DON PIETRO DEMITA

DOMENICA 26 FEBBRAIO 2017 - VIII domenica del Tempo Ordinario - Per la Liturgia delle Ore: Quarta Settimana T.O. fino a martedì - Da mercoledì: TEMPO di QUARESIMA - Proprio

Proclamiamo: la prima lettura dal libro del profeta Isaia (Is 49, 14 - 15)

la seconda dalla Prima Lettera ai Corinzi (1 Cor 4, 1 - 5)

il vangelo di Matteo (Mt 6, 24 - 34)

al salmo 62 acclamiamo: Solo in Dio riposa l’anima mia

 

 

Guardate gli uccelli del cielo... osservate i gigli del campo” (Mt 6, 26.28). Gesù ricorre a delle immagini deliziose, poetiche, che per un attimo ci legano al creato e alla sua bellezza. Anche per ciò che è semplice, rimaniamo stupiti. Ma potrebbe durare un attimo. Perché c’è poi bisogno di “scendere” al livello della vita di tutti i giorni: le preoccupazioni quotidiane, gli obiettivi da raggiungere, il ritmo incalzante della giornata. E allora: noi da una parte e il vangelo da un’altra?

 

Guardate… osservate… cercate” ovvero c’è bisogno di uno sguardo più profondo - la confidenza con i brani di questa domenica ci sta allenando ad andare fino al “cuore”: Chi è Colui che “fa” la nostra vita? Spesso siamo fieri nel poter dire: “Ho realizzato tutto questo grazie al mio solo impegno!”. Abbiamo certo bisogno di “fare”, di agire, tenendo presente che Dio è sempre all’opera, Dio sempre agisce. Dal giglio del campo, dall’uccello del cielo la sua benevolenza, la sua cura raggiunge ogni creatura, ciascuno di noi. E Dio agisce anche quando ci sembra in silenzio, indifferente.

 

E’ il Padre che ci fa vivere, e non solo il frutto del nostro lavoro; per cui Gesù ci invita a non affezionarci, a non porre la nostra fiducia (è il significato del termine “mammona) a chi pensiamo essere al nostro servizio proprio mentre ne diventiamo schiavi. Siamo in affanno, in costante preoccupazione ogni qual volta non riusciamo a consegnare il domani e il nostro futuro nelle mani di Dio.

 

Mercoledì inizieremo insieme il tempo forte di Quaresima. Quaranta giorni per rinascere in Cristo nella Pasqua. E in questi giorni abbiamo confermato la MISSIONE GIOVANI per il prossimo mese di ottobre.

 

Buon cammino di Quaresima, dietro il Signore e insieme ai fratelli!

 

 

DOMENICA 29 GENNAIO 2017 - IV domenica del Tempo Ordinario - Per la Liturgia delle Ore: Quarta Settimana T.O.

Proclamiamo: la prima lettura dal profeta Sofonia (Sof 2, 3; , 3, 12 - 13)

la seconda dalla Prima Lettera ai Corinzi (1 Cor 1, 26 - 31)

il vangelo di Matteo (Mt 5, 1 - 12)

al salmo 146 acclamiamo: Beati i poveri in spirito

 

Il monte, i discepoli, la folla… il contesto ricorda quello del dono della Legge a Mosè con il popolo alle pendici del monte Sinai (cfr Es 34). E’ il momento per Gesù della rivelazione, ovvero di “togliere il velo” sul sogno di Dio per l’ “umanità”. E Gesù non lo fa con parole di condanna o con obblighi morali, ma con una dichiarazione tenerissima: “Beati”. Gli occhi del Padre sanno penetrare a fondo, per far sentire amati noi che talvolta ci arrestiamo davanti all’apparenza.

Beati! E Dio non va a guardare il “meglio” che c’è in ciascuno, ma quel desiderio profondo di felicità che accomuna ogni uomo, di cui come ogni Padre desidera essere alleato, non nemico. Ogni vita, anche la più abbruttita, può scoprire un orientamento, un cammino da compiere. Nessuno per Dio è giunto “al capolinea”. Alcuni hanno l’ardire di tradurre “Beati” con “in cammino”, “in piedi” o addirittura “viventi”. Non può essere taciuta l’idea di gioia e di felicità, addirittura di dinamismo.

