Una gita sul lago di Garda
Sole accecante e caldo asfissiante, hanno attraversato il mondo in ogni tempo. Per cui non ritengo utile dare una data alla storia che voglio narrare.
Sarà sufficiente dire che quell’estate fu davvero una estate torrida. Il caldo soffocante imperversava imperterrito in tutto il territorio Nazionale. La gente, nella vana ricerca di un po’ di refrigerio, abbandonava le città riversandosi, in molti sulle lunghe coste italiane, altri nelle località montane, in prossimità dei laghi e dei fiumi.
Stando così le cose, verso i primi del mese di agosto di quell’anno prenotai assieme a mia moglie alcuni posti su di un pullman che partiva alla volta di Garda, con una comitiva di altri villeggianti, per trascorrere in un albergo di quel centro, una settimana di vacanze. Giunse il giorno prestabilito della partenza e partii alla volta di quel centro. Si trattava di una comitiva alquanto omogenea, per lo più composta da coppie più o meno anziane, fatta eccezione di alcuni giovani, tra i quali vi era anche mio nipote , che per la felicità mia e di mia moglie , si era aggregato a noi. Venimmo ospitati in un buon albergo, alla periferia di Garda, che aveva un ampio giardino alberato e una bellissima piscina, dove anche respirare dava gioia e piacere.
L’albergo aveva una numerosa clientela, composta nella maggior parte da uomini e donne di nazionalità Tedesca, che vedevo come una massa di esseri associati da una relazione di vicinanza e di parentela.. Avevano tutti un atteggiamento soddisfatto e molti sembravano essere intenti solo a godersi il riposo, distesi su dei comodi lettini da campeggio, all’ombra di ombrelloni che li riparavano dai cocenti raggi del sole che irradiava dal cielo, privo di qualsiasi genere di nuvola, arroventando il suolo coperto da erbetta, mentre altri ancora, in buon numero dal volto sorridente, nuotavano gioiosamente nella vasta piscina.
Tutti sembravano aver abbandonato ogni impegno di lavoro, intenti in quel posto di sogno a godersi il gradevole fresco del prato ombroso ed a respirare la fragranza dei cespugli con indefinibile delizia.
Il nostro capo gruppo, nei primi giorni di soggiorno, la sera precedente, ebbe a comunicare che l’indomani mattina alle ore 11,15, ci saremmo imbarcati su un battello, per effettuare un giro del lago di Garda. Avremmo trascorso l’intera giornata, per cui saremmo stati riforniti di un sacchetto di viveri per una colazione al sacco. Giunse l’indomani ed all’ora stabilita, al seguito della intera comitiva, avendo al mio fianco la mia gentile consorte ed il mio amato nipote, mi imbarcai sulla motonave “Brescia”, che poteva ospitare ben 688 passeggeri ed aveva una stazza di 28 tonnellate, cinque uomini di equipaggio e al comando un Tenente di Vascello della Marina Mercantile.
L’imbarco sul battello avvenne con un affollamento di una fitta corrente di gente che transitava a bordo attraverso un passaggio obbligato, posto a prua della nave, controllato da un marinaio di coperta che vistava i biglietti. Una volta a bordo, la folla si disperdeva e si diradava sui due piani della nave, costituti da un salone da pranzo e dal salone Bar, mentre altri si disponevano chi a prua, chi a poppa della tolda.
Lasciata mia moglie in compagnia di sue amiche sedute a poppa, volendo assistere dall’alto allo spettacolo che la natura dei luoghi offriva ai naviganti, assieme a mio nipote Teo, questo è il suo nome, mi portai sul tetto del secondo piano dove mi attendeva un enorme salone scoperto con delle file di sedie fissate al legno della base, in gran parte già occupate da altri passeggeri.
Il Lago di Garda, il più grande d’ Italia, ha la forma che richiama l'organo del sesso maschile, il cui vertice a Nord-Ovest si spinge verso il comune di Riva del Garda e la cui sacca verso Sud viene contenuta dai comuni di Desenzano, la penisola di Sirmione, molto amata da Catullo, che la divide dal comune di Peschiera.
