Inediti su Brindisi e su Tuturano - di G. Franco Mosco

Uno specifico interesse sull’architettura del Rinascimento della città di Brindisi ed anche al suo territorio con l’antica Frazione Tuturano, viene spesso richiamato in note di arte e di storia di considerevole rilievo nel volume, L’ARCHITETTURA DEL RINASCIMENTO E IL TEMPO DELL’ARTISTA VESPASIANO GENUINO DOPO “LEPANTO” di G.FRANCO MOSCO, Attività edilizie nel Regno e antecedenti figure chiave di riferimento di illustri architetti: MARCHESI, DELL’ACAYA, GONZAGA (IL PREANNUNCIATO FENOMENO DEL GLORIOSO “BAROCCO SALENTINO”).

 

 

Il volume, con copertina e titolo, è stato già inserito nel presente sito dal carissimo Vito Maellaro, di felicissima memoria, volume in cui il nome della città di Brindisi già compare nelle pagine dal primo capitolo, trattando delle maestranze nel settore dell’ingegneria, dell’architettura e della scultura.

 

 

Nel Rinascimento, impegnate nell’agricoltura, nella molitura del grano e delle olive, lavori che mirano solo allo sfruttamento delle masse dei contadini a vantaggio solo dei pochi Nobili, le popolazioni di numerosi piccoli centri del Salento, non riuscendo a coprire altre specialità lavorative e in assenza di forme di artigianato di ogni genere, sono costrette ad importare tecnici e maestranze. Gli appalti che sembrano contesi, ma solo da pochi, provenienti dai grossi centri, prima o poi, vengono assegnati ai soliti costruttori, già citati, presenti sulle piazze di Lecce, città che necessita di molta manodopera a causa dei numerosi cantieri in vita nello stesso periodo, e poi Brindisi, Gallipoli, Alessano, Nardò, Tricase, Galatone, Otranto, Manduria, Grottaglie e Francavilla; nel Salento vige un regime come di monopolio, le ricostruzioni di opere civili e religiose, i risanamenti e potenziamenti delle fortificazioni militari, sono numerosi.

 

 

Quarta di copertina - Non è un libro di storia né di arte, ma un’indagine che si propone di fare maggiore chiarezza sui veri autori, e aiuta a scoprire, e valorizzare nello stesso tempo, quello mal conservato, nascosto negli angoli, visto finora come il retro di una medaglia: quel Salento velato forse anche dal Barocco. Maggiore forza acquistano oggi i continui studi del Rinascimento, sulla vita dell’uomo e sulla sua affermazione con riferimenti alla donna, all’uomo artista e alle grandi opere toscane, romane e del Regno napoletano: si vuole conoscere come si muove la vita anche in questa estrema penisola meridionale. L’attenzione è rivolta all’architettura (scultori e architetti, con riferimenti all’arte del Genio di Michelangelo per la sua influenza già da quando egli è ancora in vita), in un contesto globale che interessa l’intera area del Regno di Napoli nel Rinascimento Italiano ed anche Europeo, delimitato in un periodo di un secolo e mezzo circa, fra gli anni che comprendono la fortificazione di Gallipoli ad opera degli Aragonesi. Si mette in risalto la testimonianza della Gallipoli fortezza alla fine del Quattrocento con mura e castello e la nostra conferma inedita sulla reale conformazione della città, che resterà quella pervenuta a noi oggi, in riferimento agli scritti del conterraneo umanista De Ferraris (Galateo). Si parlerà della venuta dei Genuino nella stessa città fino al 1637, quando il nome del vecchio artefice Vespasiano compare per l’ultima volta, e del modello della Cattedrale. Si percorrerà un itinerario tortuoso che segna alcune tappe significative dell’arte edificatoria e delle varie competenze, dall’ingegneria, all’architettura, alla scultura, attività che, dalla seconda metà del Quattrocento alla prima metà del Seicento, hanno dato vita nell’area del Regno di Napoli, attraverso personaggi, spesso trascurati, poco conosciuti, o indicati con ruoli che a volte ne hanno falsato la loro identità.

 

 

IL PREANNUNCIATO FENOMENO DEL GLORIOSO “BAROCCO SALENTINO”

 

 

Il Barocco, nella scultura e nella pittura del Salento, ha ormai raggiunto su vasta scala l’interesse degli studiosi italiani e stranieri. Singolare fenomeno dell’arte di questa Terra, in particolar modo dell’arte scultorea, si libera oggi da quella usanza non di carattere locale, di vederlo cioè contenuto alla sola facciata di un edificio sacro, così come spesso, dagli anni cinquanta dello scorso secolo, veniva raffigurato in qualche testo scolastico di Storia dell’Arte e oggi viene ricercato, studiato ed ammirato in tutte le sue caratteristiche. La notorietà di questo Barocco, diffuso anche attraverso vari convegni di studio a carattere nazionale, e numerose tesi di laurea di studenti salentini sopratutto, ma anche più lontani, è legata, a nostro avviso, in particolar modo alla mole di flusso turistico che sta interessando questa estrema penisola meridionale, perché il contatto diretto con il singolare fenomeno salentino, crea nuovi stimoli di approfondimento per un’arte italiana, che altrimenti lascerebbe un vuoto incolmabile nello studio della sua storia.

