Val di Pesa (FI) l’8 dicembre 1884 –è stato un ufficiale e aviatore italiano, decorato quattro volte con medaglia d'argento al valor militare. Asso dell'aviazione da caccia, è accreditato di 7 abbattimenti durante la prima guerra mondiale con l’idrovolante Macchi M5 diventando l'ufficiale della marina italiana con il maggior numero di vittorie aeree nel conflitto.

I piloti con almeno cinque vittorie confermate erano classificati “ASSI”.

Gli Assi italiani furono 40, tra questi i primi cinque furono:

  • Maggiore Francesco Baracca con 34 vittorie;
  • Ten. Silvio Scaroni con 26 vittorie;
  • Ten Col. Pier Ruggero PICCIO con 24 vittorie;
  • Ten. Flavio Torello Baracchini con 21 vittorie;
  • Cap. Fulco Ruffo di Calabria con 20 vittorie;

Il Pierozzi morì in mare a seguito di incidente aereo al largo di Trieste il 18 marzo 1919.

Gli venne conferita la medaglia d'oro al valore della Marina.

Alla sua memoria nel 1920 gli fu intitolata la stazione idrovolanti di Brindisi e successivamente l’Aeroporto militare di Brindisi.

A San Casciano in Val di Pesa a lui è intitolata la Piazza principale.

 

2. Francesco De Pinedo

 

 

L'S.55 Santa Maria di De Pinedo a New Orleans

 

Francesco De Pinedo è nato a Napoli il 16 febbraio 1890 da una famiglia di nobili origini, Nel 1908, all'età di 18 anni si arruola nella Regia Marina entrando nell'Accademia Navale di Livorno. Imbarcato su un cacciatorpediniere, partecipa alla Guerra italo-turca del 1911, dove assiste al primo impiego bellico degli aeroplani. Entra a far parte del Servizio Aeronautico della Regia Marina e prende parte alla prima guerra mondiale compiendo missioni di ricognizione, venendo decorato con Croce al merito di guerra.

Nel dopoguerra, compie dei voli dimostrativi raggiungendo l'Olanda e la Turchia, mettendo in mostra capacità organizzative per queste imprese e nel 1923 transita nella Regia Aeronautica (costituita il 28 marzo dello stesso anno), dove in riconoscimento del suo talento viene nominato, pur giovane per l'incarico, Capo di Stato Maggiore del Comando Generale dell’Aeronautica con il grado di tenente colonnello.

Divenne famoso in tutto il mondo per il raid transoceanico:

Sesto Calende (Varese) – Melbourne (Australia) – Tokio (Giappone) – Roma compiuto tra il 20 aprile e il 7 maggio 1925 con un idrovolante Savoia Marchetti 516 ter.

Durante il volo di andata fece scalo anche a Brindisi.

Nel novembre del 1928, con il grado di generale di brigata aerea ebbe l'incarico di Sottocapo di Stato Maggiore con mansioni di Capo di Stato Maggiore di tutta la forza armata.

A seguito di contrasti con Italo Balbo si dimise dall'incarico il 29 agosto 1929 e fu nominato addetto aeronautico in Argentina..

Il 3 settembre 1933, mentre si apprestava a intraprendere un volo in solitaria dalla lunghezza record di 6300 miglia da New York a Baghdad con un monoplano Bellanca, battezzato "Santa Lucia", non riuscì a decollare a causa del sovraccarico di carburante. De Pinedo perse il controllo del velivolo durante la corsa di decollo e urtò la recinzione ai bordi della pista, spezzando le ali. Il pilota sbalzato fuori dell'abitacolo, rimase ucciso nel rogo del carburante fuoriuscito che subito prese fuoco. I funerali si svolsero in forma solenne nella Cattedrale di San Patrizio a New York, e la salma fu rimpatriata in Italia con il transatlantico Vulcania.

A Francesco De Pinedo è intitolato il noto Istituto Tecnico Aeronautico di Stato di Roma, uno dei tre esistenti in Italia (gli altri sono a Forlì e Catania). Sempre a Francesco de Pinedo è dedicato lo scalo portuale di Roma lungo la riva sinistra del Tevere, tra ponte Nenni e Ponte Matteotti. Gli è stato inoltre intitolata una strada della sua città natale, Napoli, confinante con l'aeroporto del capoluogo partenopeo

 

3. UMBERTO MADDALENA

 

Umberto Maddalena, è nato il 14 dicembre 1894 in località "Cao d'sora" (in veneto Capo di sopra), popolosa borgata situata in prossimità dell'argine sinistro del Po, nell'allora Comune di Bottrighe, oggi una frazione di Adria, in provincia di Rovigo.

Arruolato nella Regia Marina conseguì, dopo il Corso di Ufficiale di Complemento, la nomina di Guardiamarina di complemento e fu destinato al naviglio sottile.

In seguito accettò con entusiasmo la proposta dell'ammiraglio Casanova di diventare aviatore, per prestare servizio nell'Aviazione di Marina.

A partire da giugno e fino a settembre 1916 frequentò la Scuola di Volo di Sesto Calende, conseguendo il brevetto di pilota di idrovolante FBA.

Terminato l'addestramento – sempre nel 1916 - venne destinato all'idroscalo di Brindisi, che stava assumendo grande importanza per il controllo del Canale di Otranto. Qui trovò come comandante di squadriglia il tenente di vascello Orazio Pierozzi, suo amico di vecchia data.

Durante la prima guerra mondiale, per i servizi prestati come pilota di idrovolanti della Marina venne insignito di tre Medaglie d'argento al valor militare, una Medaglia di bronzo al valor militare, due Croci di guerra al valor militare oltre a numerosi altri riconoscimenti per il valore e il coraggio dimostrati nelle audaci azioni contro il nemico.

Dopo la fine della guerra decise di rimanere nei ranghi dell'Aviazione di Marina, e nel 1923 transitò nella neocostituita Regia Aeronautica.

Partecipò a numerose missioni a lungo raggio e a numerose crociere aeree volute da Italo Balbo – pilota e Ministro durante il fascismo.

La missione più importante compiuta da Umberto Maddalena fu quella eseguita nel 1928 alla ricerca dei naufraghi del dirigibile Italia, comandato dal Generale Umberto Nobile, dispersi nell'Artico. Maddalena partì da Orbetello con un Savoia-Marchetti S.55 riuscì a trovarli già al secondo volo, grazie alla famosa tenda rossa e compiendo più viaggi per rifornirli di viveri e medicinali, rendendo possibile il loro salvataggio. L'aereo rientrò a Sesto Calende il 30 agosto, dopo aver trascorso due mesi e 20 giorni in ambiente artico.[

Maddalena rimase ucciso il 19 marzo 1931 a causa dell'esplosione in volo del suo S.64 Bis. L'incidente avvenne durante un normale volo di trasferimento da Cinisello Balsamo a Montecelio, da cui sarebbe dovuto partire per conquistare il record mondiale di distanza in volo rettilineo.

 

Nello stesso anno gli venne intitolata l'Opera Nazionale Figli degli Aviatori (ONFA) di Gorizia, poi trasferita a Firenze e a Cadimare ove è ancora funzionante.