La pagina delle beatitudini dovrà scandalizzarci sempre, è “un fuoco che non si consuma”: potremmo scegliere di considerarla un bel componimento poetico oppure la strada da percorrere perché l’esistenza cristiana sia - se pur a caro prezzo - una vera e propria opera d’arte.

Possono essere praticabili o sono soltanto una dottrina spirituale? E’ Gesù ad aver vissuto ciò che proclama, a rivelare il percorso di una esistenza umana che lo ha portato alla felicità, alla “beatitudine”. Si, in Gesù è manifesto il volto di Dio che desidera da noi la piena umanizzazione, una felicità realizzata nella misura in cui “ritorniamo umani”.

Lo spirito di povertà, l’afflizione, la mitezza, la misericordia, la fame e la sete di giustizia non sono delle “sventure” o i segni di una arrendevolezza, né Gesù dice che ci avvicinano a Dio - come taluni sostengono della sofferenza. All’interno di questa situazioni c’è un uomo che Dio ama, così come Gesù che ha amato e si è lasciato amare. Gesù è l’uomo delle beatitudini, le compie nella sua vita umana e apre il cammino per noi.

Beato, felice, “vivente” è ogni uomo che è nella carenza e non nel “pieno”: solo così potrà accogliere il Regno di Dio - che è Gesù, il Veniente - e le sue dinamiche.

Lo sguardo oggi si ferma sui malati di lebbra e sulla loro inclusione sociale: il nostro contributo grazie all’acquisto del miele è un segno teso a rompere la logica dell’abbandono e dell’indifferenza.

 

Nella nostra città, nel nostro quartiere sembrano non arrestarsi le rapine agli esercizi commerciali, talvolta innescando ingiustificate proteste nei confronti di chi tutela la legge. Per nessuna ragione si può giustificare un atto violento, da parte di chiunque lo compia. E se c’è sofferenza e delusione per una vita “ai margini” non va fatta di certo “scontare” a coloro che quotidianamente vivono del frutto e della dignità del proprio lavoro.

DOMENICA 22 GENNAIO 2017 - III domenica del Tempo Ordinario - Per la Liturgia delle Ore: Terza Settimana T.O.

Proclamiamo: la prima lettura dal Libro del profeta Isaia  (Is 8, 23 - 9,3)

 la seconda dalla Prima Lettera ai Corinzi (1 Cor 1, 10- 13. 17)

il vangelo di Matteo (Mt 4, 12 - 23)

al salmo 26 acclamiamo: Il Signore è mia luce e mia salvezza

 

 

Lasciare tutto e seguire Gesù: un compito da preti e suore. Che non ci riesce nemmeno bene, a causa dei nostri limiti, dell’attaccamento a persone e beni, a noi stessi in fin dei conti. Ci sarà sempre qualche ordine “mendicante” che farà sul serio e pareggerà… Ma può essere questo l’annuncio di gioia del vangelo? Solo per chi avrà sentito la “chiamata”?

 

Gesù fissa lo sguardo sui primi discepoli (“vide” v. 18.21). Oggi siamo abituati alla selezione - che quando non è contaminata dal compromesso è già una fortuna: in Gesù c’è chi mi ama per quello che sono, anche per le mie nudità e le mie vergogne. Tutto avviene in un luogo non religioso e in un tempo non determinato: il discernimento del passaggio del Signore, l’ascolto della sua Parola, l’avvicinarsi del Regno è tutti i giorni, nel quotidiano. Di solito erano i discepoli a scegliersi il proprio maestro: Gesù ribalta questa consuetudine.

 

“Fare rete” è una espressione molto in voga oggi. Alla base di ogni progettazione e di ogni bando o concorso. Dove c’è un capofila e dei partners. Gesù “farà” dei pescatori. Il “pescatore di uomini” è un chiamato che può sollevare dall’impeto del mare (nella logica evangelica la sintesi di tutti i mali e le disgrazie, il luogo pericoloso per eccellenza) dei fratelli in umanità. “A te che mi hai trovato all’angolo coi pugni chiusi” cantava qualche anno addietro Jovanotti.  Le immagini che in questi giorni seguiamo sul soccorso dei superstiti dell’hotel di Rigopiano ci raccontano di una speranza più forte della sventura. Il nostro pensiero alle vittime di questi drammatici giorni e alle famiglie in diversi modi danneggiate.