 

 

L’origine del fenomeno di questo “Barocco” è strettamente legata al precedente Periodo Rinascimentale: certamente i disegni relativi alle opere di transizione, quali le leccesi, chiesa di Santa Croce, del Gesù, Della Grazia e S. Irene, la pietra locale, ed in primo luogo la “pietra leccese” (di Cursi per qualità) ed il carparo, hanno rivestito un ruolo notevole, ma vanno considerate, dei precedenti periodi, le qualità artistiche, la fantasia e la creatività dei valenti artefici locali, qualità da individuare già a metà del Cinquecento nel pregevole intaglio all’interno di S. Croce.

 

 

Nel Rinascimento i progettisti sono provenienti in parte dalla capitale del Regno, oppure dai settori artistici degli ordini religiosi che vantano buoni architetti e valenti maestranze. Essi spesso ripropongono modelli già presentati nei centri di loro provenienza, anche se interessati da varianti in verità poco significative: gli artefici salentini, veri scultori della pietra e del legno e bravi pittori, fanno contraddistinguere le proprie opere (per la qualità dei disegni e per l’ornato, come avremo modo di notare in seguito).

 

 

Quando si comincia a respirare un soffio rivoluzionario nella fase culminante del Rinascimento Salentino, in ritardo rispetto ad altre località italiane, dovuto in parte alle numerose incursioni e devastazioni di invasori, di fronte ai progetti dalla linea diritta rinascimentale, gli ornati si presentano già ricchi ed elaborati: é un’espressione del Rinascimento nell’arte di questa terra, basti citare dall’inizio del secolo XVI, nel 1524, i pregevoli intagli delle colonne della cattedrale di Otranto, a cui si farà cenno, o ai raffinati intagli del pregevole coro della cattedrale di Brindisi, e l’evoluzione nella pittura dovuta alle precedenti esperienze bizantine dell’affresco dei locali artefici, ed il loro passaggio alla tecnica della pittura ad olio, una evoluzione che si può rivivere attraverso alcune pagine di una recente monografia su Il pittore Catalano di Gallipoli.

 

 

Un tempo...esisteva il casale di Pozzomauro... citato nei registri del medio evo… Gli unici avanzi di antica architettura nell’interno di Presicce cominciano dalla metà del XVI sec. Raccogliamoli pietosamente, perché essi, anche nella loro miseria, rappresentano il tempo glorioso dell’arte edilizia nella nostra provincia ( Cosimo De Giorgi, 1842-1922).

 

 

Torniamo sulla nostra Città di Brindisi. Insieme a Francesco di Giorgio Martini, nella sistemazione delle fortezze, il Vernole cita anche Giuliano da Sangallo fratello di Antonio il Vecchio, entrambi i maestri del nipote di parte materna, Sangallo il Giovane che, secondo il Filangieri, sarebbe l’autore del nuovo modello di fortezza, ed il Marchesi invece colui a trarne profitto, perché lo avrebbe poi riprogettato. Giuliano da Sangallo, anch’egli insieme al Martini, ha visitato le fortezze pugliesi, ed entrambi, attratti dalle memorie dell’antichità di cui è ricca, non solo la Puglia, ma tutta l’Italia, avranno con entusiasmo effettuato quel viaggio d’ispezione e certamente studiato i nostri interessanti modelli dell’architettura militare, civile e religiosa, medievale, sveva e normanna, il famoso Romanico Normanno Pugliese, oggi vanto della Regione, un’architettura che, in quegli anni che precedono le ricostruzioni rinascimentali e barocche, seguite da quelle dai diffusissimi stucchi settecenteschi, si conservava ancora intatta. (Isabella de Capua, moglie del Duca di Lombardia, Ferrante Gonzaga, di ritorno dal suo viaggio in Italia Meridionale, sul quale ci soffermeremo in seguito, produce il resoconto della vista alle fortezze di Brindisi dopo essersi soffermata ad ammirarne le caratteristiche architettoniche circa le innovazioni e l’adeguamento ai nuovi sistemi bellici: ...ha voluto considerare il porto di Brindisi – scrive il cronista del viaggio Luca Contile (24 agosto 1549) – e quel castello, di sorte che saprà dare ragguaglio a V. Eccellenza di molte cose militari... (cfr. S. PANAREO, La consorte di D. Ferrante Gonzaga in viaggio per la Puglia e il Salento, in Rivista storica salentina, XIII, Lecce, 1921, p. 42, appendice IV). E nell’interessante nota 167: A..S. N., Sommaria, Dispacci, vol. 12 cc.144-145. Lettera datata 13 febbraio 1636 del Preside della Provincia di Lecce al Viceré con relazione dell’ingegnere della Regia Corte Francesco Bischetimi di Gallipoli che è stato il costruttore insieme a Scipione Lachibari, su progetto di sei anni prima dell’architetto Giovan Bernardino Genuino, nei lavori per la ricostruzione della Cattedrale di Gallipoli, sotto la sovrintendenza di Vespasiano Genuino, del quale il Bischetimi sarà stato certamente allievo nella “bottega dell’arte del disegno”, unica di cui si ha notizia, attiva in città negli anni della propria formazione, avendo già appreso direttamente dal padre Angelo l’arte edificatoria, arricchita poi, accanto ai Genuino, dalla loro cultura nel campo dell’architettura. La sua professionalità, che gli ha permesso di redigere la relazione tecnica del ‘36 di cui sopra, dà oggi la possibilità di fare finalmente chiarezza sulle reali caratteristiche della figura del Bischetimi, che spesso è stato erroneamente indicato come il progettista della Cattedrale gallipolina. La fonte archivistica fornisce la certezza che Francesco Bischetimi, oltre ad essere uno dei reali costruttori della Cattedrale, va inserito fra i personaggi di rilievo di Gallipoli del Seicento, perché nel ’36, egli è l’ingegnere della Regia Corte che sovrintende alle fortificazioni delle città di Taranto, Brindisi e Gallipoli. Quindi dell’intera Provincia di Terra D’Otranto, un personaggio attraverso il quale si potrà far luce in quel periodo sui tanti progetti, di cui sono sconosciuti gli autori, nella Provincia ed anche oltre. É verosimile che questo prestigioso ruolo, che Francesco acquisisce nel tempo, sia la possibile motivazione per la quale, erroneamente per anni, è ritenuto anche il progettista del superbo edificio sacro gallipolino, che per la sua realizzazione ha richiesto certamente, al comando delle imprese costruttrici, validissime guide. Ma le motivazioni dell’errore vanno ricercate anche nei notevoli ruoli che i Bischetimi hanno ricoperto nella vita della città, specialmente nel campo religioso. Non meno di quattro dei Bischetimi hanno fatto parte del Clero gallipolino e fra essi Geronimo, figlio di Francesco, Gio: Domenico, (1601 ca. - + 19 febbraio 1676 con sepoltura nella Cattedrale) Parroco della Cattedrale, Giuseppe (1609 ca. - +4 agosto 1674) e Michelangelo (1635 ca. - +primo agosto 1669) (cfr. A. P. C. G. Liber defuntorum, def 1666 usq. Ad 1674, vol. I; Def. 1675 usq. Ad 1681, vol. 2; Libro 3 1682 1701- hodie mihi cras tibi, vol. III). L’eredità dell’eco lasciata da Francesco sarebbe da ricercare quindi fra queste personalità della cattedrale che giornalmente vivevano a contatto dei lavori in corso di completamento, fra l’entusiasmo degli ammiratori che saranno stati certamente numerosi.