La motonave, aveva già ripreso a solcare le onde del lago, costeggiando la riva Est e proseguiva verso Torri di Benaco. Già nei tempi remoti, su quelle sponde, data la bellezza dei luoghi e la dolcezza del clima, si erano insediati altri popoli tra i quali i Liguri, ai quali pare si debba attribuire il nome di Benaco, lago delle penisole, gli Euganei, gli Jarci, i Reti, i Celti ed i Cenomani. Poi attorno al secondo secolo a: C., le Legioni Romane sottomisero queste Tribù, rimanendovi sino al 476 d. C., quando l’Impero cadde, sotto la pressione dei Barbari. Poi la storia continuò con la dominazione Bizantina, della Longombardia sino a giungere alla dominazione della Repubblica di Venezia. Ma lasciamo da parte questi pur importanti cenni storici, che riguardano i luoghi perchè voglio passare a descrivere la bellezza di quei posti, dove l’occhio umano rimane affascinato. Tra Garda e Torri del Benaco, il monte Baldo allunga le sue propaggini, formando una penisola da cui si apre per intero la visione delle acque e dei monti che fanno da cornice a Garda. Man mano che la navigazione procede si assiste ad uno spettacolo riposante, dei verdi declivi che si allungano verso il lago, dove la mano dell’uomo da millenni ha preso possesso costruendo paesi incantevoli, con la loro bianca chiesetta dal campanile aguzzo e svettante, piantato vigneti e frutteti che riempiono di verde verzura il paesaggio.
Man mano che la motonave procede nella navigazione i paesi del litorale si susseguono. Il comune di Pai, con il suo castello con una delle due torri dalla cima diroccata. Castelletto, Brenzone, Assenza, Melcesine, che conserva in se una originaria planimetria di Borgo medioevale, con il suo castello di origine Longobarda, successivamente ricostruito dai Franchi che lo dotarono di mura di cinta. Nel 1618 sotto il dominio della Repubblica della Serenissima, divenne residenza del Capitano del Lago, cui toccava il compito della sicurezza delle coste e di combattere il contrabbando.
Da Melcesine il battello effettua un cambio di rotta. Da Est attraversa il lago in verticale portandosi verso il lato Ovest giungendo all’imbarcadero di Limone, la località più pittoresca dei luoghi, il cui nome non deriva dall’agrume di cui peraltro vi sono numerose coltivazioni, favorite dal clima mite anche d’inverno, bensì dal Romano Limes che significa “confine”, dato che si trova al confine tra la provincia di Brescia e di Trento. Grazie al clima particolarmente mite vi crescono numerose piante di palma, di agave e di oleandro, mentre sul lungo litorale frammiste a queste piante vi crescono magnifici alberi di limoni. Dall’imbarcadero di Limone, il battello cambia nuovamente direzione e si dirige con la prua verso Nord per poi proseguire di nuovo verso Est raggiungendo Torbole, rimasta celebre nella sua storia, per un impresa compiuta dalla Serenissima Repubblica di Venezia. Attorno all’anno 1439, Venezia, volendo soccorrere Brescia, rimasta assediata dai Visconti di Milano, e non potendolo fare con un esercito per via di terra, decise di armare una flotta sul Garda, ma constatandone le difficoltà nel costruirla sul luogo, decise di trasferirla per via terra facendole superare il Passo di San Giovanni a quota 278 metri sul livello del mare. Trasferì due Galere, sei Fuste e venticinque grosse barche e le mise in acqua nel porto di Torbole, dal quale raggiunsero Maderno che conquistò per poi riperderlo quasi subito. L’anno successivo assoggettò Riva, divenendo padrona di tutto il lago. L’aspetto di Torbole è rimasto immutato attraverso i secoli e la principale attività turistica è data dalle centinaia di appassionati di windsurf che con le loro vele multicolori, somiglianti a gigantesche farfalle mosse dal vento, solcano veloci le acque antistanti il porto, donando così una suggestiva bellezza al paesaggio del luogo.
Dall’imbarcadero di Torbole, la motonave Brescia, riprende a solcare le acque dolci e quiete del lago, puntando la prua nuovamente verso Nord-Ovest, approdando dopo una mezz’ora di navigazione a Riva del Garda.
Due ore e mezza di piacevole traversata, per raggiungere la meta stabilita.
Uno sciame di passeggeri e si riversata sul litorale antistante al quale esiste una bellissima piazza punteggiata da bar, pizzerie, ristoranti ed alberghi che hanno ciascuno di essi, predisposto all’aperto tavoli, sedie ed ombrelloni, attorno ai quali, villeggianti erano intenti chi a pranzare, chi a sorbire un gelato ed altri a bere bevande rinfrescanti tra un continuo via vai di gente che con il naso all’insù ammirava i vetusti palazzi e le bellezze del luogo.
Dopo aver consumato il frugale pasto, contenuto nel cestino delle provviste, mentre il sole da lassù con i suoi raggi infuocati surriscaldava la terra, con il mio bravo berrettino in testa ed occhiali da sole inforcati, mi sono posto in giro onde ammirare la bellezza e l’antichità del luogo.
Riva del Garda, una cittadina dai colori vivaci, ridente ed allegra, con un passato storico alle spalle, tutto degno di rispetto, si presentava così ai miei occhi, desiderosi di conoscere e scoprire.
