Luci ed ombre sull'irrisolto mistero dell'Arca dell'Alleanza

Le famose tavolette di argilla di Tell-el-Amarna ( una raccolta di lettere in caratteri cuneiformi inviate al Faraone d’Egitto da Principi Asiatici nel 1400 a . C . circa ) parlano di un popolo nomade , i Khabiru stanziati nella terra di Canaan , nel Sud della Palestina. Nel nome di Khabiru si vorrebbero riconoscere il nome di Ebrei. Una stele del Faraone egiziano Meneptah che celebra una vittoria sui popoli stranieri nel 1230 a . C., cita per la prima ed unica volta nei testi egiziani, il nome di Israele insieme ai nomi egiziani della Palestina e di Canaan. La stele parla di Israele come residente in quelle due terre e vinto dal Faraone. Dunque nel periodo post – esodo gruppi di Ebrei erano già stanziati a Canaan. Premesso ciò, rimane incerto il periodo storico durante il quale ebbe luogo l’esodo del popolo Ebreo dal territorio egiziano. Le ipotesi a questo riguardo sono due. La prima vuole che gli Ebrei di cui si parla nei documenti di Tell – el - Amarna, siano gli Ebrei dell’Esodo giunti nella Terra Promessa e là fermatosi. In questo caso l’Esodo si potrebbe collocare nel periodo che va dalla cacciata degli Hyksos , avvenuta con la guerra di liberazione dell’Egitto del 1580 a . C ., al periodo in cui furono scritte le tavolette di Tell . el – Amarna, cioè sotto i Faraoni della XVIII Dinastia, oppure immediatamente prima di Meneptah, sotto Rameses II, che sarebbe convalidato dal nome della città di Ramses. citata dal Bibbia. La seconda ipotesi che colloca l’Esodo sotto il Regno di Meneptah, farebbe supporre che il popolo d’Israele citato nella stele di questo Re, sia quella parte di Ebrei rimasta in Palestina e raggiunta in seguito dagli Ebrei d’Egitto così che uniti formarono una unica Nazione. A distanza di tanti millenni, pur rimanendo incerta la realtà storica sulla puntualizzazione del preciso periodo in cui avvenne l’esodo, il presente racconto si prefigge il compito di fare conoscere le varie disamine, le infinite ricerche, gli approfonditi studi e le diverse supposizioni che 2 sono continuate per secoli su come, quando, dove e perché l’Arca dell’Alleanza, adorata dagli Israeliti come incarnazione di Dio stesso, segno e sigillo della Sua presenza in terra, fortezza del Suo potere e salvezza del popolo eletto, sia letteralmente scomparsa in quel determinato periodo storico che va dal 970 – 931 a . C ., tempo in cui visse il Re Salomone, sino al 587 a . C ., periodo in cui le armate di Nabucodonosor incendiarono Gerusalemme, senza lasciare alcuna traccia o cenno storico che ne facesse intuire la fine. Ma amici lettori per Voi ho in serbo resoconti, episodi oscuri e nel contempo illuminanti, ricavati dalle traduzioni degli scritti dei papiri egiziani, dal libro apocrifo dei Maccabei, riassunti nei racconti di antichissime leggende che conducono a svelare verosimilmente quel mistero che da tempo lontanissimo incombe sia sulla sua scomparsa che su quella della probabile sua tuttora presenza sulla terra. Tre sono i punti principali della ricerca della possibile verità storica che fanno capo a tre personaggi, il primo ed il terzo documentati dalla Bibbia mentre il secondo da una antichissima tradizione etiopica. Il primo, riguardante l’occultamento e la scomparsa, è quello di un portavoce di l di Dio, il Profeta Geremia, il più ” doloroso “ di tutti i Profeti, che pur proclamando il suo amore per la sua terra e per il suo popolo , continua ininterrottamente a pronunciare le più terribili predizioni che puntualmente si avverano e che prevedono la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio. Mentre il secondo ed il Terzo, ai quali si deve, sottolineo, sempre secondo la tradizione Etiopica la possibile ma non certa esistenza dell’Arca, in terra africana, sono Menelik, figlio naturale del re Salomone e della Regina di Saba ed il Re di Gerusalemme Menasse a causa della sua apostasia. Ma procediamo con ordine secondo l’avvenuto susseguirsi degli eventi Sono trascorsi tre mesi da quando gli Ebrei di Mosè, hanno lasciato l’Egitto e prima di giungere nella terra promessa , dovranno vagare per il deserto per circa quaranta anni. Hanno oltrepassato la sorgente solforosa di Mara, hanno superato la meravigliosa oasi di Elin e la lunghissima 3 carovana di molte migliaia di persone e di greggi e mandrie si spinge lungo il vero e proprio deserto di Sin. La lunga carovana, ha percorso circa 100 chilometri e le privazioni non sono mancate. La fame affligge i figli di Israele, ma ecco che sul fare della sera, arrivano tante quaglie da ricoprire il campo ed al mattino uno strato di rugiada era tutto intorno all’accampamento e ricopriva il suolo. Apparve allora nel deserto una cosa minuta, come pestata nel mortaio, simile alla brina sulla terra. Vistala i figli di Israele si dicevano l’un l’altro “ Manhu?” che vuol dire “Che cosa è questa!” Non sapevano cosa fosse. Mosé allora disse:” questo è il pane che il Signore vi ha mandato per nutrirvi “. Quaglie e manna, non sono altro che un prodigio che rientra nel quadro previsto dalla Natura. Infatti gli Ebrei hanno lasciato l’Egitto a primavera avanzata, precisamente durante la stagione in cui gli uccelli da passo lasciano le zone dove sogliono svernare per dirigersi verso le zone temperate dell’Europa e quando giungono sulla terra del Sinai si poggiano sul terreno ormai sfinite tanto che si possono catturare con le mani. La manna, viene ricavata dai ramoscelli più teneri e più gonfi di umore di una certa pianta di tamerisco, nei quali si insedia un minuscolo animaletto che ne perfora la corteccia suggendone il liquido e poi vola via, lasciando aperti i fori, dai quali il liquido fuoriesce raggrumandosi e consolidandosi all’aria della notte e poi cadere per terra. Tale prodotto, per circa quaranta anni di girovagare per il deserto, venne raccolto dalle donne