La vera storia dei poveri soldati di Cristo: i Templari

Ormai i felici giorni della mia dolce e frenetica primavera, della mia gioiosa estate e del mio rassegnato autunno, sono trascorsi. Ora mi resta da vivere il triste, minaccioso e freddo inverno, sino a ché Iddio lo vorrà.

In un mio sonetto dal titolo: “Un sogno infranto”, immagino di essere immortale, per dedicare al mondo sempre novelli carmi, per poter raccontare ai miei simili, storie di altri uomini, che attraverso le loro gesta compiute sempre umanamente, si sono resi immortali alla Storia delle genti.

Con questo pensiero e con questa idea, mi accingo a narrarvi delle splendide, pur consapevoli opere, che i confratelli dell’Ordine dei Monaci-Guerrieri, cioè dei Templari, compirono tra il 1119, anno in cui Ugo de Payen, nobiluomo della regione della Champagne, decise di dar vita ad una associazione militare che potesse proteggere il percorso delle carovane di pellegrini che si recavano in Terrasanta, per visitare il Santo Sepolcro di Nostro Signore Gesù Cristo.

Tanto sino al 1307, anno in cui Filippo il Bello, re di Francia, avido di impossessarsi, senza mai riuscirci , del tesoro accumulato dai Templari e sorretto dal pavido ma molto scaltro papa Clemente V, volutamente prestò fede a delle voci che andavano nascendo intorno all’Ordine, trasformandole in capi d’accusa per un processo, dal quale nel 1314, la quasi totalità dei Templari, uscì imprigionata e torturata. Ben pochi di essi si salvarono da tale infamia, rifugiandosi in Scozia, dove le Bolle papali di scioglimento dell’Ordine, non furono mai pubblicate.Nella nobile terra di Scozia l’Ordine non fu mai sciolto. Ma a distanza di sette secoli, rimane il mistero sui motivi effettivi che diedero origine alle mistificazioni che circondavano i Templari. Come mai questi monaci-guerrieri, ardenti e fanatici, mistici cavalieri dal mantello bianco ornato dalla “croix pattèe” rossa, che avevano avuto un ruolo tanto importante nelle Crociate, che erano considerati gli arditi della Terra Santa, che avevano combattuto ed erano morti a migliaia in nome di Cristo, furono poi accusati di rinnegare e ripudiare lo stesso Cristo? Di calpestare la Croce e di sputarvi sopra.

L’avidità di Filippo IV, detto “il Bello”, re di Francia ed il pavido accondiscendente papa Clemente V, non bastano a spiegare sufficientemente questo lato oscuro della Storia. Resta un fatto sconcertante ed inspiegabile, salvo a voler considerare gli stessi, come molti studiosi, ancora oggi sostengono, che l' Ordine, fosse una istituzione molto più misteriosa, un Ordine essenzialmente segreto, votato ad intrighi oscuri, a macchinazioni clandestine e a tenebrose cospirazioni, tanto da portare il re di Francia ed essenzialmente il papa a sciogliere l’Ordine e di imprigionare e torturare migliaia di confratelli, cosa peraltro normale per quei tempi. Ciò nonostante, essi, con il loro operato e con le loro azioni, contribuirono a creare una Europa unita, non più dilaniata dalla guerra fratricida, per ben due secoli, con il preciso scopo di togliere dalle mani degli Infedeli il Sepolcro di Cristo e a far vivere in ognuno di noi, almeno nello spirito, quella Gerusalemme Celeste, mistico centro del mondo, tanto che Sant' Agostino ebbe a definirla “la città della pace senza tempo”, che resta pur sempre la città sacra per i fedeli di tre religioni: la Cristiana, l’Ebraica e la Musulmana.

Quello che vi narrerò, non è altro che la sintesi di diversi libri specifici che per il mio sapere ho letto ed analizzato e che ora riverso a voi per l’esatta conoscenza dell’Ordine di quei Poveri soldati di Cristo che, tra valutazioni a volte molto discordanti tra loro, in nome di Gesù Cristo, compirono gesta eroiche ed apportarono innovazioni nel campo dell’architettura, a dire di Hartwig Sippel, lo stile gotico, un orientamento stilistico che sarebbe emerso nel 1130 nel nord-est della Francia, la zona da cui provenivano tutti i principali fondatori del Tempio, dopo il ritorno dall’Oriente per il Concilio di Troyes.

Grazie a loro, noi oggi possiamo ammirare quelle splendide cattedrali luminose, protese verso l’alto, come se volessero toccare il cielo che a dire del Santo monaco Cistercense Bernardo di Clairvaus, erano capaci di risvegliare nel popolo il sentimento della presenza di Dio, rese possibili in base a nuove conoscenze della statica che prima di allora non vi erano in Europa.

Già al tempo dell’Ordine correvano voci su quei superbi cavalieri, tutti vestiti di bianco, che nella disfatta, mostravano disprezzo per la morte, ma che nel quotidiano si lasciavano a malapena intravedere. Che cosa accadeva dunque dietro le mura merlate del castello dei Templari? Da dove provenivano realmente le loro ricchezze, note a tutti?

Nella giornata del 13 luglio del 1099, Gerusalemme venne liberata dai Crociati e tornò alla Cristianità, dopo secoli di dominio Musulmano. Fu molta la felicità tra gli armati Crociati, perché erano riusciti a condurre a termine, tra indicibili fatiche, sofferenze e migliaia di morti, il pellegrinaggio Santo, liberando finalmente la città dalle mani degli Infedeli.

Narrano i cronisti dell’epoca, che i pellegrini entrati in città, perseguitarono e massacrarono i Saraceni fino al Tempio di Salomone, ove quelli si erano rifugiati e dove combatterono furiosamente per tutto il giorno a tal punto che il Tempio tutto intero rosseggiava di sangue. Nella città Santa, secondo il Credo comune diffuso in tutto il mondo, Cristo scese dal cielo e lì dopo la sua Resurrezione con il trionfo del Bene sulla forza delle Tenebre, fu riportato il Paradiso in Terra. Per cui questa nuova Gerusalemme celeste divenne il simbolo della speranza di salvezza della Cristianità intera. Ed il reale ed il divino si mescolarono talmente insieme, al punto che la Chiesa da quel momento nella chiamata alle Crociate che rivolgeva ai suoi credenti, descriveva quel paese come immensamente ricco. Molti Crociati si aspettavano realmente di trovare in Gerusalemme una città coperta d’oro, ma vi trovarono invece una lotta durissima da affrontare quotidianamente. Si narra infatti che la via principale che conduceva dal porto di Jaffa, sino a Gerusalemme, passando per Ramleh, particolarmente il tratto montuoso tra Ramleh e Montoje, fosse il rifugio prediletto dei briganti, tanto che nessun pellegrino osava affrontarlo senza una adeguata scorta armata. Gli stessi cronisti narrano di un assalto musulmano ad una carovana di pellegrini tra Gerusalemme ed il fiume Giordano nella Pasqua dell’anno 1119. E fu proprio questo triste episodio che certamente non rappresentò un caso isolato, ma che ebbe una particolare importanza, in quanto diede il via alla immediata fondazione dell’Ordine dei Templari.

L’anno preciso, in cui venne fondato l’Ordine, rimane incerto. Le notizie che si hanno, sono state apprese dagli scritti lasciatici dallo storico Guglielmo, Arcivescovo di Tiro, che nacque nel 1130 e scrisse tra il 1175 ed il 1185, quando gli eserciti dell’Occidente, avevano già conquistato la Terra Santa e fondato il regno di Gerusalemme, per cui il suo racconto, non può considerarsi di prima mano. Secondo le sue “Storie degli avvenimenti di Oltremare”, egli in proposito narra, che dinanzi a Garimond, patriarca di Gerusalemme, fu fatto solenne voto, di vivere da quel momento in poi, secondo la Regola di San Benedetto: in povertà, castità ed obbedienza. Quei cavalieri che vi aderirono, giurarono che avrebbero fatto tutto il necessario per rendere le strade libere e sicure e proteggere i pellegrini da rapine ed aggressioni da parte degli Infedeli. Tra il 1127 ed il 1144, in terra d’Oltremare, non vi erano cronisti, per cui non esisteva una documentazione scritta relativa a quegli anni importanti.

Poche sono le notizie che Guglielmo ci ha tramandato per cui le sue asserzioni appaino discutibili. Giacomo di Vitry, vescovo di Akkon, ci fornisce nel XIII secolo, qualche ulteriore dettaglio sulla fondazione. Così riferisce: <<nove uomini aderirono a questo patto santo e servirono per nove anni in abiti laici che i credenti avevano dato loro in elemosina>>. Narra altresì che il re, i suoi cavalieri ed il patriarca erano colmi di compassione per questi nobili cavalieri che avevano rinunciato a tutto per Cristo. Ma questa rimane una storia totalmente inventata. Inoltre Giacomo si pone in contrasto con Guglielmo sul numero dei cavalieri fondatori. Secondo Guglielmo di Tiro, l’Ordine dei Poveri Cavalieri e del Tempio di Salomone, fu fondato nel 1118. Il fondatore sarebbe stato un certo Hugues de Payen, un nobile vassallo del conte di Champagne.

Un giorno Hugues si presentò spontaneamente assieme ad otto compagni nel palazzo di Baldovino I, re di Gerusalemme, il cui fratello maggiore, Goffredo di Buglione, aveva conquistato la città Santa diciannove anni prima. Baldovino li accolse con grande cordialità, come fece anche il patriarca di Gerusalemme, primate religioso del nuovo regno ed emissario speciale del pontefice. Ma occorre tener conto che tra il 1119 ed il 1128, altri cavalieri avevano fatto il loro ingresso nell’Ordine e che il numero iniziale di nove cavalieri non va preso alla lettera, in quanto potrebbe avere un significato simbolico. Infatti il numero tre simboleggia, nella mistica medievale dei numeri, la Santità (sicuramente per il richiamo alla Trinità di Dio) ed il numero nove era considerato il numero santo per eccellenza, essendo il risultato di tre volte tre, quindi la perfezione assoluta.

Tutto ciò fa ritenere che non si trattasse di nove cavalieri, ma più realisticamente di alcuni cavalieri prescelti per importanza, su un numero ben maggiore. Tornando a Giacomo di Vitry, egli ci offre una bella immagine di nove cavalieri che vissero per nove anni vestiti di consunti abiti laici avuti in elemosina, ma è importante sapere che in tale contesto il voto di povertà, valeva solo per i singoli cavalieri e non per l’Ordine, non fosse altro che ogni nuovo membro era tenuto ad intestare all’Ordine stesso tutti i propri beni, tanto che l’Ordine poteva contare già su una considerevole ricchezza, solo pochi anni dopo la sua fondazione. Dall’anno 1119, cominciò anche il flusso delle donazioni, seconda fonte importante per la ricchezza della confraternita. Lo stesso Baldovino I, re di Gerusalemme, mise a disposizione dell’Ordine il suo palazzo e si trasferì in un altro edificio, nei pressi della Torre di Davide e poiché la sede dell’Ordine, sorgeva nel luogo in cui in precedenza era stato costruito il Tempio di Salomone, ben presto i cavalieri cominciarono ad essere indicati come “Fratelli del Tempio”, “Cavalieri del Tempio” e più semplicemente “Templari”. Ufficialmente però il loro nome era “Poveri soldati di Cristo” (Pauperes commilitones Christi Salomonici Hierosalemitas).