 

Spiazza anche la prima parte del brano evangelico, che commenta l’apparire di Gesù dal luogo meno atteso: “Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta” (Gv 7,52) “Da Nazareth può venire qualcosa di buono? (Gv 1, 46). Zabulon e Neftali, regioni poste a settentrione della terra di Giuda, furono le prime ad essere invase e a subire le dominazioni straniere. Un popolo impuro, lontano dai dettami della Legge, diventa la “culla” per il sorgere di una nuova luce. La conversione è ad un Dio che desidera ripartire dall'uomo; capovolge la logica e trasfigura ogni cosa. Il “pescato” abbandonato sulla barca sarà moltiplicato per la numerosa assemblea; la rete sarà quella delle relazioni nuove, superata la fatica della “rottura” con il passato; la barca solcherà il mare per annunciare la novità del Regno… e io ogni giorno scoprirò di essere guardato, chiamato, e potrò rispondere con libertà.

 

 

DOMENICA 18 DICEMBRE 2016 - IV domenica di Avvento - Per la Liturgia delle Ore: Ferie dal 17 al 24 dicembre

 Proclamiamo: la prima lettura dal Libro del profeta Isaia  (Is 7, 10 - 14)

 

 la seconda dalla Lettera di Paolo ai Romani  (Rm 1, 1 - 7)

 

il vangelo di Matteo (Mt 1, 18 - 24)

 

al salmo 23 acclamiamo: Ecco, viene il Signore, re della gloria

 

 

 

Giunge a compimento con questa domenica il tempo di Avvento. Chiamato a farsi spazio tra i preparativi alle Feste, l’Avvento educa le nostre speranze e ci permette le domande fondamentali della nostra vita: Chi aspetto? Con quale sguardo accarezzo i miei giorni?

 

La cronaca ci riporta dei drammi che interessano le nostre famiglie; chi cerca di vivere nella dignità il proprio futuro è spesso ingannato dall’Erode di turno, che approfitta di compromessi e potere. E’ troppo debole la speranza donataci dal Bambino di Betlemme? Lo chiamiamo “Forte”, ma sarà davvero così?

 

La profezia di Isaia non è solo una predizione del futuro, ma la traccia dell’unico ed eterno desiderio di Dio: fare alleanza con l’uomo.

 

Una parola nuova, inedita raggiunge Giuseppe, uomo giusto, e sorgono sentimenti di tenerezza e desiderio di fedeltà alla Legge. Come fare a “licenziare in segreto” la promessa sposa, per salvaguardarla dalla ferocia del giudizio?

 

Sarà la parola donata per mezzo di un angelo a sbloccare non solo le decisioni di quest’uomo, ma soprattutto a dare conferma che ciò che viene da Dio non diminuisce mai l’umano, ma lo esalta. Ogni parola che Dio dona all’uomo - quella profetica, quella per mezzo di angeli  - chiama ad una novità , ad un cambiamento, ad una trasformazione.

 

Nessuna parola pronuncia Giuseppe perché è uomo di ascolto, e sarà lui ad aiutarci per poter “nominare” Gesù, non solo attraverso le labbra, ma nel riconoscimento della sua missione: la salvezza delle nostre vite.

 

La novena con la messa alle ore 6.00 è opportunità per pregare insieme, conoscersi meglio, dedicare al Signore le primizie della giornata.

 

Non bisognerà “rompere” con le tradizioni - riunione familiare, cenone - ma non ci si può accontentare di una commovente preghiera domestica che non impegna, non lega l’annuncio alla vita. Non rinunciamo alla celebrazione della messa, ne abbiamo bisogno.

 

Il Signore custodisca papa Francesco - oggi ottant’anni - e lo benedica.