Le sue origini sono state sicuramente quelle di un “castrum” romano, con il nome di Ripa. A quella epoca, fu un importante centro commerciale e militare, collegato come era attraverso la via Claudia Augustea a Trento. Alla caduta dell’Impero, venne prima conquistata dai Goti, poi dai Longobardi, dai Franchi di Berengario e dai Sassoni ed infine attorno all’anno 1027, venne ceduta al Principe- Vescovo di Trento da Corrado II il Salico. Dal XIII al XVI secolo passò prima ai Da Romano, feudatari del Sacro Romano Impero, quindi ai Conti del Tirolo, agli Scaligeri, ai Visconti,ai Veneziani. Infine dal 1578 al 1802, Riva tornò nuovamente ai Principi-Vescovi di Trento ed in quel periodo conobbe finalmente i suoi tempi migliori. Durante le vicende Napoleoniche, passò prima all’Austria, poi alla Baviera quindi nuovamente all’Austria fino al 3 Novembre del 1918, quando infine venne annessa all’Italia. Sulla piazza 3 Novembre ho ammirato la Torre Apponale, iniziata nel 1200 e portata sino all’ attuale altezza di 35 metri nel 1555. Magnifiche sono pure lestrutture del Palazzo Pretorio, del Palazzo del Provveditore di Venezia e della Chiesa Parrocchiale, dall’interno ricco di pitture provenienti da varie scuole e moltissime decorazioni barocche che abbelliscono la cappella della Madonna del Suffragio. Infine ho potuto ammirare la Rocca, che comprende quattro Torri quadrate e lo spettacolare Mastio, che si erge diritto verso il cielo per magnificare la potenza dei Signori di quell’epoca buia medievale, tanto ricca nella storia del nostro paese di battaglie e di lotte intestine. Ora però, la magnifica Rocca, è adibita a Museo Civico, contiene materiale di età preistorica, etrusca, romana e medievale.
Troppo resto sono giunte le ore 16.00, l'ora della ripartenza.
Puntuale la motonave mi ha accolto assieme agli altri numerosi passeggeri.
Il sole, pur nella sua fase discendente, continuava ad infiammare la terra, ma sul battello ho trovato un po’ di refrigerio. Dopo aver sorbito una bevanda fresca al bar di bordo, mi sono nuovamente portato sul tetto del secondo piano, per ammirare quella catena di monti che si erge splendidamente verso il cielo sul lato Ovest del lago.
Avevo con me un cannocchiale, orgoglioso acquisto in un negozio del centro di Riva, col quale potevo ammirare meglio quelle montagne da me tanto amate per la loro maestà e la loro bellezza.
La motonave sicura effettuava la traversata di ritorno. Vedevo la prua tagliare le placide acque, tra un leggero ribollire di onde, mentre a poppa le creavano la consueta ma sempre affascinante scia, nulla rispetto all'attrazione che esercitavano su di me quelle alte montagne, i loro picchi aguzzi che sembravano voler raggiungere il cielo.
La verde azzurra, levigata distesa del lago, si stendeva al sole ed in compatta cerchia attorno ad esso le montagne scoscese terminavano ripide a picco nel lago. Tra le più alte, si scorgevano macchie lucenti di neve e rivoli di acqua spumeggiante formavano delle piccole cascate. Nell’osservare tutto ciò, attento e sbalordito di tanta bellezza, con l’animo in trepida attesa, mi è parso di udire una voce che gli spiriti del lago e dei monti mi sussurravano. Mi pareva raccontassero le loro ardite gesta.
Mi parlavano delle loro origini, di quando nel caos della creazione, la terra si spaccò ed eruttò le sue propaggini. Si alzarono rupi e creste di monti, in un violento e rimbombante frastuono. E di quando, giunte al limite della loro ingombrante altezza, si fermarono. Monti di eguale misura e volume lottarono accanitamente per avere più spazio, sino a quando l’uno giunse più in su, frantumando il fratello tra orribili boati. Da quei lontanissimi tempi, enormi blocchi di pietra, rupi schiacciate e spaccate si vedono penzolare qua e là, tra le gole dei monti. Ad ogni primavera, le cascate d’acqua portano via grossi massi, grandi come enormi palazzi, che si riducono in minuti frantumi. Si respingono ed il rumore assordante scuote nel profondo fondo i bei prati alpini.