Guglielmo di Tiro, invece narra che i nove cavalieri non ammisero nuovi candidati nel loro Ordine. Ufficialmente vivevano ancora in povertà, al punto che i sigilli autentici, mostrano due cavalieri in groppa ad un solo cavallo, per simboleggiare non solo lo spirito di fratellanza, ma anche una mancanza di mezzi che impediva una cavalcatura per ciascuno. Intanto dopo nove anni la fondazione dell’Ordine, quasi tutti i nove cavalieri tornarono in Europa e di qui innanzi, passeremo sopra con maggiore precisione sull’operato dei Templari. Re Baldovino II, finanziò questo viaggio ed idealmente diede il suo appoggio dando ad Ugo de Payen una lettera di raccomandazione in cui lodava apertamente il progetto dei Templari. In questo viaggio, Ugo de Payen visitò la Normandia ed attraversò il canale della Manica. Viaggiò in tutta l’Inghilterra spingendosi fino in Scozia, reclutando ovunque cavalieri per Gerusalemme. La sua opera riscosse un grande successo in Champagne, in Borgogna, in Belgio e nelle Fiandre. Artefice di tali successi fu sicuramente San Bernardo de Clairvaux, il quale nel gennaio del 1128, riunì a Trojes, dove era la corte del Conte di Champagne, Ugo di Champagne, al quale erano presenti un Legato papale, nella persona del cardinale Mattia di Albano e data la sua importanza, dimostra che anche Papa Onorio II era particolarmente interessato agli avvenimenti, due arcivescovi, gli abati di numerosi conventi, Ugo de Payen ed altri membri dell’Ordine che non vengono indicati. Inoltre si contano pure i più alti dignitari dei Cistercensi, il che dimostra quale fortissima influenza esercitasse questo Ordine monacale sugli ideali dei Templari. In tale occasione, fu ufficialmente riconosciuto l’Ordine militare-religioso dei Templari ed Ugo de Payen venne insignito dal titolo di Gran Maestro. Lui ed i suoi subordinati sarebbero stati monaci-guerrieri, soldati-mistici, ed avrebbero unito la disciplina austera del chiostro ad uno zelo marziale fanatico; creando così una “milizia di Cristo”, come venivano chiamati a quel tempo.

Le regole dell’Ordine furono redatte da Ugo de Payen, durante i nove anni trascorsi in Gerusalemme. Solo in seguito Bernardo de Claivaus ne modificò alcuni dettagli e da ottimo monaco quale era, diede alle regole una adeguata cornice, in modo tale da essere accettate dalla Chiesa. Nel testo introduttivo, Bernardo, si rivolgeva alla cavalleria laica e la invitava a “seguire coloro che Dio aveva prescelto,sulla massa dei dannati e destinati con la sua grazia, a difendere la Santa Chiesa”. Citando inoltre la lettera di Efeso 1.4, Bernardo chiude “poiché molti sarebbero stati designati, ma solo pochi gli eletti.” Volendo fare intendere in tal modo che in una Chiesa riformata, per come egli voleva che fosse, i Templari avrebbero dovuto essere i prescelti per costruire una nuova cavalleria che non uccidesse ed aggredisse, ma che soccorresse i poveri, le vedove e gli inermi, divenendo esempi viventi della vita cristiana.

Esistono due versioni delle regole, la prima, quella ufficiale, in latino, che venne discussa durante il Concilio ed altra in francese. Entrambe coincidono e solo in alcune parti, quella latina, rimane più completa.

Il regolamento latino comprende 72 articoli che dettano come deve svolgersi la vita in comunità dell’Ordine che riflette in tutto la vita monastica dei Cistercensi. Il motto ora et labora (prega e lavora), sintetizzava la vita quotidiana dei Templari; essi dovevano pregare e seguire la messa se non vi erano incombenze militari ad impegnarli. I novizi dovevano fare voto di povertà, castità ed obbedienza. Secondo la regola di San Benedetto, erano obbligati a tagliarsi i capelli, ma non potevano tagliarsi la barba e questo li distingueva, in una epoca in cui quasi tutti gli uomini si radevano. Il vitto, l’abbigliamento ed i vari aspetti della vita quotidiana erano meticolosamente e rigorosamente regolati secondo i principi monastici e militari. Tutti i membri dell’Ordine erano tenuti ad indossare, abiti, sopravesti e mantelli bianchi e questo portò ben presto al tipico mantello bianco, con la vistosa croce rossa sulle spalle che venne introdotta solo nell’anno 1146, sotto il pontificato di Eugenio III, per il quale i Templari andavano fieri e ne erano famosi. “Non è concesso a nessuno portare vesti bianche o mantelli bianchi, eccettuati i Cavalieri di Cristo”. Così stabiliva la regola dell’Ordine che si soffermava sul significato simbolico di questo abbigliamento. “ A tutti i cavalieri professi, nell’inverno e nell’estate, noi assegniamo, se possibile procurarli, indumenti bianchi, affinché coloro che hanno rinnegato una esistenza tenebrosa, sappiano di doversi raccomandare al loro Creatore con una vita pura e candida”.

Oltre a questi particolari, la regola istituiva a grandi linee una gerarchia ed uno apparato amministrativo. Il comportamento da tenere sui campi di battaglia era rigorosamente stabilito. Ad esempio se venivano catturati, i Templari non erano autorizzati a chiedere né misericordia e né a riscattarsi. Erano tenuti a combattere sino alla morte. E non potevano nemmeno ripiegare, a meno che i nemici fossero tre volte più numerosi di loro,ed avrebbero dovuto accettare la battaglia contro gli Infedeli, anche quando questi fossero stati numericamente tre volte superiori, mentre contro i Cristiani, invece, avrebbero potuto combattere solo se provocati per tre volte. Pur tuttavia alcune volte i Templari presero alla lettera questi paragrafi e si gettarono in avventure militari che spesso rasentavano il suicidio.

L’episodio più eclatante fu quello che venne definito come “la folle cavalcata” del Gran Maestro dei Templari Gerardo de Ridefort, quando nel maggio del 1187 a Sefonia, con 150 cavalieri, attacco ben 7000 musulmani che naturalmente li travolsero ed uccisero tutti, eccetto tre, fra i quali, purtroppo,il responsabile dell’eccidio. Le regole che imponevano di affrontare i Cristiani solo in seguito ad una triplice provocazione avrebbero dovuto invece rammentare ai Templari la memoria della loro missione, di proteggere i Cristiani dai Saraceni e non di attaccare lite di qualsiasi tipo con altri cavalieri. Uno dei più interessanti capitoli del regolamento, stabiliva che ogni uomo libero che faceva atto di sottomissione, avrebbe potuto entrare nell’Ordine. Tutti coloro che fossero stati interessati avrebbero quindi potuto farsi avanti con la certezza che nessuna domanda scomoda sarebbe stata loro posta. In certo qual modo i Templari rappresentavano la “legione straniera” del Medioevo.

A questo punto sorge spontanea la domanda su come mai San Bernardo abbia approvato un dispositivo che pareva tacere sui necessari valori cristiani che doveva possedere il cavaliere?

Un valido motivo era quello che i Templari erano soldati e non potevano andare molto per il sottile. Nei primi tempi, quando si cercavano sempre più nuovi aderenti, l’idoneità caratteriale, passava in secondo ordine.

Ben presto però questa lacerazione tra considerazioni pratiche e l’alta rivendicazione teorica dell’integrità dei confratelli, ha pesato molto sui fondatori dell’Ordine. Avvenne così che mentre sino al Concilio, i Templari rappresentavano una piccola confraternita elitaria, composta da uomini profondamente religiosi, dopo, all’improvviso, si trovarono ad avere nell’interno dell’ordine, tutti i malfattori dell’Occidente. Questo fu anche a causa della differenza tra la versione latina e quella francese del regolamento. La versione francese permetteva esplicitamente l’arruolamento di nuove reclute tra gli scomunicati, mentre nel testo latino messo a punto a Troyes è altrettanto esplicitamente vietato. Il fatto che la versione latina del regolamento proibisse questo tipo di reclutamento rappresentava una chiara indicazione che prima del Concilio i nuovi cavalieri erano stati arruolati proprio in questo modo.

Durante i due decenni successivi al Concilio di Troyes, l’Ordine ebbe una espansione notevolissima e fortemente rapida. Quando Hugues de Payen si portò in Inghilterra verso la fine del 1128, fu ricevuto con grande ammirazione dal re Enrico I. Da tutta l’Europa i figli cadetti delle famiglie nobili si arruolarono nelle file dell’Ordine, e da ogni parte del mondo cristiano di allora arrivavano numerose donazioni in denaro, beni e terre. Se si tiene conto di questa politica, non è affatto sorprendente che le ricchezze dei Templari si moltiplicassero così rapidamente. Già dodici mesi dopo il Concilio di Troyes, l’Ordine possedeva ricche proprietà terriere in Francia, Inghilterra, Scozia, Fiandre, Spagna e Portogallo. Dopo un altro decennio, ne aveva avute anche in Italia, Austria, Germania, Ungheria, in Terrasanta ed in varie località orientali. Anche se i cavalieri individualmente erano soggetti al voto della povertà, questo non impediva all’Ordine di accumulare ricchezze senza precedenti. Tutto ciò che veniva offerto all’Ordine era bene accetto, ma gli era fatto divieto di cedere qualsiasi cosa e non poteva farlo neanche per pagare il riscatto dei suoi capi. Quindi il Tempio riceveva doni in abbondanza, ma per la Regola, non dava mai nulla. Quando nel 1130 Ugo de Payen ritornò in Palestina con una scorta di circa 300 cavalieri, un numero considerevole, per quei tempi, si lasciò alle spalle, affidate alla custodia di altri commilitoni, immense proprietà terriere sparse in tutta Europa.

Per ben due anni Ugo de Payen lasciò i suoi confratelli senza guida in Palestina, dal 1127 al 1129, ed in questo periodo essi dovettero combattere più spesso di quanto non avrebbero gradito. Certamente in quel periodo rapine e brigantaggio non furono esercitati solo dai Saraceni ma, nei loro insediamenti anche dai Cristiani. E' certo che uccisero anche dei Cristiani. Nell’anno 1129 i Templari combatterono nell’assedio di Damasco, come autentici soldati furono sconfitti e dovettero subire gravi perdite. Questa sconfitta, servì per ammorbidire l’alta concezione che avevano di sé, perché tronfi di se stessi, si domandavano come mai la benedizione di Dio non si era posata sul loro giovane Ordine?

Avvenne così che anche nelle sfere della gerarchia ecclesiastica, nonostante l’alto riconoscimento ricevuto dai Templari a Troyes, non si era creata alcuna unità di opinioni sul fatto che i cavalieri- monaci esercitassero una professione davvero gradita a Dio. A ciò seguì una lettera di un certo Ugo Peccator che scrisse ai cavalieri rimasti a Gerusalemme. L'intento era quello di rimuovere i dubbi degli stessi Templari sulla loro missione. Si sospettò che autore della lettera fosse lo stesso Ugo de Payen, ma ciò ha poca importanza. Resta il fatto che chiunque l’abbia scritta, questi esponeva in modo chiaro i dubbi che perduravano caparbiamente all’interno dell’Ordine e che venivano ripetutamente espressi dai rappresentanti del clero.

