Quando il sole dei figli di Brento illuminava la divina Roma

di Aldo Indini

 

Quinto Orazio Flacco,è  considerato uno dei maggiori poeti dell'età antica, nonché maestro di eleganza stilistica e dotato di inusuale ironia.

 

Aveva 28 anni quando, nel 37 a C., compì il viaggio da Roma a Brindisi, impegnato in una missione diplomatica in compagnia, di Gaio Cilnio Mecenate, patrizio romano collaboratore dell’imperatore Augusto, protettore degli artisti e dei letterati latini e da Marco Coccieio Nerva che alla morte di Domiziano fu acclamato imperatore.

 

Ma il viaggio era anche proteso ad incontrare amici letterati e poeti come Eliodoro e Vario, ma principalmente Publio Virgilio Marone che abitava a Brindisi e vi morì il 21 settembre del 19 a C. di ritorno di un viaggio in Grecia, ed a Brindisi aveva completato il suo grande poema L’Eneide.

 

La comitiva impegnò otto giorni per percorrere l’intera via Appia, famosa strada romana che collega Roma a Brindisi, cordone ombelicale che produsse la romanità della nostra città al punto da divenire “Brindisi Municipio di Roma”.

L’esperienza di quel viaggio Orazio la narrò in una satira: “Iter Brundisinum”, ove l’incontro con Virgilio viene descritto così:

“Il giorno seguente veramente gratissimo; infatti  Plozio e Vario e Virgilio accorrono a Sinuessa, anime quali più sincere non ne produce la terra, alle quali nessuno è più attaccato di me. O quanti abbracci e quante manifestazioni di gioia vi furono! Io non potrei paragonare finché sarò sano di mente con un caro amico.”

 

Ora la fantasia si collega con la storia. A Brindisi, Orazio ospite di Virgilio nella sua dimora sul colle delle colonne donate da Silla ed innalzate, come termine della navigazione, in onore di Ercole di cui i brindisini ne vantano la discendenza dal figlio Brento, denominatore della città.

 

Seduti, sulle mura messapiche, che sostengono l’altura delle colonne romane osservano tutto il porto che pullula di imbarcazioni, porto ridotto oggi in un semplice lago, Virgilio indica le “fontanelle”ove le imbarcazioni, con i remi alzati attendono di fare rifornimento di acqua, lido a lui caro “per rinfrescar le membra”, ricordato finanche nell’Eneide.

 

Orazio è attratto dai due seni, quello di ponente ove il sole si perde tra vigneti ed oliveti e quello di levante ove il sole nascente illumina tutte quelle imbarcazioni facendo brillare le lucide armature dei soldati romani.

 

Ed è in quei riflessi e continui movimenti di navi di tutte le dimensioni, che Orazio vede a Brindisi la grandezza di Roma e rivolto al sole nascente, le rammenta:

 

Sole che sorgi libero e giocondo

sui colli nostri i tuoi cavalli doma.

Tu non vedrai nessuna cosa al mondo,

maggior di Roma

 

“Inno a Roma” scritto da Orazio 2043 anni fa venne tradotto nel 1922 da Fausto Salvatori e  musicato da Giacomo Puccini.

 

 

Buon Anno 2014 - Aldo Indini