Questo mi sussurravano quelle montagne, quelle rupi crepate ed incurvate, piene di grosse ferite. Lo sussurravano con l'orgoglio di antichi ed indistruttibili guerrieri, ancora in guerra contro l’acqua e la tempesta che nelle cruenti notti annunziano la primavera, quando il vento soffia ostinatamente intorno alle loro alte cime ed i torrenti portano via interi massi dai loro fianchi. Giganti coraggiosi, con le radici ben piantate al suolo, sfidano e ansanti ed accaniti resistono alla tempesta. E per ogni parte dei loro fianchi asportata, fanno sentire la assordante voce, in un rumore di lamenti adirati.
Mentre mi pareva d'ascoltare, vedevo nelle valli, prati coperti di erbe, di fiori, di felci, di muschio ed alberi, che appartati e solitari erano simili a monaci eremiti. Attaccati ai loro monti in maniera tenace, lottavano silenziosi per la loro stessa esistenza contro il vento, le intemperie ed il terreno roccioso al quale erano strettamente abbarbicati. Ed ognuno di loro prendeva una forma particolare in rapporto al terreno ed al vento impetuoso che lo scuoteva. Ve ne erano alcuni che avevano i rami sporgenti da un solo lato. I loro tronchi, si attorcigliavano come rettili alle rocce, quasi si stringesseroin un abbraccio che li sorreggeva l’un l’altro. Parevano come cavalieri medioevali solitari, sempre tesi, agguerriti e pronti ad affrontare una singolare tenzone, contro l'eterno nemico: il vento, la pioggia, la caduta dei massi.
Tanta baldanza mi incuteva riverenza e rispetto, tanto da turbarmi lo spirito, facendomi ritornare fanciullo dal cuore sospeso e dall’animo attonito e stupito.
Nello stesso tempo però tale stato di turbamento mi costrinse a riflettere sulla mia vita ormai trascorsa e cosa avrei potuto dire ai miei figli, ai miei nipoti ed ai miei contemporanei, onde accostarli al grande poema che è la muta vita della natura per spingerli ad amarla.
Avrei voluto dire loro di ascoltare il battito del cuore della natura ed a partecipare alla vita di tutto l’universo ed a non dimenticare, malgrado le preoccupazioni ed i problemi, che la vita stessa ci spinge ad affrontare che non siamo degli dei immortali, quali crediamo di essere. Siamo figli e parte della natura e del cosmo intero.
Avrei voluto loro ricordare che come i cantici dei poeti ed i sogni che visitano gli uomini di notte, così anche i fiumi, i laghi, i mari, le montagne, le nuvole che vagano nel cielo, il vento che impetuoso muove la tempesta, sono simboli di quel grande disegno del nostro Creatore Iddio che distende le sue grandi ali tra il cielo e la terra ed il cui principale scopo, la cui meta è la certezza del diritto alla vita ed alla immortalità dell’anima di ciascuno di noi esseri viventi.
Ogni essere umano è figlio di Dio e riposa senza timore in grembo all’eternità. Tutto ciò che abbiamo in noi di malvagio di malato e di odioso, contraddice la vita ed avvalora e rafforza il pensiero della morte.
Avrei voluto che le montagne, i laghi ed i mari, si rivolgessero all’umanità, con un linguaggio forte e suadente per costringerli a vedere quale vita immensa, multiforme ed eccitante, nasce ed esplode ogni giorno fuori del nostro vivere quotidiano, dalle nostre case e dalle nostre città.
Avrei voluto dire loro di interessarsi di meno di quanto quotidianamente i mass-media propinano ed a saperne di più della primavera che improvvisamente esplode in tutta la sua magnifica vitalità. Avrei voluto magnificare la bellezza dei fiumi che liberi e tranquilli scorrono da sempre nel loro alveo. Dei mari immensi e delle loro maree e dei prati magnifici che circondano i nostri paesi.
Avrei voluto raccontare loro quali indimenticabili godimenti provavo nell’ammirare e contemplare quelle placide acque del lago di Garda e quelle sue alte e maestose montagne.
Tutto questo speravo di riuscire a dire ai miei figli, ai miei nipoti ed ai miei contemporanei, come un viaggiatore di ritorno a casa che racconta agli amici quello che ha visto.
Questo è quello che volevo, desideravo e speravo.
Intanto il tempo trascorreva veloce e la motonave ormai aveva terminato la sua traversata di ritorno, approdava all’imbarcadero di Garda.
Ero giunto a destinazione e quella mia visione, meditazione, sogno, venne improvvisamente interrotta dalla voce sonante e squillante dell’anonimo marinaio di coperta che annunciava attraverso il microfono: “ Garda, Garda”.
Brindisi, 02 Settembre 2009.
Antonio TRONO
Il su indicato racconto è stato tratto dal secondo volume dal titolo “ Paradiso perduto “ dello stesso autore,pubblicato il 02 gennaio 2010.