La lettera tuttavia difendeva i Templari dai rimproveri che una vita spesa combattendo fosse biasimevole d’innanzi a Dio, in quanto la guerra allontana dalla preghiera. Volle altresì soffocare questi dubbi sulla loro missione, che altro non erano che segnali di vanagloria. I cavalieri avrebbero dovuto seguire i compiti che Dio, tramite il Gran Maestro, affidava loro, con totale umiltà, serietà e attenzione. La lettera raccomandava ai Templari di non esternare le proprie idee e di obbedire. Ugo de Payen, sospettando che tale lettera non bastasse da sola a giustificare la loro professione, si rivolse all’uomo di Chiesa più stimato che esistesse allora, Bernardo di Clairvaus, chiedendogli ausilio. Questi, infatti, negli anni 1130 o 1131 pubblicò un trattato sui monaci-cavalieri “Lode della nuova milizia”, nel quale descriveva la lotta armata per la Chiesa come una strada che avrebbe condotto sicuramente alla salvezza, tanto quanto la vita monastica.

Il significato della lode poneva l’inizio di un’alleanza indissolubile tra i Templari, Bernardo di Clairvaus ed il papato. Bernardo lodò gli scopi dell’Ordine e pose sul piatto della bilancia tutta la sua influenza per convincere il papa della bontà della causa dei Templari. Grazie a questa intercessione si instaurò un rapporto simbiotico tra il papato e l’Ordine e da allora i cavalieri servirono il Santo Padre come un’armata privata ottenendo privilegi straordinari da diversi papi. Con la Bolla papale “Omne datum optimum” del 1139, Innocenzo II si occupò per la prima volta dei Templari e della loro missione che approvava apertamente. Il Papa chiaramente, sotto l’influenza spirituale di Bernardo di Clairvaus, loda la virtù dei cavalieri con parole che provenivano sicuramente dalla Lode: <<Voi avete abbandonato la strada facile che conduce alla morte,e scelto con umiltà,il duro cammino che conduce alla vita. Dio stesso vi ha reso difensori della Chiesa ed oppositori dei nemici di Cristo>>. Tuttavia Innocenzo non solo lodava i cavalieri, ma concedeva loro ulteriori diritti in riconoscimento dei loro servizi. Garantiva innanzitutto l’indipendenza dell’Ordine da qualsiasi autorità ecclesiastica, ad eccezione del papa. Solo a lui, infatti, i Templari avrebbero dovuto rendere conto delle loro azioni. Inoltre, non erano sottomessi ad alcuna autorità laica; nessuno, stando alla Bolla, avrebbe potuto in alcun modo rivendicare il vassallaggio dei confratelli. Innocenzo II di fatto assicurava la totale autonomia dell’Ordine che non sarebbe stato più sottoposto, d’ora in poi, né alla giurisdizione ecclesiastica né a quella laica. In particolare il papa garantiva l’indipendenza dall’amministrazione ecclesiastica con alcuni punti ben specificati e ordinati:

  • l’Ordine ha le proprie chiese e luoghi di culto;

  • l’Ordine può scegliere liberamente i propri padri spirituali, senza che i vescovi possano esercitare alcuna influenza. Questi cappellani non saranno più sottoposti al loro vescovo, ma solamente al Gran Maestro dell’Ordine;

  • nessuno può pretendere dai Templari le decime, al contrario, con l’esplicita approvazione del vescovo in carica, è perfino concesso ai Templari di riscuotere le decime direttamente dalla popolazione

Inoltre stabiliva complessivamente la posizione privilegiata che i Templari avevano nell’interno della Chiesa e che ne facevano una forza militare del soglio pontificio e garantiva loro anche privilegi di fronte ai sovrani laici e più precisamente:

  • il papa garantisce personalmente per la sicurezza dei membri dell’Ordine e dei loro beni.

Tutte le ricchezze, che costituiscono il bottino di guerra, appartengono automaticamente a

loro e non devono dividerlo con alcuno;

  • solo il consiglio dei “Poveri Fratelli di Cristo” può cambiare le regole. I Templari, godevano quindi, a partire dal 1139, di una maggiore indipendenza rispetto a prima quando, ad esempio, il Patriarca di Gerusalemme aveva cambiato arbitrariamente, dopo il ritorno di Troyes di Ugo de Payen, alcune norme del regolamento dei Templari, naturalmente con grande disappunto dei fratelli;

  • come sede dei Templari, Innocenzo II stabilisce la città di Gerusalemme, intendendo in

questo modo impedire che i membri dell’Ordine che combattevano in Spagna ed in

Portogallo si rendessero indipendenti.

A questo punto, re, principi e vescovi, si ribellarono ed attaccarono questa Bolla, in quanto tali privilegi attribuiti ai Templari, finivano in gran parte a gravare su di loro. In seguito, molti potenti tentarono di aggirare questi diritti acquisiti ma i pontefici si videro costretti a riconfermarli l’uno dopo l’altro. Eugenio III (1145-1155) ribadì esplicitamente nel 1145 il diritto dei Templari a costruirsi le proprie chiese. Adriano IV (1154-1159) intimò nuovamente ai suoi vescovi di non pretendere le decime dell’Ordine. Il suo successore Alessandro III, dovette a sua volta intervenire in favore dei Templari e rafforzare la loro indipendenza dai potenti laici ed a concedere, inoltre, ai Templari di fare consacrare i propri ecclesiastici da un vescovo di loro scelta. Innocenzo III a sua volta (1198-1216), proibì ai vescovi di scomunicare i singoli Templari. Da quanto detto si comprende come tra i papi ed i “Poveri cavalieri di Cristo”, esisteva un legame particolarmente stretto, poiché l’Unto del Signore garantiva all’Ordine privilegi straordinari e completa indipendenza. Nel XIV secolo, il re di Francia Filippo IV processò l’Ordine, proprio perché in questo modo, voleva colpire il papa.

Nel 1146, come già detto, i Templari adottarono la famosa croce patente rossa,l a croix pattèe. Con questo emblema sui mantelli, i cavalieri accompagnarono alla Seconda Crociata re Luigi VII di Francia. In quella occasione si conquistarono una fama di ottimi soldati che però rasentavano con la loro temerarietà la follia associata ad una forte arroganza. Nel complesso, però, dimostrarono di essere magnificamente organizzati e di essere il corpo più disciplinato che esistesse al mondo in quel tempo. Lo stesso re di Francia scrisse che era stato merito esclusivo dei Templari se la Seconda Crociata, mal concepita e peggio guidata, non era degenerata in una totale disfatta.

La confraternita dei Templari era rigidamente suddivisa in Stati, all’interno dei quali non vi era alcuna possibilità di cambiamento, per cui non potevano avanzare e ne retrocedere. Rimaneva un tipico esempio dell’ordinamento sociale medievale, nel quale ad ogni individuo veniva assegnato un compito ben preciso dal quale non poteva esimersi per tutta la sua vita, cosa d’altronde naturale nella divisione della società di allora.

In questi tre Stati, tra i Templari, si ritrovava chi combatteva, chi pregava e chi lavorava. Con una certa ironia, vale rammentare che l’invenzione dei cavalieri-monaci, aveva in teoria ribaltato questa suddivisione, perché riuniva in una sola persona lo stato di coloro che pregavano a quello di chi combatteva, tuttavia è opportuno sottolineare che lo stato di chi combatteva, all’interno dell’Ordine, era composto da cavalieri che erano al tempo stesso dei monaci. Questo stesso Stato era in ogni caso diviso in due punti: i cavalieri e gli scudieri o “fratelli di servizio” che come i cavalieri andavano anch’essi in battaglia a cavallo. Si trattava di cavalieri di seconda classe, portavano carichi più pesanti, indossavano armi più leggere e secondo il regolamento, erano anche meno addestrati all’uso delle armi, per cui nella disposizione in battaglia, non stavano in prima linea, ma nella seconda parte dello schieramento.

E’ ovvio che solo chi nasceva nobile e possedeva sostanze patrimoniali che doveva cedere all’Ordine all’atto del suo ingresso, poteva indossare il mantello bianco, mentre le altre reclute avrebbero dovuto accontentarsi del semplice mantello marrone o nero, dei fratelli al servizio dei cavalieri propriamente detti. In quei tempi solo gli appartenenti alla nobiltà erano stati addestrati all’uso delle armi e potevano permettersi una dote sufficiente che permettesse loro di armarsi ed equipaggiarsi in maniera consona ad un vero cavaliere. La dote comprendeva il possesso di almeno tre cavalli. Così, solo pochissime reclute potevano portare nell’Ordine la dote necessaria e di conseguenza per ciascun cavaliere armato completamente vi erano all’incirca dieci Fratelli scudieri. Nell’insieme in Terra Santa erano di stanza mediamente circa trecento Templari, solo raramente cinquecento, mentre il numero dei cavalieri di seconda classe e dei Fratelli servitori superò in rarissime occasioni le seicento unità. Quelle centinaia di cavalieri si sentivano giustamente un’elite che andava tronfia di sé e palesava spavaldamente una spiccata presunzione legata al proprio stato, e trattava il resto del mondo con distacco ed arroganza. Come è evidente, tra la comune gente si mischiava l’ammirazione per gli atti di coraggio, le sontuose armature che indossavano ed una forte rabbia per la loro superbia ed e le loro maniere arroganti.

Chiaramente molti uomini che amavano l’avventura si sentivano fatalmente attratti dall’immagine grandiosa dei Templari, ma non volevano aderire al voto monacale ed al dover trascorrere la loro vita in povertà, castità ed umiltà; per loro, secondo il regolamento, si apriva la possibilità di impegnarsi come Fratelli, anche solo temporaneamente. Solo in tal modo molti si assoggettarono a compiere tutti i doveri religiosi e militari dei membri a tempo pieno. Vi era inoltre una cavalleria leggera, composta da “cavalieri di ventura” cioè da combattenti di professione, impiegati dall’Ordine per completare il proprio quadro difensivo e che per questo ricevevano il pagamento del loro intervento, ed erano sottoposti alla disciplina militare dell’Ordine ma non prendevano parte alla vita religiosa. Portavano questo nome, in quanto combattevano alla maniera dei Turchi. Erano armati alla leggera con archi e frecce e cavalcavano con armature leggere, il che permetteva loro di colpire molto velocemente e da maggiore distanza. Nello Stato di coloro che avevano il compito di pregare, l’Ordine nella sua organizzazione, poteva contare solo sui cappellani, quindi solo su pochi elementi che pregavano esclusivamente e non facevano mai personalmente uso della armi.