Ebree, macinato e pestato nei mortai per farne torte e focacce con le quali sfamare il popolo dei figli di Israele. Per saziare la curiosità si aggiunge che ha il sapore del miele. Il cammino prosegue sino a giungere alle pendici del monte Sinai, dove mentre il popolo pianta le tende, Mosé sale in vetta al monte per stringere con Iddio , ancora una volta il nuovo Patto di Alleanza. Mosè riceve la Legge dei Dieci Comandamenti con l’esplicito ordine di costruire in legno di acacia il Tabernacolo e che in esso venga collocata l’Arca dell’Alleanza, sulla quale , Egli, l’Eterno, siederà e che i Ministri del culto siano tratti dalla Tribù di Levi. 4 Il Tabernacolo che venne costruito, non era altro che uno scrigno di legno d’acacia,lungo poco più di un metro e profondo circa settanta centimetri. Era incastonato dentro e fuori di oro zecchino ed era sormontato da due figure alate di cherubini posti ai due lati del coperchio di oro massiccio. Tale Santuario portatile, accompagnerà l’errabondo popolo di Israele per tutta la faticosa conquista della Terra Promessa. La peculiarità dell’Arca, secondo i più antichi riferimenti Biblici, era quella di essere in grado di svolgere due specifiche funzioni, quella di scegliere la via da percorrere, e quella di andare in battaglia con l’esercito di Israele e di assicurargli la vittoria su tutti i nemici. L’Arca infatti, era in grado di adempiere a queste due importanti funzioni, come indica l’evidenza stessa, per “la presenza di un potere divino in essa” che era quello di Yahweh, cioè il nome mistico di Dio. In proposito è importante sottolineare che la Bibbia fa effettivamente ed esplicitamente riferimento all’Arca quando parla de “ il Signore e/o davanti a Signore, o di Yahweh e/o della presenza di Yahweh con i suoi passi: “ E avvenne che, quando l’Arca si alzava, Mosè diceva: “ Sorgi, o Signore, e siano dispersi i tuoi nemici e fuggano dal Tuo cospetto coloro che ti odiano”. Non vi è dubbio che l’Arca era vista come estensione o incarnazione di Yahweh. E quando nella storia del popolo di Israele si verificò la svolta decisiva con la instaurazione della Monarchia,la città di Silo venne elevata a capitale religiosa, dove l’Arca Santa dell’Alleanza venne custodita e venerata. Sul Trono di Israele dopo Saul siederà David e dopo di lui succederà Salomone,il Grande Re, che per realizzare i suoi sogni di grandezza, trasformerà Israele in un immenso cantiere,affidando a due architetti Fenici, la costruzione del Tempio, che prenderà il suo nome. Il Tempio, si componeva della “casa di Yahwe” vera e propria, che a sua volta si divideva in un vasto salone , o “Santo”, largo undici metri, lungo ventidue ed alto sedici e mezzo; in una cella, o “Qodhesh Qodhash” ( il Santo dei Santi ) che era una stanza perfettamente cubica con metri undici per lato. La lunghezza totale interna dell’edificio, dalla facciata del vestibolo al fondo della cella, era dunque di metri 38,50 su una larghezza costante di undici metri. La superficie fra i due 5 muri perimetrali e la “ casa di Yahwe “, verosimilmente si ritiene che fosse almeno doppia di quella della sola “ casa “. Nel corso del regno di questo terzo grande Re, durato dal 970 al 931 a . C . l’Arca della Alleanza rimase custodita nella “ sua casa “. Le Sacre scritture riferiscono che una volta allo anno , in occasione della Festa del Tabernacolo, o per meglio dire “ il giorno dell’Espiazione “ Essa, venisse visitata per essere adorata e riverita, solo ed esclusivamente dal Sommo Sacerdote, il quale seguendo tutte le regole religiose prefissate, vestito, in tutta la pompa magna dei suoi molteplici paramenti, munito dell’incensiere, si avviava solennemente verso la pesante e misteriosa cortina che velava l’accesso del “ Santo dei Santi “. Una lunga processione di cantori e di sacerdoti lo accompagnava, ma giunti nei pressi tutti si arrestavano dinanzi all’entrata; solo Lui il Sommo Sacerdote aveva il privilegio di potere sollevare la cortina ed entrare nel mistero del “ Santo dei Santi “. Lì, dopo aver deposto l’incensiere a terra, alzava le mani all’altezza del viso nell’atto di adorazione, come prescriveva la Legge. Poi sempre secondo la prescrizione, prendeva l’incensiere e vi faceva bruciare l’incenso che emanava un fumo denso e grave, azzurro e pesante che riempiva lo spazio cubico limitato dalle pareti di oro, mentre Lui, in ginocchio, sprofondava nella preghiera e nella contemplazione dinanzi alla Arca Santa. Esaurita la preghiera, con passi lenti e solenni, ne usciva per ricevere dai Sacerdoti del suo seguito la coppa di argento colma del sangue del capro sacrificato per poi rientrare nuovamente e versare il contenuto sul coperchio dell’Arca. Terminata la cerimonia ed uscitone nuovamente, aveva luogo la cacciata dalla città di Gerusalemme del capro espiatorio, sul cui capo. Egli , ponendo la mano ripeteva le parole della tradizione: “ Io ti carico di tutti i peccati e di tutte le trasgressioni del mio popolo “. Così, nel regno di Israele, l’Arca dell’Alleanza, attraverso Salomone, governava il suo popolo ed i decenni si susseguirono ai decenni, gli anni agli anni ed i giorni ai giorni sino a che non venne 6 a morire il grande e saggio Re. Dalla sua morte , ha inizio il mistero della scomparsa dell’Arca in quanto dalla lettura dell’Antico Testamento, la stessa non venne più menzionata, come se non fosse mai esistita, salvo un verso “ tra i due cherubini “, scritto dal profeta Isaia nel 701 a . C . , l’anno in cui il Re Assiro Sennacherib aveva tentato , senza successo, di occupare Gerusalemme, tanto da essere costretto ad abbandonare l’assedio della città in tutta fretta a causa di una improvvisa epidemia di” peste bubbonica “. E quando nel 587 a . C . le armate di Nabucodonosor conquistarono ed incendiarono Gerusalemme, nel Santuario del Tempio, non vi trovarono nulla, salvo il velo che copriva