In ricordo di mia madre
Nato e cresciuto in uno dei tanti sperduti e poveri paesi del meridione d’Italia, dopo la metà degli anni cinquanta del secolo scorso, come tanti miei coetanei lasciai la casa paterna, per conquistare altrove un futuro di benessere che nella avara terra natia mi era negato.
Educato come ero nella disciplina e nell’ordine che la costumanza dell’epoca imponeva, dopo aver superato un pubblico concorso di Allievo Sottufficiale nella gloriosa Arma dei Carabinieri, partii alla volta di Moncalieri, ridente centro agricolo posto a Nord di Torino, dove nel vetusto ed antico castello ivi esistente, già residenza di caccia della Reale Casa dei Savoia, esisteva una Scuola, dove i giovani allievi del primo anno del biennio di studi, apprendevano le prime ed essenziali cognizioni tecnico – professionali dei futuri Comandanti di Stazione che sono e saranno il fulcro e l’epicentro dell’Arma e della Nazione stessa, sino a quando il popolo Italiano continuerà ad avere sete ed amore per il vivere ordinato e civile che ogni Nazione ha per ordinamento sancito nella sua Costituzione.
Avevo completato il ginnasio , ma non terminato il ciclo di studi liceali, per motivi che non sto qui a raccontare, in quanto porterebbero sicuramente alla “ messa in berlina “ di quel tipo di Scuola classista, mnemonica e priva di interesse che all’epoca vigeva.
Allora ero molto giovane e nel mio puro e semplice animo si era formato il pensiero che con il veloce consumare dell’oggi e la frenetica attesa del vedere i promettenti raggi splendenti solari del domani, fosse la migliore medicina esistente perché superassi quel periodo travagliato di vita, dove i sacrifici quotidiani, come l’estrema parsimonia ed il privarsi del di più di quanto necessario diveniva una necessità obbligatoria. Così affrontai con animo lieto, questo altro diverso tenore di vita, pure questo costellato da continui sacrifici e privazioni, dove anche se venivano saziati i bisogni corporali, non venivano soddisfatti quello dello spirito libero che in ognuno di noi alberga. Con draconiana resistenza ebbi a piegarmi alle difficoltà che si sovrapponevano durante il percorso, tra il mio abituale e diverso modo di vivere con quello che di autorità mi veniva imposto dal ferreo e secolare regolamento militare, divenendo capace di simulare ossequiosa sudditanza a tutto quello che l’ordinamento prescriveva, ma rimanendo nel mio animo nato e rimasto libero di ogni costrizione, capace di saper distintamente valutare nella scelta quello che era giusto da quello che era ingiusto e di conseguenza seguire ed assecondare.
Questi miei pensieri, queste mie riflessioni, ora a distanza di molti e molti decenni, dopo un attento esame , mi portano a considerare che la ragione di questo mio raggiunto grado di giusto ed equilibrato giudizio, lo debba essenzialmente alla persistente e quotidiana cultura educativa che la mia adorata madre sin dalla prima infanzia, adolescenza e prima gioventù ebbe a concedermi attraverso il suo immenso e smisurato amore materno.
Oh, la mia cara mamma! Di lei ho la sua immagine fissata in una sua foto che la ritrae quando Ella percorreva i suoi quaranta e più anni.
Ella, conservava ancora il fulgore della sua bellezza giovanile.
I suoi capelli, acconciati alla maniera dell’epoca del suo tempo, erano ben ordinati e di un color castano chiaro ed i suoi grandi ed espressivi occhi dal color verde cangiante, esprimevano tutta la sua gioia di vivere e dello amore che infondevano.
Nel rimirare quella foto, la mia anima va indietro nel regno del tempo della mia fanciullezza e si bea nel rimirare quei lineamenti amati.
Quanto tempo è passato da allora, tanto tempo che mi appare come una enorme, splendente e lontana montagna che sempre più mi attrae, ma che pur tentando continuamente di valicare, sempre ne vengo respinto indietro, restando in me solo una immensa nostalgia per la quale il mio animo si strugge. Ricordando la sua dolce figura, mi sovvengono alla mente frammenti di quelle brevi e gioiose giornate della mia fugace fanciullezza, quando mentre intento a giocare con il mio fratellino, la vedevo,a faccende domestiche ultimate, dedicata nel trascorrere il suo tempo libero, a leggere storie di Santi e di novelle di amore, lontana da mio padre, costretto in terra di Africa, a difendere le presunte mire espansionistiche della nostra Italia.
E le sere di inverno, quando coricato nel mio lettino, mentre la profonda e rumorosa voce del tuono all’improvviso rompeva il monotono e persistente pigolio della pioggia cadente, colmo di paura ancestrale, non riuscivo a prendere sonno, udivo a me vicino la sua dolce presenza che con rassicurante ed amorevole voce materna iniziava a narrare in maniera meravigliosa racconti di vite di Santi e di Eroi che man mano estraeva dal suo solido e ben nutrito bagaglio culturale,capaci di concedere a quel mio fisico adolescenziale quella tanta agognata pace e quell’anelato riposo tanto desiderato. Mi sovviene che nella casa della mia fanciullezza, oltre all’Abacus che in quei tempi di vita scolastica, costituiva l’unico e solo libro, dal quale ogni fanciullo, doveva estrarre il futuro sapere, vi erano altri libri di storia Patria, di novelle di amore e di vite di Santi.