Mentre i due Stati di quelli che combattevano e di quelli che pregavano godevano nell’Ordine, della massima considerazione, alla gran parte dei confratelli lavoratori, non rimaneva che una vita molto faticosa, tipica nel Medioevo. I contadini salariati, di corvèe obbligatoria ed i servi della gleba, compivano i molti lavori che erano necessari alla conduzione dei feudi. La posizione giuridica dei confratelli lavoratori dipendeva dagli usi della rispettiva provincia. In quella della Normandia, ad esempio, gli uomini erano liberi mentre in Linguadoca, dove la servitù della gleba giocava ancora un ruolo importante, non lo erano. Poi i lavoratori salariati (contadini, manovali e servi) erano stipendiati dall’Ordine per la durata del loro impiego e non erano tenuti a fare alcun voto, come servi della gleba. Se si dovevano affrontare compiti più impegnativi, come ad esempio la costruzione di edifici o mettere al riparo i raccolti, il feudo impiegava prevalentemente i contadini dei dintorni, a corvèe obbligatoria, in aggiunta ai propri confratelli lavoratori che in base ai loro doveri feudali, ogni anno erano obbligati a lavorare per il feudo per un determinato numero di giorni.

Si sa che i Templari ebbero anche degli schiavi e in Terrasanta i prigionieri Saraceni, svolsero una parte importante del lavoro, tanto che nell’anno 1237 portò ad una spiacevole disputa tra il papa ed il Gran Maestro. L’Ordine si rifiutava di battezzare gli schiavi che lo chiedevano per il semplice motivo che i Cristiani non potevano essere tenuti in schiavitù e quindi i Templari avrebbero dovuto lasciare liberi i Musulmani battezzati. Per coloro che desideravano entrare spontaneamente nell’Ordine vi erano due possibilità: la prima, donandosi all’Ordine (per lo più con una somma di denaro), in ogni caso non ne divenivano automaticamente membri, ma si assicuravano solo il diritto di fare il voto non appena lo avessero voluto; la seconda prevedeva l’ingresso nell’Ordine in qualità di Confratello. Contraddicendo il nome, questi non desideravano affatto entrare nell’Ordine a tutti gli effetti, erano piuttosto membri di un “circolo di amici dei Templari” semplicemente li appoggiavano e potevano godere, di riflesso, di un po’ del loro splendore.

La quotidianità della vita dei Templari, veniva regolata dalla Regola che era quella di San Benedetto ed era suddivisa secondo le ore canoniche; aveva inizio al mattutino, attorno alle ore 2,00 ed aveva termine dopo il Vespro alle 17,00 con il Non o il complet (compieta). Sia nella versione latina che nella stesura francese, ulteriormente elaborata e completata nel corso del tempo attorno al 1160-1170, con parecchi articoli aggiuntivi, denominati Retrais, vi sono fissate le regole alle quali dovevano attenersi i Templari.

Nel Livre d’Egards vi è una sorta di commento ai testi e le sentenze pronunciate dai Maestri dell’Ordine nell’arco dei tempi. Il mattutino, aveva inizio con la messa, poi dovevano recarsi subito alle scuderie e dare in maniera garbata le disposizioni ai servitori, poi potevano nuovamente coricarsi e dopo un Paternoster, continuare a dormire sino al suono delle campane che annunziavano le Laudi e,cioè verso le ore 6,00 quindi i confratelli si alzavano, si vestivano in fretta e si dirigevano alla cappella per la seconda messa della giornata. Date le particolari condizioni in cui vivevano i Templari, il regolamento concedeva delle eccezioni. Per tali motivi se ad esempio capitava di non poter ascoltare la messa per intero, cosa che certamente capitava, avrebbe dovuto recitare tredici Paternoster per il Mattutino, sette per una delle altre funzioni e nove per il vespro. Il regolamento esortava i Fratelli ad onorare Dio in tutto il loro comportamento, a curare la cappella e a comportarsi in maniera dignitosa quando si trovavano nell’interno di essa.

Ugualmente prescriveva che non avrebbero dovuto presentarsi alle funzioni religiose vestiti in modo sciatto o affrettato, bensì avvolti nel loro mantello fermato al collo con un fermaglio. Ad ognuna delle ore canoniche doveva recitare da tredici a diciotto Paternoster, di cui una parte dedicata alla Vergine Maria e dovevano essere recitati in piedi, mentre le preghiere dedicate al Santo del giorno, potevano essere recitate da seduti. In ogni caso ogni fratello iniziava e finiva la giornata con preghiere alla Madonna, “perché Ella, era stata l’inizio della nostra religione ed in Essa deve scorrere la vita di noi tutti, così come vuole Dio”. Minuziosamente viene stabilito quando i Fratelli dovevano stare in piedi durante la Messa e cioè ai salmi di apertura, al Gloria ed al Te Deum.

Allo scopo di mantenere ugualmente efficiente la forza fisica di ogni Fratello combattente, il regolamento consigliava ai Fratelli di rimanere a tavola il tempo ragionevole per soddisfare le loro necessità, sia nel mangiare che nel bere. A proposito del bere ingiustamente tra i francesi, nel raccontare la festa della libagione dei Fratelli, era divenuto un modo di dire: “bevi come un Templare”. Tale quadro negativo che era stato diffuso sull’Ordine in Francia, evidenzia il fatto che nella regola dei Fratelli, vi era un passo che sottolineava quanto fosse importante il vino per i cavalieri-monaci. All’inizio del sorgere dell’Ordine, vi era la regola che in due dovevano mangiare nella stessa ciotola, ciò per rafforzare maggiormente la fratellanza esistente nell’Ordine, mentre dovevano bere il vino dal proprio boccale, del quale ognuno disponeva, per cui con il vino cessava la condivisione. In seguito venne assegnata ad ogni cavaliere una ciotola di corno, un cucchiaio e due boccali, di cui uno per l’uso quotidiano e l’altro, decorato per le occasioni solenni. Tutti i pasti quotidiani, dopo una preghiera di ringraziamento ed un Paternoster, dovevano essere consumati insieme, quindi cavalieri, Fratelli serventi e normali lavoratori, dovevano sempre sedere a tavola insieme, ma i Templari usavano mangiare divisi almeno in due turni e in sedi più grandi. Non appena suonava la campana dell’ora Sesta, (mezzogiorno), tutti i Fratelli appartenenti a quel turno si recavano nella sala da pranzo, che era un refettorio pieno di lunghe panche e tavoli, con in fondo alla parte anteriore del locale, un posto d’onore spesso sopraelevato sul quale vi era la tavola del comandante della sede e dalla quale egli presiedeva. I confratelli più anziani si allineavano dando le spalle al muro ed i più giovani si ponevano di fronte a loro. Dopo che il cappellano aveva impartito la benedizione i Fratelli recitavano un Paternoster e potevano quindi sedersi a tavola. Durante il pasto regnava il silenzio assoluto, solo un confratello leggeva i testi delle Sacre Scritture. Alla pari dei refettori Cistercensi, tra le lunghe file dei cavalieri vestiti di bianco, transitavano i servitori che portavano cibo e bevande, carni e verdure poste in grandi ciotole. Da bere vi era solo acqua e solo dopo l’assenso del Comandante, veniva distribuito il vino più o meno diluito con acqua. Tre volte alla settimana vi era la carne (alla domenica doppia porzione), ma solo per i cavalieri. Sino a quando il comandante non aveva terminato il pasto, nessuno degli altri Fratelli aveva il permesso di alzarsi. Il pasto principale della giornata era quello consumato dai Fratelli alla ora Sesta e cioè a mezzogiorno, mentre quello della sera, la cena, era meno importante; infatti quanto o se era il caso di cenare, era legato solo al giudizio del Maestro. Il regolamento condannava ghiottonerie o il mangiare raffinato che non veniva mai distribuito ai Templari.

In pratica i Templari si nutrivano in maniera robusta ed abbondante, vi erano a loro disposizione tre portate diverse, a scelta e la quantità del cibo portato in tavola era molta, anche perché ne rimanesse a sufficienza per i mendicanti che ricevevano gli avanzi di ogni pasto. Alla fine del pranzo i cavalieri ringraziavano ed in chiusura del pasto serale recitavano il complet e poi nel convento-caserma, regnava il silenzio.

L’abbigliamento dei Fratelli Templari era strettamente militare, per cui l’uniformità del vestiario era necessario per dimostrare l’unità di Corpo. I cavalieri portavano lunghi mantelli bianchi, gli scudieri, marroni o neri, mentre tutti indossavano una tunica bianca sotto il mantello. Il colore bianco, stava a simboleggiare la castità, il forte coraggio e la salute fisica dei Templari. I capi di vestiario che indossavano non dovevano ostentare, secondo il regolamento, alcun lusso: Solo le pellicce di pecora erano ammesse, ma non quelle di pelli pregiate. Ogni Fratello, sempre secondo il regolamento, poteva solo possedere due camicie, due pantaloni, due paia di scarpe, due mantelli, una leggera tunica bianca per l’estate ed una imbottita per l’inverno.

Era severamente proibito calzare scarpe a punta, o indossare drappi o nastri lavorati. La stessa cosa valeva per le armature che i cavalieri dell’Ordine indossavano in battaglia che consisteva nell’abito di ordinanza, una camicia in maglie di ferro ed una cintura di cuoio ed il regolamento prescriveva il resto dell’equipaggiamento, pezzo per pezzo, dalle armi, alla corazza, alla gualdrappa, dall’amaca ed al paiolo con il quale il cavaliere poteva procurarsi i pasti, quando era in viaggio. Il regolamento descriveva anche in che consisteva il letto del cavaliere che era formato da un sacco di paglia, un drappo di lino, una coperta sul cui colore il Fratello, aveva la possibilità di scegliere tra il nero,il bianco e quello a strisce. L’articolo venti del regolamento garantiva il diritto ad un lenzuolo morbido, che era l’unico lusso che veniva concesso.

La normale vita nel convento-caserma era governata dalla severità della disciplina militare. Nessuno poteva lavarsi, curarsi, prendere medicine, andare in città o uscire a cavallo, senza permesso. Poiché non tutti gli uomini si potevano adattare facilmente ad un regime talmente rigido, gli autori del regolamento, avevano insistito in più punti quanto era importante il controllo della volontà per cui ne dedussero questo detto: “ Gesù nulla ama di più dell’obbedienza incondizionata, e i membri dell’Ordine devono dimostrarglielo, poiché hanno rinunciato con il loro ingresso, definitivamente alla propria volontà”.

Per una istituzione fortemente guerriera, come era quella dei Templari, l’Ordine attraverso la sua regola, manteneva la disciplina in due distinti modi. Il primo, nelle sedi di Consigli, in cui tutti i Fratelli erano riuniti e dove venivano punite le eventuali infrazioni al regolamento, mentre i secondo, durante i viaggi delle campagne militari quando i Templari, per adempiere ai loro compiti militari, non potevano essere controllati dalla comunità. Adottavano il proverbio: “avere fiducia è bene, controllare è meglio”, per cui il regolamento prescriveva che i cavalieri in funzione del reciproco rafforzamento, viaggiassero sempre almeno in due, alla maniera dei nostri Benemeriti Carabinieri, comandati di pattuglia per la vigilanza sull’ordine pubblico e sulla pubblica sicurezza, per le vie delle nostre città.