 

DOMENICA 11 DICEMBRE 2016 - III domenica di Avvento - Per la Liturgia delle Ore: TERZA Settimana - propria

Proclamiamo: la prima lettura dal Libro del profeta Isaia (Is 35, 1- 6a. 8a. 10)

la seconda dalla Lettera di Giacomo (Gc 5, 7 - 10)

il vangelo di Matteo (Mt 11, 2 - 11)

al salmo 145 acclamiamo: Vieni, Signore, a salvarci

 

Schemi mentali, proverbi, consuetudini di solito ci aiutano ad affrontare la vita. Purtroppo diventano molto rigidi e non siamo più disposti a farci sorprendere dalla novità della vita e dalla novità che Dio suscita nella nostra vita. L’esperienza di Giovanni il Battista, descritta in questo testo, è l’esperienza di chi sta mettendo in crisi i suoi schemi mentali, ponendosi almeno un interrogativo. Le cose possono essere differenti da come credo o mi aspetto.

Giovanni Battista non è neppure abituato all’idea di un Dio che gli va incontro, perché ha sempre predicato un Dio che aspetta da noi la conversione. Si sarà sentito messo in crisi dall’atteggiamento e dallo stile di Gesù: come può essere lui il volto di Dio, quel Dio che egli stesso non ha esitato ad annunciare con toni forti?

Mai una soddisfazione, allora: anche quando cerchiamo Dio e ci impegniamo per lui, sembra quasi cadiamo in errore.

Il carcere da cui Giovanni parla evoca per lui la vicinanza del fallimento. E Gesù gli fa sapere che in tanti sono salvati. Non sarà questo il motivo della gioia e di un annuncio differente di Dio? Scoprirsi salvati, guariti. Semplicemente questo. Dalla nostra vita parte la conversione ad un volto nuovo di Dio. Altrimenti anche Gesù rischierà di sembrarci troppo esigente, e la riconciliazione da lui annunciata un miraggio.

Giovanni è “il più grande” dei profeti perché è stato capace di mettersi in discussione, capace di far entrare gli spazi nuovi del Regno nella ristrettezza di una cella. Si può gioire, allora, in una maniera differente, per un motivo differente.

 

Giorni di incontri, di relazioni: ci portino davvero ogni bene nella misura in cui aumenta la nostra disponibilità al confronto e al dialogo. Giorni di novità: la novena del mattino non sia il sacrificio per esigere da Dio, ma una delle tante porte aperte per attendere il suo ritorno. 

DOMENICA 4 DICEMBRE 2016 - II domenica di Avvento - Per la Liturgia delle Ore: SECONDA Settimana - propria

Proclamiamo: la prima lettura dal Libro del profeta Isaia (Is 11, 1 - 10)

la seconda dalla Lettera di Paolo ai Romani (Rom 15, 4 - 9)

il vangelo di Matteo (Mt 3, 1- 12)

al salmo 71 acclamiamo: Vieni, Signore, re di giustizia e di pace

 

Disprezzare”: con questo verbo indichiamo l’azione di colui che riduce l’altro - piuttosto che un oggetto - ad un nulla, o comunque ne diminuisce il valore.

La vita e le parole di Giovanni il Battista sono solenni, austere e carismatiche e potrebbero farci pensare a penitenze e sacrifici. Non sbagliamo strada! Prendere sul serio la vita e il credere, attendere Colui che deve tornare non è questione di poco conto; come per ogni cosa seria della nostra esistenza, per cui richiediamo impegno e non ci lasciamo scoraggiare dalle “salite”.

Si, Giovanni è tutto orientato verso il regno che deve venire, aiutandoci a guardare a fondo nella nostra vita, esortandoci a discernere ciò che impegna le energie del nostro esistere. Il Battista riconosce “il più forte” in mezzo a coloro che gli andavano dietro, definendo se stesso addirittura indegno di esserne discepolo - “non sono degno di portargli i sandali” (v.11).

La conversione è un percorso obbligato per questi giorni di attesa. Da non “ridurre” a qualcosa di astratto, non una messa in pace della coscienza, ancor meno un vanto o una esibizione. Ma un cambiamento di mentalità, da cui far dipendere la “svolta” delle scelte e dell’agire.

