Globalizzazione e crisi: oltre il capitalismo attuale - di Don Salvatore Paladini

 

DON SALVATORE PALADINI, CAPPELLANO PRESSO L’OSPEDALE “PERRINO” DI BRINDISI, CI HA INVIATO UN INTERVENTO SULLA “GLOBALIZZAZIONE E CRISI”, CHE FA CAPIRE, IN MODO CHIARO E SEMPLICE, IN QUALE SITUAZIONE SENZA VIA DI USCITA SI STA INCAMMINANDO IL MONDO.

VI INVITIAMO A LEGGERE L’INTERVENTO E, SE VOLETE, INVIATECI I VOSTRI COMMENTI.

 

GLOBALIZZAZIONE E CRISI: OLTRE IL CAPITALISMO ATTUALE


LA FINANZA DEL NULLA (dell’attuale sistema finanziario e creditizio, fine a se stesso) è ormai al capolinea e sollecita un NUOVO E DIVERSO REGIME DI SVILUPPO.


Riporto un articolo di Luigino Bruni, professore di economia e aggiungo altre considerazioni:

 

Dietro le crisi di questi tempi si nascondono cose importanti, forse troppo importanti perché se ne parli nei grandi media.

Innanzitutto è in gioco il significato e il ruolo della democrazia nell’età della globalizzazione. Questa crisi, infatti, è la prima grande crisi dell’economia e della finanza nell’era della globalizzazione: i mercati ormai da un paio di decenni ragionano e si muovono su scala mondiale, e con tempi rapidissimi. È il mondo lo scenario della nuova economia finanziaria, mentre la politica e la democrazia hanno come orizzonte ancora gli Stati Nazione (è anche questa una delle cause di fragilità dell’Europa).

 

La logica dei Governi degli Stati è ancora quella pre-globalizzazione, dove i partiti competono per ottenere il consenso attraverso il voto. Di fronte a questa crisi, da una parte ci sarebbe bisogno di risposte politiche globali e veloci, che mancano; dall’altra, i Governi dei singoli Paesi non dovrebbero preoccuparsi di non essere rieletti, ma agire con coraggio per il bene comune, anche oltre il consenso immediato. Ma con gli attuali meccanismi della politica queste scelte sono troppo costose, e dalla Grecia all’Italia i Governi restano impantanati tra veti incrociati al loro interno, ma anche nelle varie componenti della società civile che difendono interessi contrapposti. Le manovre non risultano quindi efficaci perché per non svantaggiare nessuno rischiano seriamente di svantaggiare tutti: l’opposto del bene comune è il male comune. Questa sfida nasconde dunque il bisogno urgente di una nuova politica e di una nuova stagione della democrazia che sia all’altezza della globalizzazione, una stagione che ancora non si intravede.

C’è poi la grande questione del sistema economico capitalistico. L’economia di mercato è stata una straordinaria invenzione dell’umanesimo civile e cristiano. Ha consentito risultati inauditi per la qualità della vita di miliardi di persone, per i diritti umani e la democrazia. Negli ultimi decenni quell’economia centrata sui mercati reali (scambi di merci e servizi) e sulle persone (imprenditori, lavoratori, banchieri) è stata soverchiata dalla finanza speculativa, virtuale e impersonale, e a fronte di una transazione reale (denaro contro beni) oggi si realizzano decine di operazioni finanziarie.

 

Questo capitalismo ultra-finanziario è troppo fragile e rischioso, e non è più capace di mantenere le promesse di sviluppo e libertà che erano alla base della prima stagione dell’economia di mercato.

 

All’articolo di Luigino Bruni aggiungo, quale corollario, per chiarire ancor più alcuni passaggi, qualche stralcio dall'interessantissimo libro di Massimo Fini "Il denaro sterco del demonio - storia di un'affascinante scommessa sul nulla" (Marsilio editrice), si legge testualmente:
«La capacità del denaro di crescere come un tumore sul corpo che gli ha dato vita, sino a invaderlo completamente, soffocarlo e distruggerlo, deriva dalla sua natura e dal suo scopo, dalla sua attitudine ad autoalimentarsi, diventando cosi un fine, un fine ultimo, un fine che non ha altri fini al di fuori di se stesso. Poiché il denaro è un sacco vuoto, un puro Nulla, il suo fine non ha mai fine, si pone in un futuro irraggiungibile, trascinando con sé, in questa corsa verso il niente, lo stesso uomo e interi popoli.