l’entrata, con nell’interno un piedistallo, sul quale non era poggiato nulla, assolutamente nulla. Lo scrigno che conteneva il Divino Patto di Alleanza stabilito sulla vetta del monte Sinai tra il Divino Signore e l’uomo, stipulato e scolpito sulle tavole di pietra che costituivano il Decalogo Ebraico della Legge Divina era stato sicuramente oscurato, nascosto, eclissato o semplicemente fatto scomparire nel nulla già prima di quella data. La Bibbia ci offre un inventario dettagliato di tutti gli oggetti ed i tesori che vennero trasportati a Babilonia dopo la conquista della città di Gerusalemme avvenuta alla fine del giugno e nei primi giorni di luglio dell’anno 587 a . C .. In proposito così recita: “ Nebuzarad, comandante della guardia, un ufficiale del Re di Babilonia, bruciò il Tempio di Yahweh, il palazzo reale e tutte le case di Gerusalemme. Le truppe che accompagnavano il comandante della guardia , staccarono i pilastri di bronzo del Tempio di Yahweh, i piedistalli con le ruote ed il Mare di bronzo che si trovavano nel Tempio di Yahweh, e portarono tutti i bronzi in Babilonia. Presero i contenitori per la cenere, quelli per l’incenso, le pale, i coltelli e tutti gli arredi di bronzo usati nel culto. Il comandante della guardia prese gli incensieri e le coppe per l’aspersione, tutto ciò che era fatto di oro, e tutto ciò che era fatto di argento “. Nell’elenco non compare l’Arca dell’Alleanza, ne l’oro con cui Salomone aveva rivestito il tabernacolo e ricoperto i grandi cherubini che stavano a guardia del luogo Santo. 7 Sicuramente furono moltissime le catastrofi militari che Israele dovette subire nell’arco dei secoli che vanno dal X secolo a . C . dopo la morte di Salomone sino al VI secolo sempre a . C ., epoca della distruzione di Gerusalemme. Già nel 926 a . C . durante il regno del figlio di Salomone, Rehoboam, un Faraone Egiziano chiamato Sheshonq, mosse guerra contro Gerusalemme portando via i tesori della casa del Signore e quelli della casa del Re, ma nel bottino del re di Egitto non compariva l’Arca dell’Alleanza, altrimenti ne avrebbe sicuramente fatta menzione e così via sino a giungere ai tempi di Nabucodonosor. Sin dall’antichità moltissimi sono stati gli storici e gli studiosi ebraici che hanno analizzato e scritto con serietà e vasta conoscenza del potere divino custodito in quelle sacre pietre sulle quali per volontà di Iddio, il Decalogo era stato scritto. Gli si attribuiva il potere di ardere di luce propria, in grado di provocare sugli esseri umani tumori e profonde ferite, di abbattere le spesse mura delle città da conquistare, di fermare il corso dei fiumi e di distruggere interi eserciti. E’ stato accertato che il Sacro contenitore ed il Santo contenuto fu per secoli il cardine primario della religiosità monoteistica del popolo ebraico. La sua scomparsa rimane perciò il problema centrale, il vero enigma del come e quando sia andato perduto e del perché ciò sia avvenuto in assoluto silenzio della Storia. Premesso che nell’anno 955 a . C ., Salomone ebbe materialmente a porre nel tabernacolo del Tempio di Gerusalemme, l’Arca della Alleanza e che da quella data in poi sino all’anno 587 a .C . le Sacre Scritture , salvo il verso scritto dal profeta Isaia nell’anno 701, mantennero un silenzio assoluto circa la sua o meno reale esistenza e che dalla lettura di un libro apocrifo dei Maccabei, si apprende che fu il profeta Geremia ad eclissare l’Arca nelle viscere del Monte Nebo, anche io da tempo, scevro da qualsiasi tipo di conflittualità, dettato dall’orgoglio, bensì animato esclusivamente dal pio desiderio di scoprire la possibile verità dei fatti accaduti, mi sono posto da anni nella accanita ed ininterrotta lettura di testi sacri, di libri apocrifi, di storie e di leggende 8 trattanti lo svolgersi dei fatti in questione deducendone quanto appresso vi narrerò. Nel 588 a . C . , in terra di Giudea, corre l’anno nono del regno del re Matania – Sedacia e nel giorno decimo del decimo anno , inizia l’assedio di Gerusalemme, mentre resistono ancora per un certo tempo, le città di Lachis e di Azechia. La prima fase dell’assedio durò per circa un anno, al termine del quale l’arrivo delle armate del Faraone Apries alleato degli Ebrei, costrinse Nabucodonosor ad una momentanea sospensione dell’assedio. Ma appena un mese dopo l’assedio riprendeva,in quanto Nabucodonosor, dopo avere sconfitto ed inseguito le armate Egizie sino alla città di Menfi, vi faceva ritorno ponendo il campo dinanzi alla città, coprendone tutto il lato Nord, dando così inizio alla seconda fase, che ebbe a durare per circa sei mesi. I giorni seguirono i giorni, le settimane alle settimane ed i mesi ai mesi; nella città, prima che l’armata Caldea la serrasse nuovamente, un gran numero di profughi provenienti da tutta la Giudea vi si era rifugiata. La gente dormiva per la strada e sotto le colonne del Tempio . Per sfamare il popolo, il re aveva aperto i granai reali. Ma con il passare dei mesi le riserve di grano, olio,carne e di altri generi alimentari erano state inghiottite dalla fame del popolo e lo spettro di essa e di quello della peste allegramente danzavano con quello della guerra per le vie di Gerusalemme, mietendo la gran massa della moltitudine traballante di gementi uomini, donne, vecchi e bambini. Ogni giorno di più la folla rinnovava il raccapricciante spettacolo di miseria e di disperazione. Piccoli cadaveri di bimbi morti di fame giacevano alla vista di tutti con le loro madri che si strappavano i capelli, si laceravano il viso ed alzavano verso l’imperturbabile cielo grida di dolore, mentre gli arieti Caldei battevano senza posa, violenti ed ossessionanti le mura della città. In un così drammatico e doloroso quadro di morte e di disperazione, primeggia l’alta figura del profeta Geremia che ormai conscio dell’imminente distruzione della città e del Tempio, accompagnato