Fate un frutto degno di conversione” v.8 ricorda Giovanni, per radicare nel posto giusto la nostra vita. Il popolo andava da lui “confessando i loro peccati” v.6, compiendo questo primo passo. Chi presume di essere salvo e giustificato dalla propria appartenenza e da un certo “immobilismo” riceve le parole più dure! Giovanni stesso sottolinea che lui “battezza nell’acqua” v. 11. Penseremmo che è poca cosa, quasi inutile o inefficace, ma è la logica dei piccoli passi tenendo ben presente la meta: solo così potremmo camminare incontro al Signore che viene.

DOMENICA 27 NOVEMBRE 2016 - I domenica di Avvento - Per la Liturgia delle Ore: PRIMA Settimana - propria

Proclamiamo: la prima lettura dal Libro del profeta Isaia (Is 2, 1 - 5)

la seconda dalla Lettera di Paolo ai Romani (Rom 13, 11 - 14)

il vangelo di Matteo (Mt 24, 37 - 44)

al salmo 121 acclamiamo: Andiamo con gioia incontro al Signore

 

Ci vediamo presto!” è il saluto che ci separa dagli amici; sappiamo che, prima o poi, ci rivedremo. Talvolta quel “presto” dura un po’, e quel “vederci” è compensato da una telefonata o da un sms.

Il tempo di Avvento inaugura l’Anno Liturgico, ed è proprio come un Capodanno: nella chiesa appare la Corona - segno visivo per attendere “nella luce” il Signore; il colore liturgico è il viola (o morello) - incontro tra il rosso e il blu, colori della umanità e della divinità di Cristo; l’attesa delle “feste” può essere occasione di incontri, di accoglienza di tenerezza.

L’ascolto della Parola ci orienta alla venuta ultima e definitiva del Signore, al suo ritorno glorioso così come si proclama in ogni liturgia: “nell’attesa della tua venuta”.

Sono giorni che ci schiudono al futuro di Dio, e vagliano le nostre speranze: siamo figli amati, redenti, destinati alla gloria ; e se il Figlio di Dio ha scelto la nostra natura è per indicarci quali cammini percorrere: quelli della nostra umanizzazione.

Perché è possibile vivere nella “indifferenza”, sembra avvertirci il vangelo. I contemporanei di Noè rimangono insensibili alle strade che Yahveh indicava loro (v. 38-41); e pur compiendo le stesse azioni - due uomini lavorano, due donne macinano - c’è il rischio di considerarle alla stessa maniera - “senza differenza” appunto.

L’invito a vegliare allora non è un avvertimento che impaurisce e minaccia pii e devoti. Ma un serio invito ad essere attenti, evitando la noncuranza - talvolta anche nelle nostre relazioni domina la “sufficienza” - disponibili ad ogni germoglio di futuro che ogni nuovo giorno può offrirci. In effetti, tutto questo “ci stanca”, abbiamo proprio bisogno di vegliare!

L’attesa del ritorno del Signore - un Dio dinamico che si muove, viene verso di noi - come una vera e propria eccedenza di vita, ci ricorda che non possiamo darci la vita da noi stessi - né possiamo farci ingannare da chi la promette e poi ci illude - ma possiamo solo attenderla dal Signore, nostra Vita.

Da poveri, assieme a coloro che la Scrittura e la strada ci fanno incontrare, percorriamo il cammino incontro al Signore.

 

Condividiamo la gioia con i cristiani del quartiere “Minnuta” a Brindisi. Il “sogno” di un dignitoso luogo di culto, dopo tanti sacrifici, è divenuto realtà

DOMENICA 20 NOVEMBRE 2016 - Trentaquattresima settimana del tempo ordinario - GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO - Per la Liturgia delle Ore: SECONDA Settimana

Proclamiamo: la prima lettura dal Secondo Libro di Samuele (2 Sam 5, 1- 3)

la seconda dalla Lettera di Paolo ai Colossesi (Col 1, 12 - 20)

il vangelo di Luca (Lc 23, 35 - 43)

al salmo 121 acclamiamo: Andremo con gioia alla casa del Signore

 

Le parole e i gesti di Gesù sono un canto di lode al Padre: la gloria di Dio è manifestata tra gli uomini! Ma cosa può promettere ormai un condannato a morte, per giunta dal patibolo infame? Se è vero che quelle azioni prodigiose venivano da Dio, perché allora non “sfruttarle” a favore di se stesso?