La finalità chiusa in se stessa è particolarmente evidente nel meccanismo finanziario: nel denaro che compra denaro. "Il denaro finanziario - scrive Bazelon - non è denaro da spendere. Con esso non si compra mai nulla; serve a guadagnare altro denaro. E quando poi si è in pieno movimento, non si compra nulla nemmeno col denaro guadagnato sul denaro adoperato per guadagnarlo, e cosi via". 

Ma anche l'intero circuito creditizio sta assumendo questo andamento concreto: crediti enormi divenuti inesigibili vengono pagati, sempre più spesso, aprendo altre linee di credito al debitore. Cioè il creditore paga il debitore perché lo paghi

Accade allora che ci siano, per esempio, oltre duemila miliardi (in dollari) di debiti dei Paesi del Terzo Mondo verso i quali ci si comporta in maniera bestiale: gli si presta denaro perché possano pagare gli interessi e poiché questi, di conseguenza, aumentano, gliene si presta ogni volta di più. E certamente non in modo gratuito e disinteressato …: è l’usura legalizzata anche nel sistema bancario che già prende dalle nostre tasche per le vie ordinarie e tanto più con i prestiti. In generale si può dire che quasi tutti i Paesi, industrializzati e del Terzo Mondo, non pagano le eccedenze delle importazioni con risparmi interni, cioè con denaro proprio, ma con soldi prestati da altri Paesi. Tutti sono indebitati con tutti.
Questo è il sistema: i debiti vengono pagati facendo altri debiti!
«L'intero sistema finanziario e creditizio - continua Massimo Fini - deve quindi autoalimentarsi incessantemente per non collassare. A questo punto è evidente che trova il suo fine al proprio interno, nella sua sopravvivenza, mentre lo scopo di investire nel sistema produttivo e di creare cosi "ricchezza" è diventato secondario, se non addirittura un pretesto».


Esistono 2 grappoli di problemi

 

Il primo grappolo di problemi che inerisce l'economia in se stessa, nella sua struttura:

 

Per sostenere la propria crescita all'infinito, essenziale alla sua sopravvivenza, l'industrialismo monetario ha escogitato alcune collaudate metodiche che non servono ai cittadini, anzi sono loro di danno, ma che sono perfettamente funzionali al meccanismo, postosi come scopo a se stesso.
Fini ne elenca tre:
1) Una è la cosiddetta "obsolescenza programmata del prodotto". In passato si producevano i beni il più resistenti possibile, destinati a durare nel tempo. Oggi, nonostante si sia in possesso di una tecnologia capace di forgiare materiali quasi indistruttibili, i prodotti d'uso comune hanno una resistenza e un'esistenza molto più brevi e deperibili.
2) Un altro metodo è quello di introdurre su beni già esistenti continue varianti tecniche, quasi sempre superflue se non peggiorative (la Cinquecento venne ritirata dal mercato perché era fatta troppo bene e durava a oltranza).
3) Un terzo sistema è creare nuovi bisogni, da soddisfare con nuovi beni. E' la pazzesca legge di Say: «L'offerta crea la domanda» resa possibile, si dice, dal fatto che mentre i bisogni primari sono limitati, e oltre una certa misura saziano, i bisogni voluttuari sarebbero invece illimitati.

Con il passaggio dal capitale economico al capitale finanziario, da quando cioè la ricchezza si è slegata dalla produzione e quindi dal lavoro e si è legata alle transazioni finanziarie, ai giochi di borsa e quindi  alle speculazioni, questo grappolo di problemi ha raggiunto un grado di pericolosità ormai incontrollabile. Questo dà ragione anche del fatto che gli indici di borsa salgono o scendono anche in base alle dichiarazioni di un capo di governo e/o alle "chiacchiere" di una qualsiasi agenzia di rating! Per questo occorre un governo mondiale di controllo finanziario.
Un secondo grappolo di problemi è legato poi alla "politica" stessa:
«L'agenda politica corrente, intorno alla quale le istituzioni europee, i governi e le stesse opposizioni si affannano, è contraddittoria per se stessa: insistendo con le cosiddette politiche di "austerità", si ridurranno ulteriormente la domanda di merci, la produzione, l'occupazione, i redditi e quindi anche le entrate fiscali, per cui diventerà sempre più difficile rimborsare i debiti.

In questo modo, anziché contrastare la speculazione finanziaria, si finirà per alimentarla. Teniamo presente che proprio a causa di tali politiche la Grecia è già tecnicamente fallita. Proseguendo lungo questa via anche l'Italia, il Portogallo e la Spagna finiranno per incamminarsi verso un inesorabile fallimento». (Emiliano Brancaccio ricercatore in economia e docente di Fondamenti di Economia Politica).

