G E N E R A Z I O N I   P E R D U T E di Antonio TRONO

Dedico a voi il presente racconto, poveri e sfortunati, abbandonati a voi stessi, emarginati dalla società civile, che quotidianamente convivete con la povertà più nera. 

A voi che non avete casa, moglie, figli, padri, madri, sorelle o fratelli, dai quali siete stati allontanati, a causa della miseria in cui siete caduti, non sempre per vostra esclusiva colpa.

Moltitudine di persone, dai quaranta ai sessanta anni, una volta, fiera del proprio posto di lavoro, che a causa dei licenziamenti, posti in essere dalla globalizzazione, non ché dalle eterne guerre che nel vicino Medio Oriente ed in Africa, hanno contribuito a fare affluire in Italia emigranti, ai quali vengono concessi benefici che gli Italiani, a causa della depressione economica non hanno. 

Il risultato è sotto gli occhi, sono aumentati gli italiani poveri, resi miseri: inabili ed inattivi, tanto da porli ai margini della già iniqua società che li costringe a vivere come in una vera valle di lacrime, soli, con Iddio, che anche Lui tanto misericordioso con loro non è.

Nel contempo, questa narrazione, vuole essere un atto di accusa verso le Istituzioni, che attraverso la loro propaganda televisiva, sulle pari opportunità lasciano intendere che nel nostro Paese, vige una consolidata società assistenziale, che in effetti non c’è, perché abbandona i poveri al loro destino, senza fare non far nulla di concreto per loro.

L’ atto di accusa, lo rivolgo anche alla Chiesa Cattolica, che possiede enormi proprietà e ricchezze e che pur beneficiando dell’8 per mille, poco e nulla fa per alleviare la povertà che incombe sulla gente, la quale arranca quotidianamente vivendo tra enormi stenti e ricca solo di niente.

Dopo questa dedica-denuncia, passo a narrarvi della enorme concentrazione di inghippi burocratici, amarezze, sventure, umiliazioni,  subite nel corso della vita, da uno sfortunato campione di quella variegata moltitudine di uomini e donne, che per come prevede la nostra Costituzione, dovrebbe avere uguali diritti e doveri dinanzi alla Legge, ed avere così pari dignità sociale ed economica e questo, ancora non è vero perché quando ad un povero essere umano, gli si toglie la dignità del lavoro, cosa gli rimane, se non andare ad infittire la grande massa di emarginati di questa disorganizzata società ed andare ramingo per le strade della città, senza alcuna meta, privo di quella tanto magnificata dignità umana.

L’ho conosciuto poche sere orsono, in un ufficio, dove un mio caro amico cercava di confortarlo prospettandogli vari modi per crearsi dei piccoli lavori, in attesa di giorni migliori.

 

Lui, alto circa un metro e settanta cinque, di carnagione scura, capelli ed occhi neri aveva lo sguardo triste e mite, tipico di coloro i quali, nella vita, hanno attraversato molte vicissitudini di cui gli resta, quel senso di frustrazione, di amarezza e di sconforto per il rimpianto dei sogni perduti e per le condizioni di vita che sono costretti a fare.

Vestiva in maniera dignitosa, pulita ed ordinata e si presentava con la barba rasata ed i capelli tagliati in maniera regolare.

Mi sono soffermato, nel descrivere il suo aspetto fisico ed ordinato, per dimostrare come, a differenza del passato, l’essere umano, povero o ricco, quale esso sia, nel vestimento, si distingue solo ed esclusivamente dalle marche dei capi di vestiario, nulla di più e non dimostra come una volta la sua reale condizione economica.

Matteo (il nome è di fantasia), quella sera mi ha regalato una lezione di vita. Mi ha narrato, in maniera semplice e chiara e con vera dignità la sua vita e le sventure che gli erano capitate.

Nel sentire le sue disavventure, mi è parso di rileggere  e di cogliere un accenno al  racconto di Luigi Pirandello, dal titolo:  “Paura di essere felice”, nel quale il protagonista, avversato di continuo nella vita, che gli aveva negato in ogni modo la felicità, si paragona ad una tartaruga che vive sul terrazzino della sua vecchia casa da scapolo. Si ostinava imperterrita nel salire il primo dei tre gradini, per cui da quel terrazzo si andava alla saletta da pranzo. 