Salva te stesso!” (v 35.36.39) non è una preoccupazione del popolo per il Maestro condannato, bensì per il proprio modo di credere: chi parla e agisce nel nome di Dio può venire rifiutato fino a questo punto, fino alla morte di croce? E chi dice di andare dietro a lui, non rischia lo stesso?

Solo con queste domande nel cuore la fine dell’esistenza terrena di Gesù getta luce sul fine del suo vivere e morire: il legno della croce sembra legato all’umiltà della nascita, al nascondimento nella casa di Nazareth, alla quotidianità della vita in mezzo a semplici pescatori, alla condivisione della mensa - promessa del dono di sé. Gesù non è salito su un trono preparato dal Padre, ma ha abdicato, ha rinunciato a tutte le forme di potere per incontrare e abbracciare l’umanità di ogni uomo.

La “confessione” del buon ladrone non è l’accusa delle sue colpe, ma il riconoscere che la vita di Gesù è stata veramente “regale”: non ha fatto nulla di male (v. 41). Questo pover’uomo continua ad aver fiducia: Ricordati, ovvero “portami nel tuo cuore”. Sarò pure un malfattore, ma tu, Gesù, non mi fai sentire un suddito, bensì persona da portare nel tuo cuore.

L’esistenza di Gesù è regale e la sua morte gloriosa perché dona salvezza non in un lontano futuro, magari dopo cammini di pentimento e di purificazione, ma già “oggi”. L’evangelista Luca ha cercato di offrire questa verità in tutto il Vangelo: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21)- “Oggi per questa casa è venuta la salvezza” (Lc 19,9).

E’ una esistenza regale quella di Gesù, dall’inizio alla fine, proprio perché orientata da un fine, da un senso: quello della comunione: oggi sarai con me.

Si conclude con questa domenica l’intenso Anno giubilare dedicato alla riscoperta del volto misericordioso di Dio. Continui la nostra preghiera per papa Francesco; e al tempo stesso non disperdiamo la ricchezza di quest’anno che ci ha fatto ravvivare la nostra fede nell’amore di Dio come misericordia.

 

Con la prima domenica di Avvento - domenica prossima - inizierà il nuovo anno pastorale. Il Signore ci prenda ancora per mano.

DOMENICA 13 NOVEMBRE 2016 - Trentatreesima settimana del tempo ordinario - Per la Liturgia delle Ore: PRIMA Settimana

Proclamiamo: la prima lettura dal Libro del profeta Malachia (Ml 3, 19 - 20a)

la seconda dalla Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2 Ts 3, 7 - 12)

il vangelo di Luca (Lc 21, 5 - 19);

al salmo 97 acclamiamo: Il Signore giudicherà il mondo con giustizia

 

Nessuno di noi ama essere considerato per un solo aspetto della sua vita; parlando degli altri cerchiamo sempre di dire: “Ha sicuramente tante altre qualità!”. Avviene così per il vangelo, e soprattutto per il brano odierno. Farlo diventare un testo che genera allarmismi, aumenta paure e distoglie dalla sequela di Gesù è abbastanza semplice. Non cadiamo anche noi in questi inganni!

E’ l’anno liturgico ad orientarci nell’ascolto della Parola, e non gli eventi - alcuni così drammatici - dell’attualità.

Siamo alla conclusione dell’anno della Chiesa, e i testi ci fanno contemplare il giorno del Signore: le domande sul “quando” e sul “come sarà” appartengono ad ogni cristiano, ad ogni uomo cui non basta la tangibilità.

Con la netta affermazione sul tempio che sarà distrutto Gesù non vuole certo demolire i nostri sforzi nell’innalzare segni della presenza di Dio; ma uno sguardo approfondito, altro è necessario. Per questo l’invito a vigilare, a discernere. Proprio quando ci lasciamo “affogare” dagli eventi perdiamo la bussola.

Per due volte Gesù parla di un “prima” (v. 9 e 12); il vangelo non è perciò una descrizione del giorno ultimo, ma bensì del nostro oggi della nostra quotidianità, di una storia reale in cui convivono ambiguità e segni di speranza.