 

 

La perizia delle maestranze, e la tendenza che manifestano nell’arte edificatoria e scultorea, descritte nelle pagine dello stesso marchese Genoino, ha certamente delle radici, e queste vanno ricercate in due fattori essenziali: uno, legato all’inizio del XII secolo alla determinante presenza nella città, dei Benedettini del celebre Monastero della SS. Trinità, la cui opera non resta racchiusa in ambito locale ma va estendendosi ad altre regioni con chiese e conventi, frutto di continue donazioni, sparsi su tutto il territorio pugliese, con una forte concentrazione a nord ovest della Terra d’Otranto. L’influenza dei Benedettini cavesi è tale da svilupparsi in breve, ma senza inimicarsi le popolazioni locali, in svariati campi delle arti e della cultura in genere, ivi compreso quello architettonico, che trova una delle espressioni più alte nell’esempio della Cattedrale di Trani, straordinario monumento dell’arte italiana, o nell’esempio di S. Benedetto di Brindisi, uno dei momenti più schietti e slanciati del Romanico salentino: ...snellezza dei pilastri ...capitelli corinzi riccamente scolpiti ...in certo senso imposti dalle abilità tecniche delle maestranze locali le quali intendevano valorizzare la diversa scultura pugliese, ..; l’altro favorito dalla ricchezza del suolo per le particolari caratteristiche della varietà della pietra, come si è detto, con possibilità di scelta, in funzione della tipologia d’impiego.

 

 