Il Consiglio, si riuniva ogni settimana nelle case dell’Ordine ed in queste riunioni si prendevano le decisioni più importanti per la comunità. In questa sede, allo scopo di sottolineare la dignità della riunione, normalmente si teneva nel salone della casa dell’Ordine o addirittura nella cappella, dove i Templari vi partecipavano in massa indossando il mantello. Dopo un Paternoster recitato insieme, il Templare di rango più elevato apriva la seduta con un discorso esortativo, quindi dovevano farsi avanti i cavalieri che durante la settimana avevano commesso qualche infrazione. Essi si dovevano inginocchiare e ammettere la loro colpa, e si dovevano allontanare dalla sala. Poi, i membri del Consiglio passavano a discutere su quale fosse la punizione più idonea da applicare e quando avevano raggiunto un accordo, a conclusione della seduta, si faceva rientrare nella stanza il Fratello colpevole al quale veniva comunicata la pena da scontare. L’interessato non doveva assolutamente sapere chi aveva proposto la punizione, allo scopo di evitare liti o addirittura faide di lunga durata tra i Templari. A tale proposito, non bisogna dimenticare che non si trattava di pacifici monaci ma di cavalieri-monaci orgogliosi ed amanti della battaglia. Per tale motivo i Templari consideravano con particolare serietà la segretezza all’interno del Consiglio.

Tutte le colpe o infrazioni trattate dal Consiglio teoricamente si riferivano solo a violazioni del regolamento dei Templari, e non ai Dieci Comandamenti, quindi per colpe contro la comunità e non contro Dio.

Le punizioni che il Consiglio poteva infliggere andavano dal semplice rimprovero all’espulsione del fratello dall’Ordine, tuttavia non si arrivava mai a questo ultimo verdetto, bensì si esiliava in Terra Santa stabilendo che vi restasse stabilmente, per lo più dopo un atto di sottomissione. In tale modo, con il paventato pericolo di essere trasferiti in Terrasanta, si potevano trasformare le peggiori pulsioni in ansia e timore, facendo nel contempo intravedere un trasferimento in una buona e pacifica Provincia a chi si fosse comportato bene, secondo la regola.

Come si è detto in precedenza, il cavaliere alla prima alzata dal letto, nel mattutino, doveva recarsi nella scuderia per dare ai serventi le disposizioni per la buona tenuta dei cavalli. Questo, perché secondo la regola dei Fratelli, dalla buona salute dei cavalli dipendeva la durata della vita del cavaliere in battaglia. Il cavaliere sul suo cavallo, rappresentava nel Medioevo, l’arma ad alta tecnologia che in quella epoca esisteva, per cui se l’uomo si dedicava regolarmente al suo difficile mestiere e l’equipaggiamento si trovava sempre in condizioni perfette, egli poteva continuare a combattere e a vincere la vittoria decisiva della sua vita. Tuttavia il cavaliere non doveva soltanto mantenere in perfetto stato il proprio materiale ed i propri di cavalli, ma innanzi tutto doveva esercitarsi, esercitarsi ed ancora esercitarsi.

L’attacco con la lancia in resta, era una tecnica che trovò larghissima diffusione in Europa tra il 1080 ed il 1110. Se il cavaliere era capace di padroneggiare la sua lancia con destrezza, poteva raggiungere una devastante forza d’urto. Un testimone oculare della Prima Crociata si stupiva nel vedere “un Franco a cavallo che poteva aprire un buco nelle mura di Babilonia”.

Per cui uomo, cavallo e lancia, formavano una unità completa nell’assalto all’avversario, perché egli così compatto scalzava facilmente il nemico, che nella sua pesante armatura, non poteva in pratica muoversi, divenendo facile preda per i soldati appiedati che li seguivano. L’impiego di lance lunghe e pesanti, richiedeva una grande forza fisica, per cui i cavalieri avevano bisogno di continue esercitazioni. A quell'epoca erano in gran voga i tornei cavallereschi, che mettevano alla prova in condizioni reali, la capacità di ognuno degli sfidanti, vi era anche la caccia grossa, nel corso della quale ogni cavaliere dimostrava la propria abilità. Ma il regolamento vietava entrambi gli sport, per cui ai Templari non restava altro che viaggiare da una sede all’altra dell’Ordine, nel corso del quale, potevano incontrare bande di briganti o bestie feroci ed esercitare su di loro la propria abilità. In questa maniera si può affermare che i Templari garantivano anche la sicurezza delle strade. Essenzialmente sul campo di battaglia valeva ancora di più il precetto di obbedienza al regolamento, che stabiliva che per nessun motivo era lecito abbandonare il posto assegnato dal comandante nello schieramento.

Uguale cosa valeva per la cavalleria leggera e per i fanti che erano distribuiti a copertura della cavalleria dalle frecce nemiche. Nell’Ordine la disciplina era tutto ed i Fratelli eseguivano con zelo anche i movimenti della truppa appiedata in rigide colonne, per essere sempre protetti da un eventuale attacco. Il merito maggiore dell’Ordine dei Templari in campo militare consisteva nel fatto di avere contenuto la superbia dei cavalieri e che essi sul campo di battaglia agissero come una cosa unica con gli arcieri ed i fanti. Al contrario, tutti gli altri eserciti Cristiani, non utilizzavano in pieno il potenziale dell’attacco della cavalleria. Solo i cavalieri di San Giovanni erano addestrati alla stessa maniera dei Templari, per cui si può dire che i Templari ed i cavalieri di San Giovanni, poterono contribuire in maniera determinante alla difesa della Palestina, nonostante che dal punto di vista numerico, avessero scarsa rilevanza.

In cima alla schiera della gerarchia dell’Ordine, vi era il Maestro, che ai nostri giorni viene chiamato “il Gran Maestro”, perché questa espressione non si riscontra in nessun documento ufficiale. Il titolo di Maestro dell’Ordine, fu una creazione del fondatore dell’Ordine stesso, anche se più tardi, assunsero questo titolo sia gli altri Ordini cavallereschi che gli Ordini dei Frati questuanti. Il Maestro veniva eletto a vita e non poteva essere deposto. Una volta eletto, guidava l’Ordine nella buona e nella cattiva sorte, nominava il Siniscalco, che era il suo sostituto e che assumeva le sue mansioni amministrative, in caso di una sua assenza. Per tale motivo, il regolamento lo esortava ad esercitare questo potere con amore e giustizia, per stimolare e sostenere i Fratelli anziché punirli. Egli poteva decidere autonomamente per le faccende quotidiane, ma per le questioni importanti, era tenuto a chiedere il consenso di un Consiglio, il “Prud-homme” (uomini saggi) che altro non era che l’assemblea generale del Consiglio. Ciò era previsto, quando il Maestro doveva decidere di regalare o di vendere delle terre; di assediare un castello; di iniziare una guerra; di stipulare un armistizio e di nominare i rappresentanti delle province più importanti. Poteva conferire le cariche nei territori secondari. Poteva prestare soldi sino alla somma di mille bisanti, mentre per somme superiori era necessaria l’approvazione di un maggior numero di Fratelli. Una frase del “Retrais”, esprime in maniera ambigua la posizione del Maestro, che pur avendo tanta autorità, doveva tenere conto di essa,che così recita: “Tutti i Fratelli devono obbedienza al Maestro, nello stesso modo il Maestro deve obbedienza ai membri dell’Ordine”. Nell’utilizzo del denaro, sempre nel “Retrais”, non lascia al Maestro alcuna libertà d’azione. Egli, aveva a sua disposizione quattro cavalli e al suo seguito vi erano due cavalieri, un cappellano, due fanti ed un paggio a cavallo che aveva il compito di portare la sua spada e la lancia. Al suo servizio vi erano anche due servitori, un fabbro, uno “scrivano Saraceno” ed un segretario che doveva conoscere l’arabo.

Dopo di lui nella carica di dignitario, veniva il Reggente del Regno di Gerusalemme, che nello stesso tempo aveva la funzione di Maestro tesoriere dell’Ordine, senza il cui consenso, il Maestro dell’Ordine, non poteva ordinare alcun pagamento. Si aggiunge che il Maestro aveva nell’interno della camera del tesoro, una propria cassetta di sicurezza, con il cui contenuto poteva fare ciò che voleva, ma della ricchezza dell’Ordine, egli non poteva disporre. Vi era il Maresciallo che però aveva una mansione ben più importante del Siniscalco e nella gerarchia interna si collocava anche prima di lui. Al Maresciallo erano affidati tutti i compiti militari, infatti da lui dipendevano tutte le armi e le armature della sede. Era responsabile sia delle armi a disposizione sia dell’acquisto di quelle supplementari ed il culmine della sua importanza era nei periodi di guerra, in quanto sul campo di battaglia, aveva il comando di tutti i Fratelli serventi, dei fanti e degli arcieri. Se il Maestro moriva, il Maresciallo ne assumeva i compiti ed organizzava la cerimonia della sepoltura. Poi informava i dignitari dell’Ordine, perché si recassero in Oriente per nominare al più presto un supervisore che si occupasse degli atti amministrativi correnti del Maestro e che nominasse “un consigliere elettivo”. Questi due avrebbero scelto altri dodici elettori che secondo una precisa disposizione dovevano essere otto cavalieri e quattro cavalieri serventi, provenienti da “diverse nazioni o paesi” per preservare la pace della casa. Questi dodici cavalieri a loro volta sceglievano un Fratello cappellano “che deve fare in modo, in vece di Gesù Cristo, che i membri agiscano in pace,amore e comprensione”. Questi tredici elettori avrebbero scelto il nuovo Maestro. Il Reggente del Regno di Gerusalemme oltre ad amministrare i tesori dell’Ordine, riceveva tutte le donazioni in arrivo e le rendite dei feudi, tutti i bottini di guerra fino alle armi ed ai cavalli confiscati, sul cui utilizzo poteva agire autonomamente. Manteneva il legame dei Templari con le loro proprietà d’oltremare, che erano quelli d’Occidente. Da lui dipendeva la disposizione delle truppe in battaglia, Infatti impartiva gli ordini per la marcia dei soldati e decideva quali Fratelli ed in quale fortezza dovevano essere dislocati. La sua importanza dal punto di vista militare era enorme in quanto era il superiore del “Drapiers”, colui che organizzava il rifornimento di vestiario e materiale per le truppe. Non bisogna confondere il Reggente del Regno di Gerusalemme con il capo della città di Gerusalemme, che era il responsabile della protezione dei pellegrini e che nella gerarchia interna, ricopriva una posizione molto più bassa.

Per quanto riguarda gli altri livelli della gerarchia Templare, regna una grande confusione, talora viene dato il titolo di Maestro anche a chi è a capo di un feudo. Un Precettore ad esempio può essere anche il Maestro di una intera Provincia dell’Ordine. Un maestro di una sede dell’Ordine, godeva dei poteri che si avvicinavano molto a quelli di un abate di un monastero Benedettino, dirigeva sì la sede autonomamente, ma era sottoposto al suo superiore, il Maestro del Protettorato che a sua volta riceveva gli ordini di chi guidava la Provincia dell’Ordine. Era una vera e perfetta gerarchia militare, che dal grado di caporale sino a quello di generale d’Armata, si distinguono diversi livelli di comando che vertono tutti su quello apicale.