Con un linguaggio cui non siamo abituati, ci viene ricordato che è necessario riconoscere il Signore in un tempo di contraddizioni, ostilità, persecuzioni. Non accade così alla nostra esistenza? Potremmo forse dire che tutto ci è chiaro? E’ la presenza del Signore - nel brano sono “disseminati” degli inviti a non scoraggiarci (v. 9. 15. 18) che ci consente uno sguardo purificato su noi stessi, sul tempo che viviamo, sui fratelli.

 

Non “qualcosa da fare” ci suggerisce il vangelo, ma l’aver fede nello sguardo del Signore che cambia il nostro sguardo

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2016 - Trentaduesima settimana del tempo ordinario - Per la Liturgia delle Ore: QUARTA Settimana

 

Proclamiamo: la prima lettura dal Secondo Libro dei Maccabei (2 Mac 7, 1 - 2.9 - 14)

 

la seconda dalla Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2 Ts 2, 16 - 3, 5)

 

il vangelo di Luca (Lc 20, 27 - 38);

 

al salmo 16 acclamiamo: Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto

 


 

  La Vita di cui Dio è amante (Sap 11,26) e che è stata donata a Zacceo e al centro del brano evangelico proclamato quest’oggi. In una sfumatura che interessa tutti gli uomini, di tutti i tempi: come confrontarsi con l’enigma della morte? Cosa possiamo conoscere del “dopo” la morte? Le continue scosse di terremoto e la condizione degli sfollati aumenta la percezione della nostra fragilità e la ricerca di un punto di riferimento. E non è scontato che le immagini di Dio che ci appartengono racconti quella Vita che il vangelo desidera comunicarci.

 

I sadducei ingrassano le fila dei ricchi; sono conservatori dal punto di vista religioso e in quanto fedelissimi alla Torah (i primi cinque libri della Bibbia che riconoscono come validi) non trovano in essi tracce della verità della resurrezione dei morti. I farisei invece la affermano immaginandola come una riproduzione - in meglio - della realtà presente.

 

Il racconto dei sette fratelli e della moglie, costruito ad arte e alquanto grottesco, mirava a contraddire la possibilità di resurrezione (“Di quali di questi sarà moglie?” v 33). Gesù afferma che la resurrezione è una novità assolutamente radicale, e non può essere proiettato ciò che si vive.

 

Per Gesù l’uomo vive sulla terra una sorta di gestazione, si prepara ad una nuova nascita dopo la quale non ce ne saranno altre, perché il mondo in cui entrerà sarà definitivo.

 

Immagine fortemente suggestiva questa della gestazione, soprattutto se ci fa pensare ai defunti e alla vita nuova, diversa e definitiva che crediamo vivano.

 

La certezza che Gesù comunica agli uomini è che Dio, il vivente per sempre, è fedele alla sua creazione e nel suo amore donerà vita eterna, partecipazione alla sua gloria, compiutezza definitiva, resurrezione nel suo Figlio.

 

DOMENICA 30 OTTOBRE 2016 - Trentunesima settimana del tempo ordinario -  Per la Liturgia delle Ore: Terza Settimana

Proclamiamo: la prima lettura dal Libro della Sapienza (Sap 11,22 - 12,2)

la seconda dalla Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2 Ts 1, 11 - 2, 2)

il vangelo di Luca (Lc 19, 1 - 10);

 

al salmo 144 acclamiamo: Benedirò il tuo nome per sempre, Signore

 

  Il sorriso appare sulle nostre labbra all’ascolto di questo “fatterello” presente in tutti i catechismi per bambini - dal finale ovvio, scontato.

Eppure il racconto dell’incontro del pubblicano Zaccheo con Gesù ci permette una riflessione interessante.