Con una nota ritorniamo ancora per maggiori approfondimenti sulle fortezze di Brindisi, nel viaggio di Isabella, una principessa salentina sul ducato lombardo di Milano: Fra i modelli di fortificazioni realizzati dal Gonzaga sulle influenze dirette del Dell’Acaya - si è fatto cenno poco innanzi ai centri campani e salentini ed ai forti legami riconducibili alla Terra salentina – vi è certamente un notevole riferimento a quello della città di Gallipoli, eloquente esempio di evoluzione dei disegni sui progetti del Martini, realizzato come si è detto verosimilmente per primo. Si è quindi di fronte a un interessante modello, innovativo per le successive progettazioni, sotto l’ammirazione specialmente di coloro che sono interessati all’arte della guerra fra cui il Gran Connestabile del Regno, Cesare Gonzaga, primogenito della Contessa di Alessano, Principessa Isabella, un modello che certamente non può sfuggire al Capitan generale dei fanti italiani, al cugino Vespasiano (cfr. S. PANAREO, La consorte di D. Ferrante Gonzaga in viaggio per la Puglia e il Salento, cit., p. 42, appendice IV. Il cronista del viaggio, Luca Contile nel comunicato inviato da Ostuni a D. Ferrante Gonzaga (24 agosto 1549), a cui è già stato fatto cenno, scrive che la Principessa ha voluto considerare il porto di Brindisi e quel Castello, di sorte che saprà dare ragguaglio a V. Eccellenza di molte cose militari...; le fortezze pugliesi, salentine in particolare, importanti esempi militari di difesa in quel periodo, erano modelli che interessavano anche la Lombardia con Ferrante, il risultato, nel caso specifico Brindisi, dello studio ingegneristico congiunto (circa 19 anni prima), di cui si è parlato, fra le migliori autorevoli competenze dell’arte militare nominate dall’imperatore: Francesco Maria della Rovere, Alarcon, e il nostro Gian Giacomo Dell’Acaya. Gallipoli quindi, con il completamento della fase dei lavori da parte del Dell’Acaya, negli anni ‘50 era ormai un validissimo esempio di città fortificata, specialmente per Vespasiano peritissimo nell’arte della guerra, un esempio conosciuto inoltre anche da i non addetti ai lavori attraverso gli scritti del De Ferraris; (cfr. anche immagine fotografica della trabeazione del famoso portale lapideo della Veronica di Mesagne, Brindisi, lavorato dallo scultore F. Bellotto). Non è casuale che la nuova Sabbioneta abbia assunto, tranne che per il reticolo viario, una conformazione riconducibile a quella della Città ionica; non è casuale che le capitali di due contigui ducati, Guastalla e Sabbioneta, siano fatte oggetto, pressoché in sincronia, di veri e propri piani di rifondazione, come dai dubbi espressi da Paolo Carpeggiani nel suo interessante contributo su Sabbioneta. Per i due valorosi giovani coetanei, al servizio di Carlo V nel Viceregno Napoletano, cugini, eredi dei due ducati, Cesare e Vespasiano, sotto la guida del Cardinale Ercole, è necessaria anche una programmazione del loro futuro. La madre di Cesare, la Principessa salentina sul Ducato di Milano, di ritorno dal suo viaggio per la Puglia e per il Salento, proprio nel ’49, quando l’architetto Domenico Giunti è per redigere il progetto di radicale rinnovamento di Guastalla, produce, come già anticipato in precedenza, il resoconto della visita alle fortezze di Brindisi, dopo essersi soffermata ad ammirarne le caratteristiche architettoniche circa le innovazioni e l’adeguamento ai nuovi sistemi bellici. La Principessa, che da Milano, nuova sede del consorte Ferrante, attraversa l’intera Penisola fino a Santa Maria di Leuca (devota alla Vergine in quel Santuario sin dalla fanciullezza), avrà certamente fra il suo nutrito seguito, disegnatori ed esperti del settore, non esclusi forse i due coetanei giovani, non ancora ventenni, dalla specifica formazione nel campo difensivo. Poter individuare la presenza delle prestigiose figure dei due principini, attraverso la testimonianza degli intagli lapidei sul Portale della Veronica di Mesagne (per i dettagli cfr. note del testo), nelle figure (una coronata) di uomini dagli abiti nobili della brigata, al seguito della Principessa, durante l’ingresso trionfale del suo carro nella cittadina brindisina, sarebbe per noi una valida conferma della loro partecipazione alla vita salentina, come sarà più tardi per Andrea. E’ necessario quindi ricercare i motivi della sospensione e mancata attuazione del progetto di rinnovamento di Guastalla, redatto dal Giunti, nelle notizie inviate dal cronista Contile a Ferrante proprio in quell’agosto del ’49 sullo studio del complesso e imponente sistema difensivo di Brindisi (per il sistema difensivo brindisino si rimanda al prezioso contributo di F. Paolo Tarantino dell’edizione del 1981 ampiamente illustrata).

 

 

E la città di Brindisi ricorre ancora nel sistema della rete viaria.

 

 

A proposito dei trasporti legati al porto ed ai battelli, non spiace in questa sede richiamare l’episodio del trasporto via mare di un prezioso carico, una straordinaria opera (1630) proprio di Vespasiano Genuino, un’opera che Amilcare Foscarini erroneamente assegna ad altro Genuino della stessa famiglia, forse dopo il 1725, ma si concorda invece con l’ormai consolidata attribuzione (1988) al Nostro. Il trasporto è descritto nel 1745 da un anonimo di Martina Franca: [nella Collegiata] vi è… un’immagine di Gesù Cristo alla colonna di ammiranda scultura tenuta in molta stima, questa statua l’anno 1630 fu lavorata in Gallipoli dallo scultore Giacomo [Vespasiano] Genovini a spessa di Ottavio Di Giuseppe, e trasportandosi per mare andava innanzi la barca come scorta bianchissima una nube che l’accompagnò fino al ponte di Taranto, [il vecchio ponte di pietra], per tali segni portentosi i tarentini arrestarono la statua per averla nella cattedrale, ma accorso il Di Giuseppe se la fè restituire, e così fu condotta in Martina, questa statua ora si tiene dagli Stabili in chiesa con cappella di marmo fatta parte a conto del vescovo di Venafra e parte a spesa di sua casa….