Per cui con il trascorrere degli anni, oltre ad apprendere le semplici e modeste nozioni di scuola, mi immergevo nella lettura di quei libri di storia, ben evidenziati nella pur modesta biblioteca di mia madre. Così sin da bambino, mi piaceva leggere, studiare, relazionare, evidenziare dati e date di vita di condottieri, di Santi e di Eroi, comporre brevi poesie a strofe alterne e, ad avere dimestichezza con i libri.
Sono certo che sin da allora, l’amore per la cultura del sapere e del conoscere, ebbe ad instillarlo nella mia mente, la mia diletta ed amata madre, la cui immagine a distanza di più decenni della sua morte, mi è sempre familiare e cara e, non trascorre giorno, senza che il mio devoto pensiero di figliolo tanto amato, non corra da Lei.
Degli anni della mia lontananza dalla casa paterna, conservo tuttora le lettere che Ella mi inviava ed a volte, nelle sere di inverno, quando la pioggia martella aritmicamente sui vetri della finestra del mio studio, a me piace frugare e trarre a caso una di esse.
Leggerla e come ritornare in quel lontano tempo che fu, dove giovane e suo amato figlio primogenito, venivo indottrinato minuziosamente dai suoi saggi e materni consigli circa il buon comportamento di vita da osservare, nello incoraggiarmi alla continuazione degli studi interrotti, nello indicarmi le buone compagnie da frequentare, i risparmi da preservare e l’amore per il prossimo da professare.
Nella mia mente è rimasto indelebile il ricordo di quella triste e dolorosa sera del 31 dicembre del 1979, quando fra le mie braccia, con una espressione sorridente e dolce, esalò il suo ultimo respiro, quasi a voler manifestare il trionfo della sua anima liberata dalle atroci sofferenze che il suo tanto a me caro corpo aveva affrontato negli ultimi tempi di vita, costretta in un letto di dolore e di morte da una terribile e subdola malattia. Allora sentii confusamente che con lei mi era stata tolta la parte migliore della mia stessa anima.
Oggi, rinvangando quei momenti provo la stessa sensazione di allora, anche se quel doloroso, triste e comune avvenimento, rimane sepolto nel profondo buco nero della dimenticanza dalla quale nei momenti di maggiore riflessione, affiorano il ricordo e la nostalgia.
Ora di quello che dei suoi resti mortali viene conservato, è racchiuso in una tomba stretta, dove Ella venne deposta, nella nicchia di un bianco loculo, affianco a quello di mio padre che ebbe a precederla.
Di mio padre ho scarsi ricordi, in quanto i tempi trascorsi a lui vicino furono brevi nel tempo, considerato che quando io nacqui Egli era già lontano in terra di Africa; lo conobbi all’età di otto anni, quando al termine della seconda guerra mondiale, prigioniero degli Inglesi, venne liberato e fece ritorno in Patria.
Dopo appena due anni di convivenza venni mandato in un collegio dove rimasi per cinque lunghi anni terminando gli studi ginnasiali.
Ritornato in seno alla famiglia, vi rimasi per altri tre anni per poi allontanarmi nuovamente per intraprendere la via della carriera militare.
Ma allorquando venne il momento della Sua dipartita da questa vita terrena,mentre era ancora nel pieno vigore dei Suoi anni, trovandomi a circa 700 chilometri di lontananza come dotato da facoltà sensitive, percepì dolorosamente e con grande travaglio il momento del Suo distacco. Quella tarda sera, diversamente dalle altre, tutto ad un tratto e senza alcun preavviso, ebbi a subire fisicamente e spiritualmente una atroce sofferenza, alla pari di un improvviso doloroso amputare di una parte di me stesso Dall’allegro e spensierato vivere , quale ero abituato a combinare , caddi tutto ad un istante in un profondo stato di afflizione, ed al mio vivace e lieto comportamento subentrò uno stato di cupa tristezza, mentre nel mio fisico si irradiavano doglianze mai in precedenza avvertite. Mi ritornano alla mente in maniera nitida quei momenti, quando trovandomi in amichevole e festosa compagnia, improvvisamente avvertì la necessità di raccogliere me stesso isolandomi, per essere pronto a fronteggiare l’avversa sorte che come fulmine a cielo sereno colpiva e troncava di netto la parte essenziale delle mie radici. Feci rientro nel mio alloggio di servizio e mentre sdraiato sul mio letto,cercavo mentalmente di anteporre la ragione ai neri presagi di morte e di desolazione che l’istinto mi suggeriva, lo squillare del telefono mi riscosse da quel funereo torpore. Dallo altro capo del filo, in maniera cruda e senza anima, mi veniva comunicato l’avvenuto ed improvviso decesso del mio amato genitore. Fu quello il primo dolore della mia vita che tranciò nettamente quel legame di gioiosa e felice gioventù, facendomi divenire all’istante adulto e responsabile.