dal fedele discepolo Baruc si aggira in mezzo al derelitto popolo che assiepa 9 le strade, ripetendo inascoltato che è inutile e vana la lotta contro il re di Babilonia. Povera e vana è la sua voce che si leva nel deserto dei cuori del suo popolo e del suo re. Non verrà ascoltato. Gerusalemme sarà conquistata, il Tempio verrà distrutto e l’intera popolazione incatenata, mutilata e miserevole verrà condotta in schiavitù nella terra di Babilonia. Ma da quella distruzione, in cuor su profetizzando, Geremia scorgeva, come la risorgente “ araba fenice “, la vera vittoria del popolo di Israele che sarebbe nata da quella distruzione e tutta la sua speranza veniva riposta sulla promessa messianica della venuta di Gesù Cristo. Ma sorgeva il problema delle “ Tavole della Legge “, custodite nell’Arca Santa. Dovevano sparire dalla scena del mondo, perché il popolo d’Israele non le aveva osservate ed anche perché poteva accadere che il Signore non volesse più che la Sua Legge, rimanesse ancora scritta sulla pietra e volesse invece riscriverla nei cuori viventi degli uomini. Questo progetto tormentò per lunghi e diversi giorni l’animo di Geremia, sino a che una sera senza lume, mentre il tempo minacciava tempesta ed il vento che preannunciava la pioggia, stava già spirando tra gli alberi e di tanto in tanto l’orizzonte veniva illuminato dai fulmini, Egli, preso con se il discepolo Baruc, si incamminò lungo il primo grande recinto che circondava il cortile del Tempio e ne racchiudeva il cortile esterno. Vi entrò senza difficoltà e raggiunse attraverso un altro muro, l’atrio interno. Nel grande spazio lastricato che si estendeva a cielo scoperto, si levava, con le sue basi sulla roccia sacra, l’altare degli olocausti ed al di là si ergeva elevatissimo il Tempio propriamente detto, la casa di Yahwe, l’Invisibile . Sempre seguito da Baruc salì la gradinata, passò tra due gigantesche colonne di bronzo, attraversò l’atrio d’ingresso e si arrestò pieno di riverente timore dinanzi all’entrata del “ Santo “. Dopo pochi attimi di attesa, Egli Geremia avanzò sicuro in quel locale, seguito dal trepidante ma fiducioso Baruc dove l’oro del candelabro a sette braccia, l’altro profuso sull’altare e quello della mensa dei pani di proposizione brillavano nella buia oscurità della notte tempestosa. Il locale del “ Santo “ e quello del 10 “ Santo dei Santi “ era separato da una porta sempre aperta, racchiusa però da una cortina di pesanti e preziosi tessuti. Davanti ad essa Geremia si inginocchiò , si prostrò e toccò con la fronte il pavimento. Dopo infiniti ed interminabili minuti di preghiera, si rialzò e sollevata la pesante tenda, penetrò nell’interno del luogo del “ Sancta Sanctorum” e lì vi restò in adorazione per diverso tempo, dimenticando Baruc che in trepidante timore , era nel vestibolo ad attendere sue disposizioni . Prostrato al suolo, ripensava all’Arca che aveva dinanzi. Al suo segno di Patto di Alleanza stipulato tra Dio e gli uomini che per 40 anni aveva guidato durante il lungo cammino attraverso il deserto. Alle acque del fiume Giordano che si erano aperte ed alle mura di Gerico che erano crollate innanzi alla sua divina Presenza. Alle sue tre stabili sedi che gli erano state costruite, la prima a Golgala, poi a Silo ed infine con l’avvento di Salomone in quella definitiva di Gerusalemme. Così trascorsero i minuti, forse le ore ed a un certo momento svegliatosi da un profondo sonno ristoratore, riacquistata la lucidità del pensiero e della azione chiamò a se Baruc ed avvolto il prezioso carico in un drappo di tela di lino cui sovrappose due spesse e rozze coperte aiutato dal discepolo lo sollevò dallo zoccolo e l’uno da un lato e l’altro dall’altro il prezioso scrigno venne portato via , abbandonando definitivamente i luoghi del Tempio. Sempre in compagnia di Baruc , trascorse il restante tempo della notte in una casupola semi diroccata sita nei pressi della porta Orientale, dove in attesa sostava altro suo discepolo con un carro carico di vasi di terracotta che con il sopragiungere dell’alba che di lì a poco doveva spuntare, sarebbe uscito dalla città. Era sorta da poco l’alba ed il cielo si stava rasserenando dopo una notte di pioggia. La mattina giunse pallida da oriente ed il sole crescendo, inondava il terreno, quando Geremia, Baruc e l’altro discepolo, il cui nome non è stato tramandato, nascosto il prezioso carico tra i vasi di terracotta, lasciarono il luogo ove avevano trascorso il rimanente della notte. Appena la porta di Oriente venne aperta il carro apparentemente carico di vasi transitò inosservato tra l’indifferente 11 disattenzione dei soldati di guardia. Ora davanti a loro si stendeva la pianura macchiata qua e la da chiazze di alberi avvolti da una silente nebbiolina marrone e la strada che serpeggiava sotto le ruote del carro pareva una via senza fine. Era una antica strada quella che conduceva verso il fiume Giordano che essi raggiunsero dopo una marcia abbastanza faticosa. Dopo la pioggia della notte, il corso d’acqua era molto ingrossato ed il suo passaggio fu tutt’altro che facile. Una volta oltrepassatolo, il sole già stava tramontando. Geremia, vedendo i suoi discepoli ormai esausti dalla fame e dalla stanchezza , diede l’ordine di fermarsi per la notte. Venne l’indomani e continuarono ad andare avanti. Avanzavano lentamente a risalire gli altopiani di Moab sino a quando non giunsero sulla cima di un valico. Su disposizione del profeta i due giovani con infinita precauzione e molta riverenza scaricarono l’Arca ed iniziarono la penosa e difficile salita preceduti da Geremia che apriva la strada. Ascendevano il monte Nebo, molto famoso nella storia di Israele. Sulla sua vetta, molti e molti secoli prima era salito Mosè, avendo di fronte la città di Gerico e, lì che il Signore gli fece vedere tutta la terra di Galaad sino a Dan e tutta Neftali e