 

 

Esisteva quindi una vera e propria rete viaria e venivano valutate di volta in volta le varie problematiche, privilegiando, tranne nei mesi invernali come pocanzi accennato, le rotte del trasporto marittimo, anche con carichi a collettame, e in mancanza del viaggio diretto via mare per Napoli, si sceglievano alternative come l’esempio del trasporto del Crocifisso di Rutigliano di cui tratteremo più avanti: è verosimile la partenza dal porto di Gallipoli fino a quello di Brindisi e proseguimento del viaggio per via rotabile su vettura trainata da animali, sfruttando il sistema viario esistente. Attraverso le carte geografiche delle Province monastiche dei frati minori cappuccini di Puglia e Basilicata, possiamo ricostruire il percorso che da Brindisi portava a Napoli per imbarcarsi poi, sempre secondo il caso del trasporto del Crocifisso, alla volta di Barcellona, città ben collegata alla nostra capitale del Regno. E Vespasiano da Brindisi avrebbe percorso, anziché la via Appia che passava per Taranto, quella alternativa ad essa, la Appia-Traiana che lungo la costa adriatica saliva fino a Bari. Ma, appena dopo Egnazia (antica città di cui oggi restano solo le rovine), ancora prima di Bari, avrebbe deviato verso l’interno per Rutigliano per trascorrervi la notte nel convento dei Cappuccini, forse perché conosciuto dai frati dell’Ordine, per il quale aveva già eseguito delle opere, o perché lo stesso convento costituiva per quella via uno dei mansiones (alberghi di riposo) e mutaziones (stazioni per cambiare e rifocillare i cavalli).

 

Al paragrafo 4 del volume fra le attività di Gallipoli dal titolo - Attività edilizie nell’area di San Nicola del Porto prima e dopo le fortificazioni - coincidono le prime attività dei Genuino nella città di Gallipoli e nel Salento, ed essi, che già nel ’42 operano in quell’area con bottega d’arte - provenienti come i Della Monica da Cava dei Tirreni - fanno certamente parte della schiera di artefici legati alla Corte di Napoli perché Gallipoli nella Provincia, insieme a Lecce, Brindisi, Taranto e Otranto, è città demaniale. Quindi la bottega di questi artefici a Gallipoli è certamente in zona l’unico centro di riferimento dell’arte del disegno del Rinascimento e come si gradirebbe secondo la disposizione de la Maestà Cesarea al ...magnifico Joan Jacobo...(figlio di Alfonso Dell’Acaya, impegnato al governo della città di Brindisi) la debbano... prestare ogni aiuto et favore necessario, exequendo et fare exequire li ordini et disegni che dicto magnifico farà..., necnon ad esso et sua cometiva, tanto da pede come da cavallo et tanto in lo andare, stare e ritornare che farà lo debiate providere et fare providere de stantie, ... Si tratta certamente di un ordine rivolto essenzialmente all’Ente Pubblico, ma esteso anche a varie categorie lavorative del settore.

 

Impegnato in un’attività che abbraccia le fortezze di varie località del Regno, il Dell’Acaya necessita di ogni aiuto et favore e di stantie; e quali sarebbero in Provincia le altre botteghe di riferimento? Dopo la sua prima fase di formazione avvenuta nella capitale del Regno, una vera scuola itinerante si può considerare quindi quella di questo celebre architetto salentino, una scuola che interessa in modo particolare il Salento. In assenza di una più ampia documentazione, è necessario chiederci quale può essere in Gallipoli la scuola di riferimento della bottega dei Genuino negli anni in cui essa sorge, qual’è il grande nome dell’artefice a cui si ispira, in quali rapporti opera il Dell’Acaya con le maestranze locali e dove egli trova in città ogni aiuto et favore necessario, come si richiede nella disposizione del Di Toledo. Il magnifico Joan Jacopo Barone de Acaya, commissario generale, con ampi poteri dal ‘45, figura di riferimento nell’ambito del Regno per la progettazione di opere pubbliche, lo troveremo impegnato anche nella realizzazione di palazzi nobiliari: i progetti delle fortificazioni dovranno essere suoi disegni (exequendo [ordina il Viceré] et fare exequire li ordini et disegni che dicto magnifico farà [certamente per ciò che concerne le opere pubbliche]), ma assisteremo anche ad una forma diremmo di competizione e al sorgere come di una moda fra i casati nobiliari per farsi disegnare il proprio palazzo dall’illustre personaggio del Regno, impareggiabile architetto. Alcuni dei modelli superstiti nel centro storico del capoluogo e dell’intera Provincia di Terra d’Otranto ne sono una validissima testimonianza. La sua influenza è tale, i suoi legami sono sicuramente strettissimi, che egli può avere disegnato, anche a distanza, senza avere presenziato nelle singole località, ma avvalendosi di collaboratori sovrintendenti come abbiamo anche detto per Vespasiano Gonzaga. Protagonista..., scriverà M. A. Visceglia, è Gian Giacomo d’Acaya, ...legato, come lo stesso Loffredo, ai circoli “umanistici” della cultura nobiliare provinciale, interprete di precise esigenze di razionalizzazione e modernizzazione degli apparati murari e difensive; egli per fortificare la Provincia, si trova impegnato in prima persona fra Lecce Brindisi e Gallipoli.