Gesù attraversa Gerico, ultima tappa prima della “salita” a Gerusalemme; l’evangelista sembra quasi registrare soltanto il suo passaggio, la sua presenza. Basta questo per innescare tutta una serie di azioni da parte di Zaccheo, compreso lo stratagemma di salire sul sicomoro. C’è una vera e propria sete di salvezza da parte di colui che è descritto “capo dei pubblicani e ricco” che fa di tutto per “vedere chi era Gesù”. E non c’è altra risposta se non quella di essere guardati (ovvero amati) per primi “alzò lo sguardo”. “Oggi devo rimanere a casa tua”, al banchetto dell’indegno, del lontano - al mio e al tuo quando ci riconosciamo ricercati dal Signore. E per Gesù questa è l’obbedienza al volere del Padre: che ogni uomo sia salvato - secondo quanto ci ricorda il profeta Osea: “Voglio conoscenza di Dio, non sacrifici; voglio misericordia di Dio, non olocausti” Os 6,6. Gli interrogativi, in un mix di sorpresa, delusione e invidia, riguardano sempre gli altri, coloro che - un po’ come me e come te - non riescono a gioire assieme all’altro, a “fare festa e rallegrarsi” per il figlio ritrovato. E il figlio di Abramo che ha aperto le porte al Figlio dell’Uomo riconosce ora la vera identità dei fratelli: uomini a cui va restituita quella dignità “frodata” prima delle tasse ingiuste. La sola presenza del Signore, il suo passaggio attiva il nostro desiderio di essere cercati, amati, ritrovati.

Pellegrini a Roma e Assisi in questi giorni, con il desiderio di essere attratti dal Signore nel segno di Gesù - Porta e dall’incontro con i Santi. Pensierosi per coloro che ancora una volta vedono crollare anni di sacrifici a causa del terremoto. Quella protesta e quell’interrogativo che affiorano sulle nostre labbra si trasformino in intercessione e fattiva condivisione.

 

DOMENICA 23 OTTOBRE 2016

Trentesima settimana del tempo ordinario

Per la Liturgia delle Ore: Seconda Settimana

 

 

 Proclamiamo: la prima lettura dal Libro del Siracide (Sir 35, 15 - 17. 20 - 22)

la seconda dalla Seconda Lettera a Timoteo (2 Tm 4, 6 - 8. 16 - 18)

il vangelo di Luca (Lc 18, 9 - 14);

al salmo 33 acclamiamo: Il povero grida e il Signore lo ascolta

 

Anche questa domenica don Donato ha proclamato il vangelo. Certo, non gli saranno servite le matite colorate, gli evidenziatori fluorescenti, i post-it per segnare le frasi ad effetto.

L’amore per la grazia battesimale, l’identità missionaria e il servizio sacerdotale sono per sempre il suo “carattere”; ora sale in un tempio (cfr Lc 18,10) non fatto da mani d’uomo gridando: Bwana Yesu Criste utuhurumie (“Signore, Gesù Cristo, abbi pietà di me” cfr Mc 11,47), così come faceva nei villaggi della parrocchia di Laisamis annunciando la salvezza del Cristo morto e risorto.

I farisei - come quello incontrato il vangelo - non erano “brutta gente”: educavano alla preghiera, insegnavano i precetti del Signore, aiutavano a praticarli. A differenza dei pubblicani, che anticipavano il pagamento delle tasse ai potenti Romani per poi taglieggiare secondo il proprio piacimento i più deboli (Zaccheo, Matteo erano pubblicani)

E’ il pregare dei due che svela la relazione con Dio. Pur compiendo opere lodevoli, il fariseo rischia di incontrare solo se stesso e i suoi meriti. Parla solo di sé (io digiuno, io pago…). Battendosi il petto - ovvero fa guerra al proprio io: è l’inizio della rinuncia a sé e del decentramento che permette la relazione vera con Dio e con gli altri - il pubblicano porta davanti al Signore i suoi peccati, non nasconde nulla, confidando in una salvezza piena, totale.

Il vangelo non è dato per identificarci nell’uno o nell’altro, ma per gioire di un Dio così scandaloso nella misericordia. Già ci pare strano che non venga premiato colui che non merita. Ancor più, stenteremmo a credere che il fariseo potrà salire ancora al tempio, giungere a chiedere anche lui la benevolenza di Dio...è il Signore che ci aspetta, che ci viene incontro, e mai si stanca.

 

A don Donato è legato il progetto “Un pasto al giorno”: da qualche anno ogni bambino che riceve l’Eucarestia nella nostra parrocchia offre la colazione per un anno intero ad un bambino di Laisamis (Kenya) costringendolo a frequentare la scuola. Sono i piccoli frutti della comunione che mi lega a don Donato...e quando i buoni frutti si condividono, non può che nascere il bene. E Allora GRAZIE a voi tutti, don Donato ci penserà.