la terra di Giuda sino al mare e la regione meridionale e la spaziosa campagna di Gerico, la città delle palme, fino a Segor. Ed il Signore gli disse: “ Questa è la terra della quale giurai ad Abramo, ad Isacco e Giacobbe “, dicendo “ La darò alla tua discendenza “. Tu, Mosè l’ hai veduta con i tuoi occhi e non vi entrerai! E Mosè, servo del Signore, ivi morì, nel paese di Moab, secondo la parola di Dio. Tutti questi ricordi si susseguivano nella mente di Geremia mentre salivano lo scosceso sentiero che si perdeva tra il pietrame, divenendo sempre più ripido. Si era giunti al calar della sera e le tenebre avanzavano. Ormai i due portatori dell’Arca erano sfiniti quando il profeta alzata la mano, con un gesto sicuro indicò una caverna che si apriva nella roccia. Entrate lì disse ed essi vi entrarono. La grotta era di modeste dimensioni e nel centro si levava un cumulo di pietre , una tomba antica sul quale vegetava uno strato di muschio. Davanti al tumulo, Geremia si inchinò e poi fece deporre l’Arca 12 tra il tumulo e la parete di fondo. Si inginocchiò innanzi a Lei e pianse. I due discepoli non disturbarono il Maestro ed usciti che furono dalla grotta, silenziosi e stanchi si sedettero appoggiando le spalle alla roccia in attesa del sopragiungere della notte. E poi si addormentarono nel silenzio pieno di pace che regnava sul monte e nella vallata sottostante. Fu come se vita e tempo si fossero fermati in un attimo. La notte trascorse e giunse il nuovo giorno ed alla luce del sole nascente il profeta ritornò dai suoi compagni. Il suo aspetto era sereno, la sua missione l’aveva compiuta e ritto in tutta la sua gigantesca statura dopo aver ammirato la terra che il Signore aveva dato al suo popolo, rivolto ai due suoi seguaci ordinò di chiudere l’apertura della caverna. L’ordine venne eseguito e poi ridiscesero. Mentre scendevano, Baruc rivolto al Maestro, chiese di poter lasciare un segno sulle grosse pietre deposte a chiusura della grotta ed ottenutone il consenso, assieme al suo coetaneo risalì il sentiero mentre il profeta si fermava ad attendere il loro ritorno. Ma quando essi tornarono udì le loro voci stupite ed allarmate che dicevano: “ Maestro, non siamo stati in grado di ritrovare la caverna! Non l’abbiamo più ritrovata”. Geremia non pronunciò alcuna parola come se ciò fosse già a lui noto. In silenzio ridiscesero la montagna per fare rientro in Gerusalemme. Così termina la storia narrata nel libro dei Maccabei. Esaurita la trattazione del primo punto, attraverso cui, è stato verosimilmente svelato il mistero dell’occultamento del più celebre e sacro manufatto che nella storia dell’umanità sia stato realizzato su esplicita commissione della Potenza Divina, avendo questa ricerca lo scopo di trovare una risposta ad una unica domanda che è quella di conoscere se esista la possibilità che l’Arca dell’Alleanza non sia realmente scomparsa, ma sia molto bene custodita , venerata ed adorata in un qualche Tempio di una qualche Nazione, dove vige la rigida regola dello assoluto silenzio sulla questione, o che altrimenti sia frutto della umana fantasia, passò ora ad occuparmi del secondo punto che ha come personaggio Menelik. 13 La fama della sapienza di Salomone, re d’Israele dal 970 al 931 a . C ., nel suo tempo era nota in tutto il mondo antico. Essa giunse anche all’orecchio della regina di Saba, il cui regno corrispondeva, presso a poco all’odierno stato dello Yemen, posto sulla punta più meridionale della penisola Arabica. La regina di Saba fece visita al grande sovrano ebreo, sicuramente per concludere un trattato commerciale. Si trattenne per circa un anno presso la corte del re Salomone e da questi concepì un figlio che nacque in Etiopia, dove la regina di Saba era tornata dopo avere scoperto di portare in grembo il figlio di Salomone. A questi, venne imposto il nome di Menelik che secondo una antichissima tradizione Etiopica avrebbe dato inizio alla dinastia del Negus di Abissinia . In proposito attorno all’anno 1270 della nostra Era,. un movimento sorto nella regione dell’Amhara ed appoggiato dai monasteri che avevano acquistato un notevole potere, portò sul trono la dinastia dei Solomonidi, ripristinando così il legame genealogico, attraverso l’antica tradizione di Solomone e della regina di Saba con l’Arabia Meridionale. La stessa tradizione vuole che il principe Menelik, che nella lingua Etiopica significa “ il figlio dell’uomo saggio “, raggiunta l’età di venti anni, lasciò l’Etiopia per andare in Israele, presso la corte del proprio padre. Venne subito riconosciuto e gli vennero tributati grandi onori. Trascorso un anno, tuttavia, gli Anziani di quella terra cominciarono ad essere invidiosi di lui, si lamentarono che il re Salomone gli accordasse tutto il suo favore e insistettero affinché tornasse in Etiopia. Il re accettò alla condizione che Menelik fosse accompagnato dai figli di tutti gli Anziani. Tra questi vi era un certo Azarius, figlio di Zadok, alto sacerdote d’Israele, e fu Azarius e non Menelik, a rubare l’Arca dell’Alleanza dal suo posto nel tabernacolo del Tempio. In realtà nessuno dei giovani rivelò il furto a Menelik finché non furono lontani da Gerusalemme. Quando finalmente gli dissero ciò che avevano fatto, egli capì che essi non avrebbero mai potuto compiere una impresa tanto audace se non fosse stato Dio stesso a volerlo; perciò acconsentì a che l’Arca restasse con loro. E fu così che l’Arca venne 14 condotta in Etiopia. Immenso fu il dolore che Salomone provò quando venne a sapere che suo figlio Menelik aveva sottratto la reliquia dal Tempio e l’aveva portata in Etiopia. Ma quando riuscì a calmare il suo dolore, il re si rivolse agli Anziani di Israele, che stavano anche essi lamentandosi a gran voce per la perdita dell’Arca e li invitò a smettere dicendo: “ Cessate, su, cosicché i non circoncisi non si mettano a sparlare di noi