 

 

Il fregio della trabeazione dell’antica fontana rinascimentale di Gallipoli ricalca infatti il tema generale dei grandi rilievi, ove gli intricatissimi tralci vegetali di spirali acantee ci riportano all’arte classica ed in particolare al nostro Romanico: al centro compaiono uomini e animali in pose di combattimento e gli arti inferiori umani protesi verso i due lati estremi originano volute vegetali che finiscono nelle sembianze di uomini con il corpo di animale. Verosimilmente questo simbolismo allude al caos che regna nel periodo, a cui si è accennato e che precede l’avvento della grazia di Dio, richiamando forse, anche il tema della foresta-deserto, luogo delle visioni e delle tentazioni. L’uomo al centro è la vittima, quindi il peccatore, e il leone che aggredisce, che minaccia, simboleggia il male, la punizione. Gli uomini con il corpo di animale alludono al centauro che nel Medioevo viene assunto come simbolo della concupiscenza maschile, incapace di dominare i propri istinti.

 

 

Sorge la domanda: perchè la scelta del fregio modulato da spirali per erigere alcuni edifici nel ventennio a cavallo di metà Cinquecento, in coincidenza fra l’atro negli stessi anni, con opere in corso in Provincia, a Gallipoli e con i lavori di colmata dell’area leccese confinante, con le mura della città, con piazza S. Oronzo e con il complesso antoniano? I modelli del fregio, forse tutti dello stesso lapis, ma di una differente qualità della scultura da individuare probabilmente nei singoli artefici, considerando che ogni scalpello (ogni mano) ha un suo modo diverso di lasciare il proprio segno, li troviamo a Lecce, Parabita, Copertino, Corigliano D’Otranto, Melendugno, Gallipoli e Tuturano (come indicato nella nota); a Tuturano sull’unico portale della chiesa della Madonna del Giardino (metà Cinquecento) dove si presenta anche convesso come nella trabeazione al di sopra della lunetta sulla porta piccola di S. Giovanni a Parabita e nei modelli Leccesi, allo spartipiano dell’ospedale Spirito Santo, alle finestre di Villa Fulgenzio della Monica e all’Arco di Trionfo di Carlo V.

 

 

Tipologie di affreschi di fine Cinquecento e primi Seicento, come il nostro di Manduria in esame, dopo il glorioso periodo bizantino, salentino, le troveremo in varie località della stessa Terra: fra gli esempi, Gallipoli, Presicce, Casarano, Tuturano, Taurisano, Copertino, Specchia e Specchia Gallone: a Tuturano l’altare centrale della Vergine del Rosario con i Misteri. Eventuali conferme di questa ipotesi potrebbero aprire un varco a nuove conoscenze sul nostro artista circa la realizzazione di affreschi di un’arte della pittura, che bene si sposa con le precedenti, accanto ad altre località salentine, specialmente nel campo dell’architettura. Degni di particolare attenzione, infatti, dello stesso periodo, sono gli affreschi effetto plastico pittorico, che forse per motivi di carattere economico sarebbero eseguiti colorati dipinti a finta pietra, su intonaci, in sostituzione di sculture e di interi elementi architettonici, come ad esempio cornicioni, di fregi e decori di ogni genere, che hanno interessato anche alcuni dei centri, prima menzionati: fra gli esempi, Gallipoli, Presicce, Casarano, Tuturano, Copertino e Specchia (nei rispettivi edifici. Queste decorazioni pittoriche stilizzate, che mostrano anche figure clipeate come negli archi di S. Francesco di Gallipoli, ci riconducono ai citati lavori, del nostro Antonio Marchesi di Imola e di Trevi, notissimi anche per la plasticità di fregi pittorici a finto intaglio. A Tuturano nelle nicchie poco profonde dei precedenti altari.

 

 

Alla vasta produzione di opere del Genuino elencate sopra, andrebbero aggiunte quelle in fase di studio, sulle quali si tornerà in un successivo lavoro, opere di cui ha ampiamente parlato R. Iurlaro nel 1969 (ignoti gli autori), tracciando un vasto panorama di lavori riferibili ad una o più scuole salentine rinascimentali nelle città di Brindisi e Taranto.

 

 