La Francia in quanto Provincia dell’Ordine era composta da cinque Protettorati: la Normandia, l’Ile de France, la Picardia, il Lothringen-Champagne e la Borgogna. Inizialmente i possedimenti dell’Ordine erano divisi in sei Province (Tripoli e Antiochia, Francia e Inghilterra, Puglia ed Ungheria, Poitou, Aragona e Portogallo).

Ma più tardi, a causa delle donazioni i Gran Maestri si trovarono costretti a fare una nuova suddivisione dei possedimenti.

Anche se a quella epoca, non tutti potevano capirsi con la lingua latina, superata questa barriera linguistica, l’Ordine riuscì a creare una amministrazione efficiente in tutto il territorio dal Portogallo alla Palestina che fu un vero capolavoro organizzativo.

L’Ordine dei Templari era suddiviso in tre Sezioni separate, sia dal punto di vista geografico che dalle funzioni. Vi erano le unità combattenti del Portogallo e della Spagna, i possedimenti terrieri o feudi nel resto dell’Europa e le truppe in Palestina. La prima sezione, era impegnata in Spagna e Portogallo per la “Riconquista” dei territori in mano ai Mori, la seconda nel resto d’Europa, per fare fruttare al massimo i feudi loro donati, che erano trattati come “mucche da latte” e, quindi sfruttati come colonie, per soddisfare la continua fame di armi, cavalli e viveri in Terrasanta e la terza era stanziata in Terrasanta. I Templari della penisola Iberica che provenivano nella maggior parte dai territori Spagnoli e Portoghesi, si differenziavano dagli altri Templari, in quanto mentre l’Ordine dei Templari la pensava in maniera sopranazionale, e ad una cristianità collettiva, la parte Iberica aveva una caratterizzazione molto nazionale ed i suoi soldati, nativi del luogo, lottavano per il proprio paese e si finanziavano con i propri mezzi, e malgrado una Bolla papale dell’anno 1250, emanata certamente su richiesta dei principi spagnoli “che sia i cavalieri Templari sia i cavalieri di San Giovanni non trascurassero completamente la lotta contro i mori in quelle regioni”, l’Ordine giunse a rifiutare il proprio appoggio al re di Aragona nell’aggressione della cristiana Navarra, mentre i Templari del Portogallo, nell’anno 1169, sentendosi abbandonare dall’Ordine si staccarono da esso ed il re del Portogallo promise loro un terzo dei territori che avevano conquistato a sud di Tejo, a condizione che il Maestro di quella provincia, si impegnasse a tenere definitivamente tutte le proprie forze, impegnate sul posto.

Egli accettò e ringraziò per l’offerta e fu così che il Tempio del Portogallo uscì dall’Ordine e divenne del tutto autonomo.

Passiamo ora alla terza Sezione, quella stanziata in Terra Santa, di quei guerrieri che hanno colpito maggiormente la fantasia collettiva, dove appaiono due cavalieri o gruppi di cavalieri bianco vestiti che galoppano in Terrasanta, dimenticando facilmente che i cavalieri Templari in quella contrada, non rappresentavano che una piccola parte del popolo del Tempio, nel suo insieme.

Questo perché nessuno ricorda i fanti, i servi e gli impiegati dell’Ordine che svolgevano un lavoro enorme, per mantenerli integri nella loro efficienza combattiva.

La prima azione militare alla quale i Templari presero parte, fu l’assedio di Damasco nell’anno 1129, quando Ugo de Payen, appena rientrato dal suo viaggio in Europa, comandò uno squadrone, che per la maggior parte era composto da normali soldati, che dimostrarono un valore eccezionale nel combattere che seppur per la maggior parte morì, lasciò un eroico ricordo in quella feroce battaglia che ebbe a svolgersi il 5 dicembre contro i difensori di quella città. Così ebbero il loro battesimo di fuoco, morirono in molti, e quelli che rimasero continuarono a tener saldo il loro valore e lo trasmisero alle nuove reclute che da tutta l’Europa accorsero numerosi. Negli anni 1131 e 1138 ricevettero in regalo una prima vera fortezza, quella di Baghras che si trovava ai confini con l’Armenia ed apparteneva all’area di Bisanzio sotto l’influenza Cristiana, per cui si trovarono a concentrare le loro forze in uno Stato amico, anziché impiegarle contro i Musulmani. Poi seguirono nel XII secolo i castelli donati dai Principi di Antiochia e di Tripoli: Queste donazioni, vennero dagli studiosi interpretate come se i Principi, riconoscessero soltanto i Poveri Fratelli, che con la loro forza militare e la loro ricchezza, potessero mantenere quelle fortezze. Guglielmo di Tiro, ci informa che nel 1138, i Templari combatterono contro i briganti Turchi che infestavano le strade che da Askalon a Gerusalemme attraverso Jaffa ed Hebron erano divenute impraticabili. Quando poi i Saraceni si impadronirono della città di Tekua, sul Mar Morto, e cacciarono la popolazione Cristiana, il Gran Maestro Roberto di Craon, successore di Ugo de Payen, morto nel 1136, guidò i suoi cavalieri contro la città e la riconquistò. Ma la fortuna di Roberto di Craon, non durò a lungo, difatti quando egli decise di inseguire i Turchi, questi si riorganizzarono ed andarono al contrattacco. Ripresero Tekua coprendo la città di un bagno di sangue, facendo fra la popolazione una grande strage, distribuendo i cadaveri dei Cristiani sul tratto di strada che da Tekua porta a Hebron. In questa maniera i Templari subirono la seconda sconfitta della loro storia. Molti di loro persero la vita a causa di un errore tattico del loro comandante. Sino al 1147, dedicarono il loro impegno nella protezione dei pellegrini e dalle scarse testimonianze giunte sino a noi, si può rilevare che inizialmente l’azione dell’Ordine dei Templari, non fu esaltante, ma soddisfacente, perchè riuscirono a portare a compimento gli incarichi loro affidati. Ciò lo dimostra un documento dell’anno 1132 che così recita:”Noi pensiamo che tutti i credenti meritino il conforto e l’aiuto che i Templari fanno giungere agli indigeni ,ai pellegrini,ai poveri ed a tutti gli altri che desiderano visitare la tomba del Signore”.

Infatti sino al 1147, oltre a concentrare la loro permanenza in Gerusalemme ed in generale in Terra Santa, si resero utili nel liberare le strade dai briganti Turchi che infestavano quelle contrade, nell’ospitare i pellegrini, garantendo la loro protezione nelle sedi dell’Ordine sia in Occidente che in Oriente. A Gerusalemme, esisteva un alto funzionario che come già detto prima era il Capo della città di Gerusalemme che era personalmente responsabile per una buona sistemazione dei pellegrini. Da lui dipendevano dieci cavalieri con i loro scudieri, che nell’insieme costituivano una forza di cento uomini armati, che erano sempre pronti ad accorrere in soccorso dei Cristiani ed a scortarli lungo il rimanente percorso. Inizialmente, l’Ordine trovò la sua sistemazione nella moschea di El.Aqsa, sotto la quale si trovavano numerosi ambienti, la cosiddetta scuderia di re Salomone, tanto grande che poteva alloggiare tutta la sua cavalleria e che un pellegrino del XII secolo riferisce che poteva contenere duemila cavalli. Circa questi vasti ambienti, nacquero delle speculazioni. Secondo alcuni autori di cronache dell’epoca, l’Ordine era circondato dal mistero, tanto è che con i loro resoconti riferiscono che i Templari si diedero a scavare sotto le scuderie, ben sapendo cosa cercare e dove cercare ed una volta trovato il misterioso oggetto lo avessero consegnato al Conte Ugo, che nel 1114, l’avesse portato in Occidente. Fu forse un libro sacro o un Vangelo apocrifo che i poveri Fratelli avevano rinvenuto sotto il Tempio di Salomone. Non si sa e non vi è la minima traccia o prova storicamente valida che tutto ciò sia realmente accaduto. Ma tuttavia appare a dir poco strano il fatto che l’Ordine, sin dai primi tempi della sua fondazione, si sia potuto stabilire nella residenza del re e che questi si dovesse trovare un altro alloggio. Questo è uno dei punti che rimane oscuro e che è impossibile chiarire.

Nell’anno 1142 si verificò una tragedia inaspettata, poiché nel lasso di tempo di pochi mesi morirono i due più importanti capi dell’Oriente Cristiano. Entrambi ebbero a morire, in seguito ad un incidente di caccia. Ai quattro Stati emersi dalla Prima Crociata, la Contea di Edessa, con la sua capitale omonima, si estendeva molto all’interno del paese fino all’alto Eufrate. La governava il conte Joscelin che era in disaccordo con il suo vicino il principe d’Antiochia, Raimondo. Il governatore di Mossul e Aleppo, approfittando di ciò, con il suo esercito cinse d’assedio Edessa e Joscelin chiese aiuto a Raimondo, ma questi tardò ad intervenire, per cui dopo quattro settimane di assedio, la fortezza di Edessa cadde nelle mani dei Musulmani. Questo rappresentò per i Cristiani, una grave perdita territoriale, dalla fondazione degli Stati dei Cristiani. Si ebbero dei cambiamenti, nei quali i Templari ne approfittarono acquistando a poco prezzo, molti possedimenti terrieri che i Cristiani misero in vendita per paura di una avanzata Saracena. Ma anche in Occidente, a causa della perdita di Edessa, i Templari trassero vantaggio, in quanto si presentarono numerosi aspiranti reclute ed inoltre giunsero all’Ordine molte donazioni, essendosi risvegliato in Europa un nuovo desiderio di Crociata. Il papa Eugenio III, nell’anno 1145, emanò parecchie Bolle che avevano per argomento la nuova Crociata, sollecitando il re di Francia, Luigi VII ad intraprendere il viaggio per Gerusalemme. Ma da parte del re e della sua corte, vi era scarso entusiasmo e ci vollero le prediche del brillante oratore, Bernardo di Claivaus a produrre un cambiamento, tanto che nel giorno di Pasqua del 1145, nacque in Francia l’idea della Seconda Crociata. Così pure in Germania, a Speyer, dove Bernardo richiamò il titubante re Tedesco Corrado III ad adempiere il suo dovere di re Cristiano e prendere la Croce. Nacque la Seconda Crociata che non fu solo un’operazione solo Francese, come lo fu la Prima, bensì un pellegrinaggio di tutto l’Occidente. Questa volta, la Chiesa, non solo promise la completa indulgenza dei peccati, ma stabilì che a chi non poteva intervenire alla Crociata,poteva finanziare il viaggio di un'altra persona, equipaggiandolo e fare dei doni ad una comunità impegnata nella lotta contro gli Infedeli.