dicendo: La loro gloria se ne è andata, e Dio li ha abbandonati . Non rivelate niente ai popoli stranieri “. E gli anziani di Israele risposero e dissero: “ Sia fatto come Tu dici e come vuole il Signore Dio! Quanto a Noi, nessuno di noi trasgredirà alla Tua parola, non informeremo nessuno altro popolo che l’Arca ci è stata sottratta “ . E stabilirono questo patto nella Casa del Signore, gli Anziani di Israele con il re Salomone. Da quel che se ne deduce, sempre secondo la tradizione Etiopica, si evince che l’Arca venne portata in Etiopia mentre era ancora in vita il re Salomone e che tutto ciò che riguardava la tragica perdita della stessa, era stato messo a tacere, per cui le Sacre Scritture non ne fecero più alcun cenno. Sulla effettiva possibilità che la regina di Saba fosse Etiopica e non Araba, non è assolutamente da escludere, in quanto lo storico Flavio Giuseppe nelle sue “ Antichità degli Ebrei “ l’ ebbe a definire come regina di Egitto e di Etiopia “. Ma esiste anche una tradizione Yemenita riguardante un trasferimento di Ebrei in quella terra, che seppure non fa alcun accenno sulla scomparsa o sulla conservazione della Santa Arca, conferma in maniera indiscutibile la presenza di una colonia Ebraica all’epoca del regno della Regina di Saba , i cui discendenti , solo verso la metà del recente secolo decorso, a distanza di millenni hanno potuto fare rientro nella terra del ricostituito Stato di Israele,Patria dei loro Padri . Realtà questa , documentata dalla storia, che ritengo utile e necessaria far e conoscere ai lettori. Ai tempi della regina di Saba, quel territorio che comprendeva la parte meridionale della Penisola 15 Arabica, era una regione fertilissima, il cui popolo, grazie alla acquisita arte di saper costruire canali, dighe e cisterne per raccogliere l’acqua piovana, aveva trasformato quella terra in un giardino. Successivamente alla visita della regina al re Salomone, una colonia di Ebrei si recò a Saba per stabilire dei rapporti commerciali attraverso il deserto e lungo il Mar Rosso. Per secoli quegli Ebrei prosperarono, crearono floridi villaggi e si integrarono con la popolazione locale, divenendone i cittadini più eminenti. Poi vennero gli anni della desolazione e della carestia. La pioggia divenne scarsa e le sabbie invasero e divorarono lentamente la terra fertile, gli audi si prosciugarono e l’acqua piovana scomparve nel suolo riarso. Uomini e bestie si arroventarono sotto il sole cocente e la sete diventò lotta continua per la vita stessa..Il regno di Saba e gli Stati confinanti, carichi di odio e di invidia si combatterono sino a che non giunsero alla loro completa scomparsa dalle pagine della Storia. Poi con il passare dei secoli,in quelle terre giunse Maometto con i suoi seguaci che li dominarono. Agli Ebrei residenti,fedeli all’antica religione, venne concesso di conservare il proprio culto ed i loro costumi, dato che lo stesso Profeta, aveva ordinato nei suoi precetti, che tutti i Musulmani erano tenuti a trattare con benevolenza gli Ebrei. Passarono ancora altri secoli e gli Ebrei di quei luoghi conservarono un certo rispetto ed una certa tolleranza da parte degli Arabi, ma vennero sempre considerati cittadini di seconda categoria. Sicuramente in Arabia, non si verificarono mai i massacri degli Ebrei come in Europa, ma di tanto in tanto subirono scoppi improvvisi di violenza. Vennero sottoposti a leggi restrittive ed alla esclusione dei diritti civili concessi ai Musulmani. Una disposizione faceva divieto agli Ebrei di alzare la voce davanti ad un Musulmano, di toccarlo, di passargli sulla destra, di costruire una casa più alta di quella musulmane. L’Ebreo non poteva montare un cammello perché la sua testa non superasse in altezza quella dei maomettani che erano a piedi ed infine dovevano vivere separati dai musulmani ,quindi ghettizzati .Intanto il mondo avanzava e progrediva, ma nello Yemen il tempo rimaneva immobile nel tempo e gli 16 Ebrei Yemeniti, cosa incredibile continuarono a considerarsi Ebrei di Israele. Esclusi da tremila anni dal contatto con il resto del Mondo, la loro conversione al Maomettanesimo sarebbe dovuta essere facile, e invece essi osservarono, per tutti i secoli di isolamento la Torah , le leggi, lo Shabbath e le Sante festività. Sia per l’aspetto fisico che nel modo di vestire, nella vita pubblica, privata e spirituale conservarono le abitudini del Vecchio Testamento e non cessarono mai di guardare verso Gerusalemme, aspettando che l’invisibile Yahwe inviasse loro il segnale del “ ritorno “. E finalmente il segnale venne, così come i Profeti avevano predetto. Dopo la dichiarazione di Indipendenza dello Stato di Israele, lo Yemen dichiarò guerra ad Israele e, così gli Ebrei Yemeniti vennero a sapere che Israele era risorto . I loro Rabbini fecero sapere che il messaggio divino era giunto e che il Re David era ritornato a Gerusalemme ed ordinarono agli Ebrei di muoversi e di raggiungere la Terra Promessa. Erano i giorni degli ultimi mesi dell’anno 1948, quando quella massa di gente mite, cenciosa, piccola di statura, con la pelle olivastra ed il viso dai tratti delicati che portavano i tubanti ed indossavano, gli uomini vesti lunghe a strisce e le donne che reggevano i loro bambini in sacchi appesi al dorso, l’abito nero con la frangia bianca che si erano indossate millenni prima nel palazzo del re Salomone, abbandonò i propri averi nella terra dello Yemen e si avviò verso il porto di Aden che fu la meta dell’esodo Yemenita .Dal campo di raccolta di Hashed, posto in prossimità di Aden, a cura del governo provvisorio di Israele, dopo tremila anni di attesa, a mezzo di trasporto aereo, vennero trasferiti in terra di Israele e, così quelle migliaia e migliaia di Ebrei Yemeniti che avevano bloccato il loro modo di vivere nel tempo del re Salomone, posero i loro piedi sul suolo sacro dei loro antichissimi