I Cristi legati di Vespasiano (titolo nato dalla caratteristica iconografia, una fune che lega i polsi alla colonna) non sono immagini statiche. Sono l’espressione più alta di una flagellazione. Negli anni trenta dello scorso secolo il Canonico e Vicario Generale della Cattedrale gallipolina, Francesco Magno, ha fatto accostare alla straordinaria opera del Cristo legato della sua collezione privata, ma separatamente, i due flagellatori nelle pose di percuotere ripetutamente il corpo nelle stesse zone, intendendo dare maggiore plasticità intorno all’accasciamento di quel corpo e accentuare il senso di dolore estremo. Conosco questo gruppo scultoreo, facente parte di una collezione privata, ben custodito, ma non interessato dalle recenti, avanzate tecniche del restauro. Negli anni cinquanta dello scorso secolo, durante la stesura del citato lavoro, L’antico fonte battesimale, l’autore Vincenzo Liaci, per gentile concessione dei proprietari, fece visionare l’opera allo studioso salentino, suo amico Nicola Vacca il quale, nel condividere l’assegnazione dell’opera al Genuino (certamente si candita a “originale di Vespasiano Genuino”), non esitò dal fare anche apprezzamenti sull’artista salentino, autore dell’accostamento delle statuine dei due giudei flagellatori, artisticamente modellati con abiti che riproducono le classiche tonalità del verde e del rosso, caratteristiche degli abitanti della Giudecca Gallipolina, da cui è derivato il termine dialettale locale del prelibato pesce sciuteu, (pesce donzella dalle stesse tonalità), diffusissimo sulle coste del Salento. Le tonalità, oggetto della nostra attenzione, erano già apparse verso la fine del Cinquecento nelle figure dei flagellatori in una delle formelle che inquadrano il singolare affresco del centro brindisino di Tuturano sulla Battaglia di Lepanto, su cui ci soffermeremo in seguito, per le analogie stilistiche da noi riscontrate, durante la stesura di questo lavoro, con affreschi altrettanto singolari dello stesso tema nella chiesa del Rosario di Gallipoli (cfr. ivi, più oltre). Gli stessi Cristi descrivono uno scenario completo della flagellazione che, in assenza di altre figure di contorno o simboli, lascia immaginare, il movimento degli annodati flagelli agitati con forza da muscoli rigonfi di braccia, dalle camicie arrotolate, che scandiscono atroci colpi su di un corpo. Questi elementi troverebbero riscontro nelle sculture dei due flagellatori inseriti nell’opera del citato Canonico.

 

 

Nel vasto settore edile salentino, questi episodi legati alla perizia sia degli architetti, sia delle maestranze in genere, non sono poi così diffusi; e per avere degli esempi, basti dare uno sguardo alle superstiti volte attraversate da costoloni caratterizzati dal tipico decoro che scandisce l’ovale rilievo e gli spicchi dell’ottagona volta, nella cappella di S. Diego in S. Francesco d’Assisi a Gallipoli. Questo decoro, che riconduce anche ai precedenti della stessa città, (1585) dell’androne d’ingresso (di via A. De Pace) di Palazzo Pirelli (oggi Provenzano) del 1585 e dei successivi (1598) del coro e della navata unica dei SS. Apostoli (S. Giuseppe), i cui disegni sono assegnati a Vespasiano Genuino, ci consente di individuare quelle volte che da circa cinque secoli danno invece prova di grande stabilità e sicurezza. Altre testimonianze, dal festonato con lo stesso decoro, le troviamo ancora oggi, sempre a Gallipoli, a Tuturano, piccolo centro del Brindisino, a Lecce, a San Cesario di Lecce, a Nardò e a Squinzano. Gallipoli, sulle ampie e slanciate volte della crociera della Cattedrale (a partire dal 1630); Tuturano, sulla volta a crociera della chiesa della Madonna del Giardino (seconda metà del Cinquecento, già ricordata per l’intaglio della trabeazione sul portale); Lecce, sulle volte delle navate laterali di S. Croce; San Cesario di Lecce, sulla volta dell’androne del Palazzo Ducale; Nardò, sulle volte della chiesa (1599) e del chiostro (1608 ca.) all’Incoronata e nei superstiti avanzi, dell’angolo di volta (1580), dei rifacimenti in S. Domenico; Squinzano, nel coro e nella navata unica del Santuario dell’Annunziata (1618).

 

 

Un’osservazione di Corrado Foscarini, forse perchè la sua [di Vespasiano Genuino] professione lo teneva per lungo tempo lontano da Gallipoli potrà trovare conferma nelle tracce dei modelli dell’estrema parte del Salento meridionale, che possiamo riscontrare anche in territorio di Brindisi, dal confine leccese di Squinzano fino a S. Vito dei Normanni, Francavilla, Mesagne, Tuturano, Torchiarolo e S. Pietro Vernotico. Rapporti di lavoro fra Vespasiano Genuino e la Cattedrale della sua città sono documentati già dagli anni ottanta con la committenza da parte del vescovo spagnolo mons. Sebastiano Quintero Ortis, successore del suo connazionale mons. Alfonso Errera (1509-1603), cappellano quest’ultimo del principe don Giovanni D’Austria (1545-1578), Comandante Supremo dell’Armata cristiana della Battaglia di Lepanto, di un evento bellico che, nella pittura sarà immortalato in alcuni centri salentini come nell’esempio per eccellenza dell’affresco nel chiostro dei Domenicani di Gallipoli (attuale sacrestia della chiesa del Rosario), e nella scultura, in questa stessa città, in una delle metope nella trabeazione della nuova Cattedrale, scolpita a distanza di sessant’anni circa.