I Templari che erano una comunità, come quelli dell’Ordine di San Giovanni, raccolsero in breve tempo un enorme patrimonio che aumentò il loro tesoro. Il 27 Aprile del 1147, sotto la Presidenza del Maestro di Francia, Eberardo di Barres, si riunirono centotrenta cavalieri, per pianificare la loro partenza per la Crociata. E fu in questa occasione che il papa Eugenio III, presente in quella riunione, concesse a tutti gli appartenenti all’Ordine, il privilegio di portare sempre la croce rossa sull' uniforme, come simbolo del fatto che i Fratelli si trovavano impegnati permanentemente in una Crociata contro gli Infedeli. Tuttavia, la Seconda Crociata si risolse in un disastro a causa della disorganizzazione logistica e di percorso dei due contingenti, quello Francese e quello Tedesco, basti pensare che dei 330.000 pellegrini, solo 40.000 giunsero a Gerusalemme. Fu nelle gole di Chones (nell’odierna Turchia) che i Turchi divisero l’esercito ed una fitta nube di frecce si abbatté sul grosso del seguito, seminando morte e distruzione. Esplose il panico e solo i Templari in formazione ordinata, mantennero il sangue freddo ed organizzarono la difesa. Un testimone oculare riferisce: “il Maestro dei Templari Eberardo di Barnes, uomo rispettabile per il suo carattere, timorato di Dio e grande esempio per tutti i cavalieri tenne testa ai Turchi con l’ausilio dei suoi Fratelli, che con saggezza e coraggio vegliarono sulla difesa di ciò che apparteneva loro e protesse anche con tutta la sua forza e rigorosamente, ciò che apparteneva agli altri” (Eudes di Deuil citato da Demurger).

Impressionato da tale esempio il re di Francia trasferì il comando supremo di tutta l’Armata ai cavalieri Templari. L’episodio avvenuto tra le montagne dell’Asia Minore dimostra quale influenza decisiva potesse avere sulla forza di penetrazione di una intera Armata un numero infinitamente ridotto di uomini. Un Templare belga di nome Gilberto, divise gli uomini armati in gruppi da cinquanta, che venivano sempre guidati da un Povero Fratello e sistemò ognuno di questi gruppi in un luogo ben preciso, da cui potevano ritirarsi solo se avessero ricevuto un ordine esplicito. Poi i Fratelli tennero unita la massa disordinata dei pellegrini, facendoli proteggere dagli scudi triangolari dei Fanti, così ciò che rimaneva della spedizione arrivò sana e salva, attraverso le montagne, ad Antalya. Un gruppo insignificante di Templari salvò con il proprio comportamento prudente, la maggior parte dell’esercito dei Crociati Francesi. Dopo l’arrivo ad Antakya, i cavalieri Templari scomparvero nuovamente nella massa ed il re Francese Luigi VII, riprese il comando Mentre i Crociati Tedeschi, sotto il comando di Corrado III, nel giugno del 1147, nella battaglia presso Dorylaon (nell’odierna Turchia), durante la fase di avvicinamento erano stati quasi annientati dai Turchi. Tuttavia, malgrado i disastri subiti, le rimanenze di entrambe le armate raggiunsero infine via mare la Terrasanta. Nel luglio del 1148, il re di Francia Luigi VII, commise un errore tattico, perchè decise di levare le tende da Antiochia e recarsi in Gerusalemme, per pregare sul Santo Sepolcro. Giunto a Gerusalemme si riunì con il re Tedesco Corrado III ed i due eserciti, con i Templari, i cavalieri di San Giovanni ed i cavalieri del regno di Gerusalemme, si mossero per occupare Damasco. La notizia pervenne al Sultano Nuredin, che esultò dalla gioia e si precipitò con il suo esercito in soccorso della fortezza di Damasco. Sulla questione di tale assedio, fra gli eserciti Cristiani, sorsero delle liti tali da non farli mai giungere a delle vere azioni militari, anzi a causa di esse, l’assedio venne levato, per cui Tedeschi, Franchi, Templari, cavalieri di San Giovanni e cavalieri del regno di Gerusalemme, fecero a gara nel darsi la colpa del mancato assedio. E poiché si doveva trovare un capro espiatorio, venne addossata la colpa ai Templari, accusandoli di aver fraternizzato con i Musulmani. Ma ciò non era vero! Infatti Corrado III, si vide addirittura costretto ad intervenire pubblicamente per la riabilitazione dei Poveri Fratelli, che non avevano nulla da rimproverarsi per il fallimento della Crociata e lo stesso Luigi VII, che condivideva questa opinione, in una lettera al suo Cancelliere, ordinava di pagare subito i debiti del regno contratti con i Templari, in quanto essi lo avevano appoggiato in Terra Santa in maniera tanto energica che senza di loro non avrebbe potuto rimanere neanche per un giorno. Ma in ultima analisi furono solo i Templari, che non erano d’accordo nell’assedio di Damasco, a pagare il fio di tale oscura vicenda, nella quale la decisione di assediare la città si rivelò sbagliata, tenuto conto del volere di Baldovino III, re di Gerusalemme, che voleva assolutamente ottenere una grande vittoria militare per uscire dalla tutela della madre Melisenda. Il Gran Maestro Eberardo di Barres nel 1152 venne rimosso dalla sua carica, conferitagli solo tre anni prima, chiudendo la sua vita nell’isolamento del convento di Claivaus. Al suo posto venne eletto Bernardo di Trémelay che poté godere del suo titolo solo brevemente, perché negli anni successivi al disastro, nel 1155 gli fu fatale l’assedio di Ascalon, città Egiziana, che a causa della sua posizione strategica rappresentava una minaccia costante al regno di Gerusalemme. Baldovino III assegnò ai Templari un ruolo chiave, affidando loro la fortezza di Gaza. All’alba del 16 agosto 1155, l’esercito Cristiano si mosse all’attacco di Askalon ed i Templari, seguendo la loro regola furono: “i primi all’attacco, ultimi nella ritirata, erano là davanti a tutti”. I Franchi avanzarono con una possente torre d’assedio contro le mura della città. Si aprì una breccia e quaranta cavalieri Templari si precipitarono nell’interno, guidati dal loro Maestro Bernardo di Trémelay. Ma quei pochi guerrieri non bastarono per tenere la posizione ed il tentativo di prendere la città fallì. Non vi furono altre brecce e tutti i quaranta cavalieri compreso il loro Maestro furono uccisi. Anche se la città cadde dopo sei giorni d’assedio, i Templari per la loro eroica impresa non ebbero alcuna lode.

In seguito alla Crociata finita male, l’Occidente deluso, abbandonò Gerusalemme ed i suoi circa 150.000 Cristiani in Terrasanta.

Le sole truppe sempre pronte a combattere in Palestina furono quelle dei Templari e dell’Ordine di San Giovanni, e questi due Ordini furono gli unici che mantennero un continuo rapporto con l’Occidente, dal quale ricevevano rifornimenti d’oro e di uomini. Essi costituirono la spina dorsale militare nello Stato dei Crociati, per cui lo stesso Baldovino III, prima di intraprendere qualsiasi operazione militare, concordava con loro la strategia da seguire.

Ormai Baldovino III regnava sovrano sul suo regno e poté dimostrare di avere un talento diplomatico eccezionale, questo sino alla sua morte avvenuta nel 1163 e poiché non aveva figli, gli successe al Trono suo fratello Almerico. Inizialmente sotto il regno di Almerico, lo Stato Cristiano, godeva di una tranquilla calma, grazie alla politica equilibrata tenuta da Baldovino III, che aveva saputo mantenere il fragile equilibrio di forze tra la Cristianità di Bisanzio, la Siria e Damasco governata da Nuredin. Ma quando il Consiglio di Corte di Almerico decise di attaccare l’Egitto, che era lacerato da una guerra intestina per la carica di Gran Visir, quel fragile equilibrio si distrusse e così nel 1163 l’esercito Cristiano si diresse in Egitto per ottenere un ricco bottino e l’inevitabile accadde in quanto Schawer, uno dei pretendenti alla carica di Gran Visir, richiese prima l’intervento in suo soccorso di Nuredin e poi quando si sentì minacciato dall’arrivo delle truppe Siriane, chiamò i Franchi in suo soccorso. Così, dal 1164 al 1167 i Cristiani si videro costretti ad intervenire a fianco di Schawer nella lotta per la supremazia in Egitto. Si giunse ad un ritiro bilaterale delle truppe ed il nuovo Gran Visir pagò un tributo annuale ai Cristiani di 100.000 dinari, mentre al Cairo rimase una guarnigione di Franchi per provvedere alla riscossione della somma. Il merito di ciò andava anche attribuito ai Templari che avevano preso parte a tutte e tre le spedizioni sul Nilo, perdendo 600 cavalieri e 12.000 scudieri.

Sarebbe troppo lungo elencare tutte le battaglie alle quali i Templari parteciparono, versando il proprio sangue per la gloria di Cristo, ad iniziare dalla prima battaglia alla quale parteciparono nel 1129 nell’assedio di Damasco sino alla caduta di Akkon (Acri) nel 1291, dove il Gran Maestro dell’Ordine Guglielmo di Beaujen, cadde in combattimento e il suo successore, Teobaldo Gaudin, condusse gli ultimi Templari superstiti a Cipro. Basti solo pensare che gli appartenenti all’Ordine dei Poveri Fratelli di Cristo, in tutti gli innumerevoli scontri che ebbero con gli Infedeli, disprezzando la morte, si gettarono in ogni combattimento con coraggio ed ardimento, durante il quale molti caddero ed altri fatti prigionieri, il che non era molto meglio, poiché l’Ordine non pagava alcun riscatto per i suoi cavalieri e questa regola valeva senza eccezioni, per cui andavano certamente verso sicura morte. Sintomatico il fatto che un Maestro prigioniero spiegava: “io posso solo dare la mia cintura ed il mio pugnale come riscatto”, egli quindi non avrebbe mai più combattuto ma non faceva eseguire alcun pagamento per il suo riscatto. Un Gran Maestro, infatti che era stato liberato sulla parola, offrì all’Ordine le sue dimissioni e tornò al grado di Grande Ispettore non combattente. Ma generalmente però ai Saraceni non bastava una simile promessa ed il Gran Maestro rimaneva prigioniero. Fu così che Odo di Saint Amand preferì morire di fame in una prigione di Damasco, anziché farsi riscattare dai Fratelli. Questa voce si sparse presto tra gli Infedeli che non vollero più prendere prigionieri e a partire dal 1157, tagliavano la testa ai Templari direttamente sui campi di battaglia. Ai membri dell’Ordine di San Giovanni, non andava meglio. Infatti il Saladino dopo la battaglia di Hattin, nel 1187, quando il re di Gerusalemme Guido di Lusingano fu fatto prigioniero assieme ai maggiori feudatari del suo regno, fece giustiziare ben 230 Templari ed un numero imprecisato di cavalieri di San Giovanni, con queste parole: “voglio ripulire la terra da queste due infami confraternite che non sono di alcuna utilità come schiavi”.

Di fronte a queste perdite l’Ordine poteva mantenere le sue forze al massimo di 500 cavalieri e 5000 scudieri, solo perché una massa costante di nuove reclute migrava dai paesi Europei in Terrasanta, che era composta da uomini arrivati da poco e questi con la loro ambizione spesso fanatica di andare in battaglia contro gli Infedeli, trascinavano con se gli altri Fratelli, che non volevano lasciarsi accusare di codardia e perfino di tradimento. Nessun tradimento, era la loro massima e di conseguenza i Templari non adattarono mai il loro vivere con le esigenze Orientali, proprio al contrario dei “Poulains” i coloni Cristiani che copiavano molto spesso il modo di vivere della popolazione indigena, adatta al clima e quando i Poulains assunsero anche altri numerosi usi musulmani, i Templari ne ebbero abbastanza e li insultarono come persone senza Patria, privi di onore, uomini che hanno ereditato la terra, ma non i costumi dei loro padri.