Insomma, per questi e per mille altri motivi il regime di accumulazione del capitale fondato sulla finanza privata è entrato in crisi.
Più che continuare con le vecchie politiche, occorre prendere coscienza che la politica non può continuare ad arrancare dietro i mercati finanziari ma deve finalmente anticiparli e prevenirli. Siamo di fronte ad una OCCASIONE STORICA PER LA COSTRUZIONE DI UN NUOVO E DIVERSO REGIME DI SVILUPPO.
«Per edificarlo, occorre in primo luogo che l'autorità pubblica (prima di tutto la politica) abbandoni il ruolo dipendente di prestatore di ultima istanza del capitale privato, e si faccia invece creatrice di prima istanza di nuova occupazione, legando i finanziamenti alle assunzioni “stabili” e non inferiori a 10 anni, con l’obbligo di restituzione, con i relativi interessi, quando vien meno questa clausola, legando il finanziamento all’ipoteca sui beni patrimoniali, per l’eventuale restituzione e mai più finanziamenti a pioggia o a fondo perduto, che possono avvantaggiare solo chi già ha e può avere ancora di più ».

 


Non è poco, ma il minimo. Non è facile ma urgente.

 

 

In appendice qualche considerazione sugli “indignati”:

 

Mario Draghi ha insistito perché i politici europei e del mondo ascoltino le loro richieste. E ha liquidato con due parole quel gruppo di scalmanati che sembravano fatti apposta per distogliere l’attenzione dai veri problemi: “che peccato!”

 

Di fronte ad un dito che indica la luna i cretini si fermano a guardare il dito.

Anch’io non voglio cadere nel tranello su cui si sono concentrati i media, trascurando di evidenziare con la stessa forza i problemi reali che ci attanagliano; perciò le grida dei trecentomila manifestanti di Roma mi toccano più che i vandalismi di cinquecento delinquenti.

 

I milioni di morti per fame che ogni giorno produce la nostra economia mi bruciano di più dei duecento feriti della capitale. La violenza del nostro sistema che prende alla gola, strozzandoli,  popoli interi mi indigna più che quella sfasciona dei gruppi d'assalto. Questa la condanno ma non me ne faccio distrarre.
"Io non ho debito" c'era scritto su uno striscione della manifestazione.
Io avrei scritto: "Noi non paghiamo debiti"!
Il sistema dei debiti è un sistema collaudato di altro strozzinaggio.
Nel 2009 i poteri pubblici dei paesi in via di sviluppo avevano rimborsato l'equivalente di ventotto volte ciò che dovevano nel 1970. Nel frattempo il loro debito era stato moltiplicato per trentadue! (Cfr: Damien Millet Le Monde Diplomatique luglio 2011, n.688, peg. 7).
"Uno stato non potrebbe chiudere le sue scuole, le sue università e i suoi tribunali, sopprimere la sua polizia e negligere i suoi servizi al punto di esporre la sua popolazione al disordine e all'anarchia semplicemente allo scopo di disporre dei fondi necessari per fare fronte ai suoi obblighi verso i suoi creditori esteri" ! (Annuaire de la Commission du droit international de l'ONU,1980, p.48).
"Nessun governo democratico può sopportare la prolungata  austerità e le riduzioni di bilancio dei servizi sociali pretesi dalle istituzioni internazionali"! Parola non di un comunistaccio rivoluzionario. No.
Lo ha detto l'ex segretario di stato americano  Henry Kissinger.
E dunque, se la logica non è un optional, se i fatti non sono invenzioni: basta con questa storia che i debiti vanno pagati.
Non paghiamo più i debiti a nessuno!
Se qualcuno di coloro che mi leggono potrà aiutarmi gliene sarei  molto grato. Non so: ma a chi, l'Italia, dovrebbe pagare il debito? Chi sono i suoi creditori? Quanto hanno ricevuto finora come pagamento?
E ancor più: come faranno i paesi del terzo mondo a onorare quanto fissato dai paesi ricchi? Chissà se non è il caso di ripartire più unitariamente nel mondo, credendo un po’ a quella condivisione dei beni, operata dai primi cristiani come segno di una nuova società? Sarebbe di molto superiore il godimento dei beni per tutti, eliminando le tante guerre tra nazioni e riducendo la fame e soprattutto le crisi che tutti i mali generano come bubboni pestiferi, e che distruggono l’uomo stesso!

 

C’è allora bisogno di una nuova sintesi, di nuove istituzioni ma – e qui sta la sfida – anche di nuovi cittadini. C’è anche tutto ciò dietro alle crisi di questi giorni: se sapremo cogliere i segnali che ci arrivano dalla storia potremo uscire migliori da questi tempi difficili, ma ciascuno deve fare con responsabilità e serietà la propria indispensabile parte.