Con mia madre, trascorsi invece per intero tutta la mia fanciullezza e nel ricordo di essa, Ella mi è rimasta diletta. Ora che gli anni si sono succeduti agli anni ed i decenni ai decenni, pur essendo felicemente divenuto prima marito, poi padre ed infine nonno di tre bellissimi e bravi nipoti, il mio pensiero nostalgico va di tanto in tanto a riscoprire momenti e scene di vita vissuta di quella mia fanciullezza carica di piacevoli momenti vissuti vicino a mia madre. E così avviene che mentre dimentico molti episodi della mia vita da adulto, le scene di quella mia fanciullezza mi ritornano vivide come figure isolate da una fantasmagoria circondata dalle tenebre.
Mi rivedo fanciullo in quella epoca del pieno svolgersi del secondo conflitto mondiale, quando correvano tempi avversi, durante i quali non esisteva alcuna agiatezza, ma una estrema povertà e la lotta quotidiana per la sopravvivenza era la norma di vita per la moltitudine.
Eppure mia madre, riusciva a far crescere me ed il mio fratellino sia pure con poco pane ma con molto e molto amore.
Cotanto amore Ella lo manifestava maggiormente quando scarseggiando anche quel tanto poco pane, poneva me e mio fratello a letto e con la sua melodiosa voce, iniziava a raccontare le sue meravigliose storie i cui ricordi hanno fatto lievitare in me l’amore per il mio paese e la fierezza di appartenere a quella cittadinanza che ha saputo fare raggiungere il benessere a quella che allora era la tanto dilaniata e misera nostra Patria.
A mia madre ed a tutte le madri che vissero in quell’epoca , da considerare tra parentesi, il tempo più buio e triste della nostra era, si deve se noi loro figli, rivedemmo nuovamente il sorgere del nuovo sole, che ha illuminato il nostro quotidiano vivere, facendoci ritornare ad essere in grado di riconquistare quella dignità umana che i nostri avi avevano conquistata lottando in tempi altrettanto oscuri e bui. Noi loro figli, abbiamo continuato a percorrere, ad allargare ed a consolidare , con sacrifici e dedizione al lavoro, i sentieri da loro tracciati, facendoli divenire delle moderne autostrade , attraverso le quali abbiamo raggiunto il benessere.
Stiamo attenti però, che tutto quello che per mia madre e le altre madri è stato possibile, lo è stato solo perché in quel doloroso periodo di tempo e di luogo, quando l’odio razziale e di religione aveva raggiunto il suo apice e si annidava sulla vetta più alta del mondo da dove riusciva ad inghiottire sempre più voracemente enormi masse di nostri simili, continuando sempre di più a vomitare ininterrottamente distruzione e morte, negli animi semplici e coraggiosi delle nostre adorate mamme, che vivevano sempre maggiormente di più ristrette in angusti spazi,ebbe a germogliare quel minuscolo , sacro, meraviglioso e sempre più magnifico seme dell’amore, da secoli esperimentato nei riguardi dei propri figli.
Quel germoglio, bagnato dalle lacrime di dolore, per le molteplici morti di padri, di figli e di vicini, man mano ebbe a crescere sempre di più, ingrandendosi ed ingigantendosi sino a superare quella elevatissima vetta dove l’odio si era annidato, soffocandolo e spargendo le sue ceneri nei tumultuosi mari e sugli scossi umani territori, che come per incanto divennero calmi, docili e benefici per l’umanità che così riprese nuovamente a vivere in pace. Ma ahimè, poco tempo è durato tutto ciò, nel pur sempre molto limitato tempo della nostra vita.
Le medesime guerre e gli stessi odi,ora si inerpicano nuovamente lungo le pareti di quella montagna più alta del mondo per riprendere l’antico posto da dove continuare a vomitare i loro blasfemi semi di rancore e di morte, che ben presto, Dio non voglia, diverranno giganteschi alberi i cui smisurati rami dalle enormi e nefaste foglie, copriranno le nostre case, i nostri mari ed i nostri colli, disseminandoli di distruzione e morte.
Ora che sull’orizzonte del mio domani, si sta addensando una leggera nebbia che sembra avvolgere il panorama della mia vicina senescenza, mi ritrovo di tanto in tanto ad essere un sentimentale pieno di paure e di timori.
Ma il sentimentalismo, le paure ed i timori, grazie all’imperituro e durevole amore che la mia veneranda madre ebbe ad infondermi, non sono fatti per me come i capelli bianchi e radi, le rughe che ormai fan parte del mio volto ed il passo che a volte diviene lento e cauto, abituato come ero a girare per le vie del mondo con passo snello, veloce e robusto.
Brindisi, 30 aprile 2007.-
Antonio Trono