 

 

E’ verosimile che i centri salentini, che tramandano l’evento attraverso le illustrazioni pittoriche, siano quelli che, come per l’esempio della città di Gallipoli, hanno garantito nella Battaglia una presenza, sia pur minima, dei propri abitanti considerato il cospicuo numero dei settantamila uomini della flotta alleata contro i Turchi. In ordine di importanza, secondo la tipologia dell’illustrazione, dopo quella di Gallipoli possiamo citare l’esempio della pala di S. Maria della Vittoria a S. Vito dei Normanni, ove figurano alcuni personaggi e navi sparse sul mare. Di notevole interresse si presenta però nel piccolo centro brindisino di Tuturano, nella chiesa della Madonna del Giardino, il meraviglioso citato affresco dalle analogie stilistiche che per qualche particolare pittorico può essere messo a confronto con quello di Gallipoli. Certamente l’esempio della città ionica si manifesta il più completo e ricco fra tutti, ma alcuni elementi centrali, basilari dei due affreschi, hanno caratteri comuni, come si può notare ad esempio attraverso la nube che avvolge la Madonna in trono con il Bambinello. Nella scena di Tuturano, fra i personaggi in primo piano emerge la figura papale in ginocchio a sinistra di S. Pio V. Questo Pontefice domenicano, noto per le sue preghiere affinché cessino gli assalti dei Turchi, è raffigurato in atteggiamento di ricevere la coroncina del rosario dalle mani della Vergine al posto del Santo domenicano Pietro di Verona (1205-1252 ca.) che troviamo invece nella città ionica. Questi non riceve il rosario , ma in ginocchio, è prostrato di fronte al Bambino con mani incrociate e sono evidenti i simboli del suo martirio: una spada appoggiata sul manto e una ferita sulla testa provocata dal coltello e (il S. Pietro, da non confondersi con S. Domenico, spesso presente quest’ultimo anche accanto alla Vergine, perchè dall’arte è raffigurato con il giglio). A destra invece in entrambi gli affreschi è in ginocchio, in abito domenicano, S. Caterina da Siena che a Tuturano, ricevendo la coroncina del rosario dalla mano del Bambino, mostra le stimmate nelle mani e a Gallipoli la palma alla sinistra (per questo richiamo iconografico cfr. la xilografia medioevale della Santa del British Museum). Nell’affresco di Gallipoli il dono dei rosari ai santi in ginocchio è puramente simbolico, anzi si manifesta nella più completa espressione perchè raffigurato da tre corone di aureole, di cinque rose ciascuna (15 misteri, 5 decine di “Ave Maria” x 3; vedi, precedente Capit. III, La bottega § 5). In entrambi gli affreschi, da attribuire forse ad una stessa scuola, sono di notevole richiamo le tonalità del bianco, che oltre alla menzionata nube, è sparso fra i panni, del Bambinello, della Madonna, e dei Santi. Si auspica pertanto per queste due singolari opere di affresco cinquecentesco, da noi messe a confronto per la prima volta, un maggiore interesse per il loro restauro, valutandone anche l’analisi chimica dei prodotti coloranti impiegati, restauro che certamente farà luce su uno dei maggiori eventi di battaglie navali della nostra storia (cfr. ivi, sopra in nt. al Capit. VI, Lo studio, la ricerca, la scultura di Vespasiano Genuino; sono rilevate interessanti caratteristiche sugli affreschi della Battaglia di Lepanto), ma potrà fare luce anche su uno specifico capitolo dell’arte salentina, riguardante l’affresco cinquecentesco da noi menzionato in questo lavoro. Fra le altre località di questa Terra meridionale che ricordano la Battaglia di Lepanto possono essere prese in considerazione oltre a Francavilla Fontana, dalle eloquenti testimonianze, tutte quelle che, nello stesso periodo, diffondono la devozione alla Vergine del Rosario, di cui molte restano ancora inedite.

 

 

INDICE - CAPIT. I IL TEMPO DELL’ARTISTA E L’AREA GEOGRAFICA NELLA STORIA DELL’ARCHITETTURA DEL CINQUE-SEICENTO SALENTINO; CAPIT. II IL PERSONAGGIO

 

 

1) Sue origini, vicende che precedono l’evoluzione “Controriformistica” e il “Post-Lepanto”: 2) L’architettura militare nell’area del Regno; urbanizzazione e fortificazione di Gallipoli: il castello e le mura cittadine; altri personaggi figure chiave di collegamento: tratti delle loro biografie; 3) Terra di provenienza di Vespasiano (Città de la Cava) – La famiglia; CAPIT. III LA BOTTEGA, La bottega nel Rinascimento: raffronti con il “fenomeno” toscano; Attività delle botteghe; Riva, e bottega sul livello del mare di Gallipoli; Attività edilizie nell’area di S. Nicola del Porto prima e dopo le fortificazioni; Alessano nel Salento; Di un tipico decoro su lesene; Opere Pubbliche in Provincia nelle città demaniali a metà Cinquecento in coincidenza con i cantieri confinanti con l’area della bottega, già parte del Centro Storico cittadino: Fontana monumentale di Gallipoli e Arco di Carlo V di Lecce; Lecce - Complesso dei Celestini, e Palazzo Adorno; Firenze – Complesso di S. Spirito; CAPIT. IV LE INFLUENZE Eleonora di Toledo, una principessa del Regno di Napoli sul Trono mediceo di Toscana; CAPIT. V LE OPERE, Opere attribuite; CAPIT. VI LO STUDIO - LA RICERCA – LA SCULTURA DI VESPASIANO GENUINO; CAPIT. VII RELAZIONI SOCIALI; CAPIT. VIII DI ALCUNE OPERE DI ARCHITETTURA Edifici; CAPIT. IX ESPERIENZE DI LAVORO – L’AMBIENTE – L’ARTISTA – L’ARCHITETTO.