E quando, con sommo stento, riusciva a superare l’alzata dello scalino, quando già poneva su l’orlo della pedata le zampette sbieche e raspava disperatamente per tirarsi su, tutt’a un tratto perdeva l’equilibrio e ricadeva giù riversa su la scaglia rocciosa, dove rimaneva inerte ed impossibilitata a proseguire il suo cammino.

Più di una volta, egli, pur sicuro che essa, se alla fine avesse superato il primo, poi il secondo, poi il terzo scalino, fatto un giro nella saletta da pranzo, avrebbe voluto ritornare giù al battuto del terrazzo, l’aveva presa e delicatamente posata sul primo scalino, ma con sua meraviglia aveva notato che la tartaruga, non aveva mai approfittato di quell’aiuto inatteso, in quanto essa ristretta la testa e le zampette dentro la scaglia, se ne stava per un gran pezzo lì ferma e poi pian piano si rimetteva in cammino ripetendo gli stessi movimenti, che la riportavano a ripetere l’accaduto di prima, rifiutando così l’aiuto che gli era stato prestato.

Stanco di vederla soffrire, l’abbandonò a se stessa, riflettendo che mai a lui, nessuno avesse voluto dargli una mano, in tutti i suoi sforzi per salire nella vita.

Al pari del protagonista del racconto, la vita vissuta del mio stimato e sventurato amico, si era svolta nella stessa maniera.

Mai alcuno, gli aveva prestato un minimo di aiuto, un soccorso sia pure morale che lo avesse portato a modificare quel suo stato di sfortuna che lo perseguitava e così egli aveva perduto la fiducia in se stesso e la sorte gli è sempre stata contraria.

Sino ai suoi venti anni, aveva vissuto felice, in una modesta famiglia. Aveva frequentato regolarmente e con successo le scuole primarie e quelle secondarie, conseguendo regolarmente, il Diploma di maturità.

L’anno successivo si era arruolato, ed allo scadere del secondo anno era stato promosso Sergente. Dopo di che ha frequentato la Scuola Allievi Sottufficiali. 

Superati gli esami con buon esito, faceva ritorno presso il suo Reparto di appartenenza, rimanendovi sino all’anno in cui è stato sottoposto ad esame per transitare nel servizio permanente.

Pur avendo risposto esaurientemente a tutti i quesiti, non veniva ammesso e questo fu il primo duro colpo che la sfortuna gli riservava.

Mi narrava che in precedenza si era fidanzato con una sua coetanea. Una bellissima ragazza, dolce e sensibile, che lo amava e che di quell’amore, egli era orgoglioso e felice, tanto che la sposò lo stesso anno che l’aveva conosciuta, sicuro che la sua carriera militare, poptesse proseguire e fu davvero un gioco feroce che il destino gli aveva riservato, un colpo di vento, che sul più bello, tutto gli aveva mandato giù.

Quella bocciatura ha segnato il corso degli eventi in negativo e le disgrazie che si sono susseguite nel corso degli anni a venire lo hanno segnato nell’animo di quello sconforto che lo rendeva disarmato ed impotente di fronte al destino che lo perseguitava.

Così, avendo nella mente e nel cuore, tre distinti sentimenti: rancore, nostalgia ed amore che in lotta tra loro, quasi lo soffocavano, ormai congedato dalla vita militare, ha con difficoltà ricostruito fiducia in se stesso, facendo primeggiare quell’amore per la sua donna, dalla quale riceveva amore e rispetto e che egli con altrettanto affetto ricambiava, nella loro modesta abitazione, presa in affitto.

Si diede subito ad inviare il proprio “curriculum vitae”, a diverse società della zona ed al di fuori, senza mai ricevere alcuna risposta.