Padri. Esaurito il secondo punto, passiamo ora al terzo ed ultimo punto. La tradizione vuole che al tempo del regno di Israele del re Manasse ( 687 – 642 a . C. ), questi si rese colpevole di fronte alla vista del Signore, tanto che venne punito nei testi biblici dagli scribi perché: “ fece 17 ciò che era male alla vista del Signore, dopo l’abominio dei pagani”. Perché Egli, elevò altari in onore di Baal e adorò e servì tutta la moltitudine del cielo. E costruì altari nella casa del Signore, per tutta la moltitudine del cielo. E fece passare suo figlio attraverso il fuoco, e usò incantesimi e trattò familiarmente con spiriti e stregoni; fece tanto male davanti al Signore che provocò la sua ira. E fece una immagine scolpita del boschetto che aveva preparato nella casa della quale il Signore aveva detto a Davide e a Salomone suo figlio: “ In questa casa, e in Gerusalemme , che ho scelto tra tutte le Tribù di Israele, Io metterò il mio nome per sempre “. Dunque Menasse che aveva fatto “ ciò che era male alla vista del Signore “, aveva introdotto un idolo nel tabernacolo del Tempio. Nel compiere questo passo indietro verso il paganesimo, diveniva inconcepibile che egli avesse lasciato al suo posto l’Arca dell’Alleanza, poiché l’Arca rappresentava il segno ed il sigillo della presenza di Yahweh sulla terra ed il simbolo ultimo della fede ebraica espressamente monoteistica. Amante quale era di incantesimi e di magia, questo re apostata, sicuramente non distrusse la sacra reliquia, rimanendo pur sempre terrorizzato della vendetta divina, ma diede incarico ai Leviti ( sacerdoti addetti alla custodia ed al servizio dell’Arca ) di togliere l’Arca dal Tempio, prima di installare il suo “Asherah “ ( l’idolo ) nella parte più interna del Santuario. Ed i Leviti piegandosi all’inevitabile, trasportarono l’Arca in Etiopia dove si unirono ad una guarnigione di mercenari Ebrei nell’isola di Elefantina sita in mezzo al fiume Nilo, dove nel punto più alto, costruirono un Tempio sullo stesso modello e delle stesse dimensioni del Tempio di Salomone, costruito appositamente per ospitare l’Arca dell’Alleanza. In proposito, gli studiosi che hanno analizzato i papiri, contenenti le informazioni sul Tempio, hanno avvalorato l’ipotesi che l’Arca fosse effettivamente nel Tempio di Elefantina e, anzi, che la sua presenza sull’isola possa aver rappresentato la ragione stessa della costruzione del Tempio. Gli stessi hanno accertato che fin dall’inizio del VII secolo a . C . sull’isola vi era una consistente comunità Ebraica, composta per lo più da mercenari 18 assoldati dagli Egizi. Questi soldati Ebrei, con le loro famiglie avrebbero costituito una ottima base sociale per il culto del Tempio. La data della costruzione del Tempio si aggirerebbe intorno al 650 a . C . che cade proprio durante il regno di Menasse. Vi rimasero per oltre due secoli, infatti nei papiri di Elefantina si legge che nel 525 a . C – un re straniero invase effettivamente l’Egitto e distrusse molti Templi; si chiamava Cambise ed era capo di quello Impero Persiano che fondato da suo padre Ciro il Grande, si trovava ora in piena fase espansionista. Quando Cambise venne in Egitto, trovò questo Tempio Ebraico. Essi, i Persiani rasero al suolo tutti i Templi degli Dei d’Egitto , ma nessuno danneggiò questo Tempio. Così, quando gli Egizi videro che solo il Tempio Ebraico non era stato distrutto, sospettarono che gli stessi fossero dalla parte degli invasori, per cui combatterono contro di questi e distrussero il Tempio. Gli Ebrei vistisi ormai considerati nemici degli Egizi, con i quali sino ad allora avevano convissuto, si rivolsero al Governatore Persiano di Assuan e di Elefantina, che aveva il titolo di “ Governatore della Porta dei Paesi del Sud “, dal quale ebbero il permesso di portare in salvo la loro preziosa reliquia verso i paesi del Sud, che erano conosciuti con il nome collettivo di “ Ethiopia “ che indicava tutta la valle del Nilo a Sud dell’Egitto compresa la Nubia e l’Abissinia. I fuggitivi per ben quaranta giorni percorsero le rive del Nilo, dato che quel tratto di fiume non è navigabile a causa delle rocce e degli scogli che le rendono impraticabili , giungendo ad Assuan, vicino al lago dove oggi sorge la moderna diga che porta il suo nome, poi lo navigarono per dodici giorni giungendo infine nella grande città di Meroe l’antica capitale della Nubia che è la madre di tutta l’Ethiopia. Di li, percorrendo lo stesso viaggio compiuto da Elefantina sino a Meroe, giunsero nella terra dei “ Disertori “ posta al confine tra i possedimenti Egiziani e quelli Etiopici. Esistono storicamente prove in questo senso. Infatti Erodono, il padre della Storia, nelle sue Storie, racconta con molta chiarezza che al tempo del Faraone Psammetico ( 598 – 589 a . C . ), ben 240 mila soldati Egizi, si ribellarono e si unirono ai soldati Etiopici , ma è molto interessante sapere che “ 19 degli Ebrei erano stati mandati come ausiliari a combattere nell’esercito di Psammetico contro il re degli Etiopi. Ne consegue che il gruppo degli Ebrei avendo al seguito l’Arca, nella ricerca di un luogo sicuro, dove poter nascondere la preziosa reliquia, continuarono la loro fuga e percorrendo la terra del Sudan , giunsero fino al Lago di Tana, posto tra le montagne Abissine che dovettero rappresentare sicuramente una destinazione molto attraente per loro, in mezzo a quelle verdi montagne ricche di foreste e ricche di acqua, tanto da apparire ai loro occhi come un secondo paradiso terrestre, in confronto al deserto del Sudan.. La leggenda vuole che non essendovi sul luogo edifici, l’Arca Santa , fu posta nell’interno di una tenda eretta sulla sponda meridionale del lago, chiamata Kirkos, dove rimase per numerosi secoli sino a giungere intorno al 330 d . C . al tempo del re Ezana che la portò ad Axum dove la collocò nella chiesa di Santa Maria di