Sconfortato ed avvilito, anche il suo fisico ha cominciato a risentirne, tanto che dopo qualche mese dal congedo, si è ammalato, perché colpito da leucemia. Ci sono voluti ben sette anni di cure, per poter sconfiggere il cancro.

Gli anni trascorrevano veloci ed aveva raggiunto i trenta anni, privo di qualsiasi avvenire o speranza di lavoro, confacente al suo grado di cultura.  

Così, dimenticando quel titolo di studio, conseguito con sacrifici in gioventù e non trovando nel settore amministrativo il suo naturale collocamento, si è impegnato in altri campi, facendo tutti i lavori che gli capitavano sotto mano.

Cameriere, aiuto salumiere, manovale accompagnatore. Tutti lavori che avevano la durata di poche settimane o di pochi giorni, pagati sempre in nero.

Con l’amata moglie ha convissuto per circa venti anni e tre anni orsono, sempre a causa del suo stato permanente di eterno disoccupato, non trovando alcuno dei due, ne affetto e ne comprensione, di comune accordo si sono separati. Lei è rimasta nella casa coniugale, mentre lui è restato letteralmente in mezzo alla strada. 

Privo di tutto, non avendo più casa, moglie, madre, padre, sorelle e fratelli ai quali confidare le sue pene e le sue amarezze, ha iniziato il triste e desolante suo destino.

Basti pensare che da tre anni a questa parte, solo nell’estate del 2016, ha lavorato come cameriere, presso una struttura.

Il tempo infinito delle lunghe e noiose giornate estive, autunnali, primaverili e quelle corte e fredde invernali, le ha trascorse da addormentato e da sveglio, dove capitava, in un deposito, su di una panchina o presso l’abitazione di qualche amico caritatevole.

Ha Mangiato dove e quando gli capitava presso la Caritas o da qualche conoscente, ma circa tre anni fa, è stato colpito da altra malattia, questa volta subdola e invalidante, che gli ha colpito gli arti inferiori e superiori.

Non poteva prendere freddo, perché altrimenti si bloccava il passaggio del sangue nei capillari delle mani e dei piedi, congelandoli.

Questa malattia, pur riconosciuta, non è valida a livello assistenziale, non comporta alcun riconoscimento di invalidità, che gli possa garantire un minimo di assistenza economica.

Gli era sbarrata ogni via, chiuso ogni porta. Pur avendo chiesto a varie istituzioni, sia ecclesiastiche che civili, non riusciva mai a trovare alcun aiuto.

Nel suo peregrinare, aveva solo incontrato presso la Caritas, una brava signora, che ricorda sempre con stima, perché quando andava alla mensa, per la ristorazione, veniva trattato ima in maniera dignitosa.

Mentre mi raccontava questo suo ricordo, ad un tratto mi è parso di vederlo rattristarsi di più ed un misto di rabbia e di sofferenza, gli ha colorato il viso, arrossendolo, del che gli ho chiesto ragione ottenendo per risposta che di cosa aveva detto della signora della Caritas, non poteva certo ripetere in favore di colui al quale, alto prelato, si era rivolto fiducioso in un aiuto e protezione, ottenendo per risposta la sostanziale indifferenza. 

E continuava il suo racconto dicendo di ricordare con amarezza che dopo che ebbe a rappresentare le sue misere condizioni di vita, cui era costretto a vivere quotidianamente sapendo che la Chiesa, era certamente in grado di sollevarlo da quello stato pietoso, si è sentito rispondere con una stretta di spalle e dieci euro che prese con dignità, perché da due giorni, non mangiava e perché non aveva nemmeno un euro in tasca,

Questa è la dimostrazione dello spirito di carità che la Chiesa Cattolica professa verso i poveri derelitti!?!

Mi ha raccontato inoltre di come la sua vita, si fosse tramutata sempre in gioco feroce eppure egli in queste sue cadute improvvise, riteneva che meritassero, per la modestia delle sue aspirazioni, un minimo di considerazione, da parte della sorte avversa che sempre lo perseguitava.

Gli era sembrato che la sua vita, fosse da paragonare in parte, a quella di una formica operaia, che nello sforzo di trasportare uno sterpo alto trenta volte la sua lunghezza, nel suo arrancare per raggiungere il suo formicaio, cadeva e ricadeva in continuazione, sino a quando altre formiche, viste le sue difficoltà non si sarebbero unite ad essa per portare insieme a termine, il lavoro.

Così nella sua vita randagia, gli pareva di trasportare un peso enorme, che non riusciva a reggere, perché cadeva e ricadeva sempre e poi sempre, ma mai alcun suo simile, gli aveva dato una mano, per riuscire a raggiungere lo scopo che si era prefisso, che infine altro non era che di trovare un modesto posto di lavoro, che gli ridesse quella dignità ormai da tempo perduta,

In queste condizioni, che poteva o doveva fare? Non sperare più, non più illudersi, non desiderare più nulla, andare avanti così per come era andato sino ad allora ed abbandonarsi alla discrezionalità della sorte?

Ma, speranze, desideri ed illusioni gli rinascevano nuovamente, perché nascevano e crescevano nel suo animo e nella sua veste di uomo probo, onesto e corretto, quale egli era sempre stato.

Con quella speranza e quei desideri, ha continuato a combattere contro la disoccupazione  la fame, l’assenza di una casa, di un letto, dove poter poggiare le sue stanche membra, quando d’improvviso nella sua triste e buia esistenza, è penetrò d’incanto un raggio di sole. Una coppia di giovani, Evangelisti, genitori di ben quattro figli, che commossi ed inteneriti della sua storia, per circa un mese lo hanno fatto alloggiare, nella loro pur modesta abitazione, dove gli hanno offerto un posto letto su un divano, in cucina, in cambio di servizi di piccola manutenzione della casa.

Era difficile vivere in quella casa, da estraneo, anche se ben accetto, dove nulla era scontato e diventava un’avventura lo stesso semplice dormire, andare nel bagno, farsi una doccia, ed anche bere un bicchiere di acqua.

Di mattina presto, verso le sei, si alzava, si lavava e si vestiva quando gli altri dormivano e fuggiva via.  Per non essere d’intralcio agli effettivi occupanti.

Di essi, in cuor suo, egli conserva il ricordo carico di bontà, carità e gratitudine.

Era giunto, quasi  al termine del suo racconto, quando ha ricordato la sua ultima disavventura, nella quale anche Madre Natura gli si era stata contraria.

Verso la metà dello scorso mese di dicembre, un Ristoratore di una località turistica nel Trentino, al quale, in precedenza aveva inviato un proprio curriculum, lo aveva ingaggiato per tutta la stagione invernale, presso il suo ristorante, dove doveva prestare la propria opera di cameriere. 

Felicissimo, perché finalmente, riteneva di aver interrotto quel fluido malefico che lo aveva perseguito per il corso della vita, fiducioso, era partito alla volta di quel lontano paese, dove però un’altra ventata, un altro buffetto della mala sorte, lio mandava giù per terra.  

Mentre nel centro e sud Italia, la neve era abbondantemente precipitata,  raggiungendo nel centro della nostra penisola l’altezza di oltre due metri, che unita  alle interminabili scosse telluriche, aveva  apportato  fra quei miseri abitanti,  morte e distruzione; lassù nel Trentino, la neve che la sera soffice e leggera  cadeva, innevando per pochi centimetri il terreno, l’indomani mattina, i raggi di un sole splendente, subito la scioglievano e così gli impianti di sci, compresi i diversi ristoranti della zona, per un po’ di giorni, venivano innevati con la neve artificiale, ma poi constatata la scarsa affluenza di turisti, sono stati chiusi.

Il risultato è stato che dopo circa un mese, è arrivato il licenziamento e il ritorno alla sua vecchia condizione. Solo con se stesso, oggi vaga per le vie della città, sempre sperando che il buon Dio illumini la mente e riscaldi il cuore dei pochi uomini di buona volontà, perché lo aiutino a trovare un qualsiasi lavoro, che gli doni la dignità e vita.

 

E, così sia.

Brindisi, 15 febbraio 2017.