Sion, dove vuole sempre la leggenda, che sia segretamente custodita. La colonia degli Ebrei, giunta nella isola del lago di Tana , vi trovò i vecchi abitanti Etiopici e si fuse con loro, perdendo così gradualmente la propria identità, ma trasmettendo contemporaneamente la fede e la cultura giudaica che avevano portato con loro. In tal modo con il trascorrere dei secoli, non vi furono più “ Ebrei “ in quanto tali che vivevano in Etiopia, ma solo popoli “ Ebraizzati “ o “ Giudeizzati “ che erano a tutti gli effetti degli Etiopici indigeni e che parlavano una lingua Etiopia. I discendenti di questi popoli “ Ebracizzati” o “ Giudeizzati “ sono ai giorni nostri i “ Falasha “ ( gli Ebrei neri di Etiopia )“. Gli insediamenti Falasha in Etiopia vanno dalla sponda orientale del lago di Tana, fino alla città di Gondor. Vivono in piccoli e miseri villaggi, sparsi ai lati della strada maestra della provincia di Gondor e di Gojjam e , grazie all’intervento delle Autorità Israelite, ogni anno migliaia di Falasca emigrano in Israele. Trascorrono la loro vita regolata dalle ferree leggi della terra e delle stagioni, ma animati da una grande dignità e fierezza che deriva dalla 20 consapevolezza di appartenere ad una “ stirpe superiore “ e, quando di rado qualche straniero bianco, attraversa in auto i loro villaggi, le donne, gli uomini ed i bambini li salutano gridando “Shalom, shalom, l’unica parola di ebraico che conoscono. Si rimane perplessi nel constatare che i “ Falasca “ siano Ebrei in tutto e per tutto. Usano circoncidere i propri figli all’ottavo giorno della loro nascita, una data che tra tutti i popoli del mondo viene osservata solo dagli Ebrei e dagli Etiopi. Rispettano il Sabbath ebraico e tutte le ricorrenze delle festività Ebraiche. Rispettano in fatto di alimenti, tutte le leggi che l’Antico Testamento prescriveva, evitando scrupolosamente la carne degli uccelli, dei mammiferi “ impuri “. Il maiale è particolarmente aborrito, facendo attenzione anche ai minimi dettagli. Sintomatico è anche il fatto che gli abiti del clero ortodosso- cristiano Etiope, sembrano modellati su quelli che indossavano i sacerdoti dell’Antico Israele. Il K’enat ( la cintura ) corrisponde alla cinta dell’Alto Sacerdote, il K’oba (la papalina) e quello del mitra e l’askema ( lo scapolare ), con le dodici croci suddivise in quattro file da tre, corrisponde al pettorale sacerdotale, che come precisa il capitolo 28 del libro dell’Esodo, era adornato da dodici pietre preziose disposte anche esse in quattro file di tre. Tutto sommato non è difficile ammettere che tra le minoranze “falasca” , il popolo Etiope ed il popolo Ebreo descritto dall’Antico Testamento vi siano degli straordinari accostamenti di vita, di costumi e di usanze che fanno ritenere che i primi pur allontanandosi dalla antica terra madre di Israele, abbiano continuato a vivere , bloccando il tempo, secondo gli usi, i costumi e la religione di quel popolo a cui essi appartenevano ed appartengono, trasmettendo in maniera indelebile agli indigeni di quella terra ospitale, le loro usanze e particolarmente il loro Credo,tanto è che a tutt’oggi, in quella terra a maggioranza Cristiana – Ortodossa, viene festeggiato e venerato sia dai “falasca” che dalla rimanente popolazione Etiopica il “ Tabot “, cioè la copia dell’Arca di Axum , dove la leggenda vuole che l’originale sia custodita nella Basilica di Santa Maria di 21 Sion, mentre la tradizione si ripete da secoli, festeggiando quattro volte l’anno, con il trasporto in processione per le vie di Axum della copia del “ Tabot “ le ricorrenze principali della religiosità cristiana quali quella della Natività, del Battesimo, della Santa Resurrezione e della Croce . Dopo aver esposto in maniera chiara le tre possibili verità che Bibbia, leggende ed altri testi ci hanno tramandato, ritengo di essere giunto nella fase conclusiva del racconto , lasciando a Voi, miei lettori la scelta di quale degli argomenti riportati, frutto di lunghe e meticolose ricerche, sia il più accostabile alla realtà storica E, poiché sono certo che in seno agli argomenti riportati covi una scintilla di verità per la risoluzione del mistero, potrete anche Voi , forse suggerire una spiegazione,mentre io devo confessare di non essere in grado di farlo. Detto ciò, mi sia consentito di esporre e nello stesso tempo di sottolineare l’incontrovertibile importanza della essenza stessa di quel sacro Decalogo che in tempi lontanissimi venne iscritto dal fuoco divino sulla pietra e successivamente nei rotoli di pergamena della Santa Torah ebraica, il cui insegnamento praticato da tanti e tanti eruditi Maestri, malgrado che gli editti romani di bando lo vietassero ha fatto si, che divenisse parte integrale del Credo comune, mantenendo in vita nonostante le persecuzioni, la religione Ebraica, dalla quale sarebbero poi sorti , sia il Cristianesimo che il Maomettanesimo che da quella prima religione monoteistica, hanno tratto la linfa vitale che tuttora li nutre, ad ognuna della quale noi tutti, a secondo dei nostri rispettivi luoghi di origine, siamo legati , non per libera scelta, ma per millenaria tradizione e cultura. Difatti , sostanziale ne è stato l’apporto con l’instillare nel pensiero del nostro animo l’idea dominante della esistenza di un Dio Unico, creatore e Signore del nostro Universo, del quale noi singole Sue creature ne siamo parte integrante, anche se da oltre un millennio, Capi del potere religioso e non, abusando in maniera abominevole del suo Santissimo Nome e solo per fini esclusivamente di conquista e di sopraffazione hanno distribuito morte , guerre e distruzione sulle terre di quei popoli che hanno avuto il privilegio e l’immensa grazia di poterlo riverire ed adorare, 22 prendendo ipocritamente a pretesto l a diversificata cultura della maniera di credere in Lui.

 

Brindisi, 16 marzo 2007

 

Antonio TRONO