Nei cento anni che seguirono, i Templari divennero una delle organizzazioni più ricche e più influenti d’Europa, seconda soltanto al papato stesso, ed una potenza internazionale potentissima. Erano continuamente impegnati in rapporti diplomatici di alto livello tra i nobili ed i monarchi di tutto il mondo Occidentale e della Terrasanta. In Inghilterra per esempio, il Presidente del Tempio era invitato regolarmente al Parlamento reale ed era considerato il Capo di tutti gli Ordini religiosi, con diritto di precedenza su tutti i priori e gli abati del regno. I Templari, mantennero stretti rapporti con Enrico II quanto con l’arcivescovo Tommaso Becket ed ufficialmente si diedero da fare per riconciliarli. In tempi successivi altri sovrani Inglesi, incluso Giovanni Senzaterra alloggiarono spesso nella Precettoria dei Templari di Londra ed il Maestro dell’Ordine fu a fianco del re nel 1215, quando questi firmò la Magna Charta (la prima Costituzione Inglese). L’Ordine non limitò la sua attività politica con la Cristianità, ma l’estese anche con il mondo Musulmano, quello stesso mondo che sui campi di battaglia combatteva ferocemente ed i Templari, da parte dei potentati Saraceni, godevano di un rispetto molto più grande di quello accordato a qualsiasi altro Europeo. Vi erano perfino degli accordi segreti con gli “Hashishim” o Assassini, la famosa setta di adepti militanti e spesso fanatici che costituiva l’equivalente Islamico dei Templari. Essi pagavano ai Templari dei tributi, e si narra che essi fossero al loro servizio. A tutti i livelli politici, essi svolgevano ufficialmente le funzioni di arbitraggio nelle dispute e persino i re si sottoponevano alla loro volontà. Si racconta che nel 1152 Enrico III d’Inghilterra, osò sfidarli, minacciandoli di confiscare alcune delle loro proprietà, esprimendosi con codesta frase: “voi Templari avete tante proprietà e tante concessioni che i vostri enormi possedimenti vi inducono a delirare d’orgoglio e di alterigia. Ciò che fu stoltamente donato deve perciò essere saggiamente revocato; e ciò che fu concesso sconsideratamente dovrà essere consideratamente ritolto”. Il Maestro dell’Ordine così gli rispose: “che dici o re? Non sia mai che la tua bocca pronunci parole tanto spiacevoli e stolte. Finché userai giustizia, tu regnerai. Ma se la violerai, cesserai di essere re”. Da questa risposta si può facilmente comprendere quale era la potenza dell’Ordine, capace di creare e di deporre i monarchi. Furono anche quelli che idearono e consolidarono l’istituzione bancaria, divenendo i primi bancari internazionali in grado di far credito ai regnanti in bancarotta di tutta Europa e persino di alcuni potenti Musulmani, di custodire i fondi dei pellegrini, infatti inventarono il concetto stesso del traveller’s cheque. A quel tempo le monete erano d’argento e d’oro, ed il valore corrispondeva a quello intrinseco della moneta in base al suo peso. Invece di portarlo con sé rischiando di essere derubati, i pellegrini potevano depositare i propri soldi presso la dimora o il castello di un Templare in qualunque parte dell’Europa ricevendo in cambio una nota cifrata. Una volta raggiunta la loro destinazione, si recavano alla locale sede Templare, presentavano la nota che veniva decifrata, grazie ai segretissimi sistemi di decodificazione e prelevavano così la corrispondente somma di denaro. Ma i Templari non si accontentarono solo di denaro, ma furono loro, che grazie ai continui contatti con la cultura Islamica e quella Ebraica, diffusero nel mondo nuove idee, nuove dimensioni della conoscenza e nuove scienze. Essi avevano il vero monopolio della tecnologia più avanzata del loro tempo su quanto di meglio producevano gli armaioli, gli artigiani del cuoio, i muratori, gli architetti e gli ingegneri militari. Contribuirono allo sviluppo dei rilevamenti topografici, della cartografia, delle costruzioni stradali e della navigazione. Poiché possedevano porti, cantieri ed una flotta commerciale e militare, furono i primi ad adottare la bussola. Nel campo della medicina, poiché erano combattenti, avevano la necessità di curare le ferite e le malattie che li rese esperti nell’uso delle medicine. Essi possedevano ospedali di loro proprietà, come pure medici e chirurghi i quali, già allora, usavano estratti di muffa che precorrevano gli antibiotici. I Templari, inoltre avevano una concezione piuttosto moderna dell’igiene e della pulizia.

Ma mentre in Europa i Templari acquistavano prosperità e notorietà, in Terrasanta la situazione era gravemente peggiorata. Nel 1185, in Gerusalemme, morì il re lebbroso Baldovino IV. A lui seguì il re Guido di Lusingano ed il Gran Maestro dell’Ordine era Gerard de Ridefort, il quale tradì un giuramento fatto al sovrano morto e trascinò la comunità Europea della Palestina sull’orlo di una guerra. Il suo comportamento altezzoso nei confronti dei Musulmani causò la rottura della lunga tregua ed una nuova guerra. Così nel luglio del 1187, Ridefort guidò i suoi cavalieri ed il resto dell’esercito Cristiano in una battaglia avventata e disastrosa sulle alture di Hattin. Nella battaglia le forze Cristiane furono sbaragliate e due mesi dopo la stessa Gerusalemme, conquistata circa un secolo prima, cadde in mano ai Saraceni. Dopo che l’esercito Saraceno riconquistò la Terra Santa nel XIII secolo, e cacciò i Crociati, i Templari furono gli ultimi guerrieri ad andarsene, dopo la disfatta di Acri nel 1291. Tornati in Europa, venne meno la loro stessa ragione d’essere, non c’erano più pellegrini da scortare, né una Terrasanta da difendere. Non avevano più casa, né nemici e né cause. E non avevano più molti amici; il potere e la ricchezza avevano dato loro alla testa ed i Poveri Soldati di Cristo, non erano più tanto poveri, ma erano diventati arroganti ed avidi. E molti regnanti, in particolare il re di Francia, dovevano loro parecchio denaro. Cominciarono a circolare sul loro conto, maldicenze favorite dalla segretezza in cui da sempre era avvolta l’iniziazione dell’Ordine ed alla fine furono accusati di eresia, reato gravissimo a quei tempi di Cristianissima civiltà, che comportava la morte al rogo. Ma perché avvenne ciò? Non più tardi del 1228, sessanta anni prima della perdita definitiva della Terrasanta, nell’Ordine si ebbe già un’avvisaglia dei primi gravi segnali di scioglimento, che fu provocata dai papi Innocenzo III e Gregorio IX, i quali misero in discussione il concetto di Crociata. Considerato che l’esistenza dei Templari e le Crociate erano legati tra loro in maniera indissolubile. I Fratelli, all’inizio rimasero fedelmente sottomessi al papato, anche se la conquista della Cristiana Bisanzio nel 1204 da parte dei Crociati era stata approvata e la spedizione contro gli altrettanti Cristiani Albigesi di Francia, condotta con indicibile crudeltà, era stata dichiarata ugualmente Crociata da parte del papa Innocenzo III. Ma quando il papa Gregorio IX proibì ai Templari la partecipazione alla V Crociata, essi dovettero decidere a quale dei due principii cui l’Ordine si basava, cioè l’assoluta fedeltà al papa ed il perseguimento senza riserve delle Crociate, dovevano rimanere fedeli. Fondamentalmente non avrebbero potuto rinunciare a nessuno dei due. Nonostante ciò, decisero di proseguire la lotta contro i Musulmani.

Dopo la morte del Gran Maestro Guglielmo di Beaujen durante la caduta di Acri nel 1291, il suo successore Teobaldo Gaudin, condusse gli ultimi Templari superstiti a Cipro, dove stabilì il suo quartiere generale. Dopo solo due anni gli successe Giacomo di Molay, che poi sarebbe risultato l’ultimo Gran Maestro che annunciò drastiche riforme, volendo estirpare dall’Ordine tutto ciò che avrebbe potuto danneggiarlo. Forse avrebbe potuto salvare l’Ordine, ma avrebbe dovuto trasmettere ai Fratelli un nuovo compito ricco di nuove idee innovatrici. Mentre egli non fece ciò, rimase fermo ai principi che andavano bene cinquanta anni prima e cioè: coraggio, disciplina e disponibilità all’impegno. Giacomo di Molley, era un uomo di scarsa cultura e non era in grado di adattare l’Ordine alle circostanze cambiate. Dal nuovo quartiere generale dei Templari a Cipro, Giacomo si recò in Europa per mobilitare il mondo Cristiano, per una nuova Crociata. Ma l’Occidente aveva rinunciato alla Terrasanta, per cui diede scarso appoggio e così si giunse al 1300, quando i Templari poterono riunire sufficienti forze per partecipare ad azioni militari importanti. Con i cavalieri di San Giovanni, altri Crociati ed un contingente Cipriota, i Templari attaccarono contemporaneamente parecchie località dal mare: Alessandria, il delta del Nilo e la costa Siriana nei pressi di Tortosa. Ma dietro tutto ciò non esisteva alcun progetto strategico e si trattava solo di razzie che fallirono tutte senza eccezione. Ai Templari, riuscì di conquistare la piccola isola di Raud posta di fronte a Tortosa. Fortificarono la fortezza situata sull’isola con una spesa enorme, progettata per far partire da lì i propri attacchi alla costa. Ma anche se l’isola si trovava in una posizione strategica straordinariamente favorevole, non aveva alcuna provvista di acqua dolce e doveva quindi essere sempre rifornita dall’esterno. Inoltre l’Ordine non disponeva di una flotta sufficientemente forte per proteggerla dagli attacchi, per cui quando nell’anno 1302, i Mammalucchi attaccarono l’isola, poterono sbarcare con tutta tranquillità sedici navi piene di guerrieri e dare l’assalto alla città da terra. Nonostante le possenti mura difensive i centoventi cavalieri,i cinquecento arcieri ed i quattrocento scudieri, poterono resistere solo per breve tempo e si videro presto costretti alla resa. La cosa interessante è che non furono giustiziati, come sarebbe stato usuale in precedenza dato che i Musulmani non consideravano più i Templari un grande pericolo ed usarono loro clemenza. I Fratelli rimasti furono condotti in Egitto con infamia e disonore. Così finì senza gloria l’ultima impresa militare degna di nota dei Templari. Da quel giorno i cavalieri-monaci si congedarono per sempre dalla lotta armata. Ma le cose sarebbero andate ancora molto peggio.

Dopo la perdita di Raud, rimasero ai Templari, solo i possedimenti di Cipro, dove avevano trovato rifugio dopo la perdita della Terrasanta.

Poiché non vi erano terre infedeli da conquistare, l’Ordine iniziò a rivolgere l’attenzione all’Europa, nella speranza di trovare una giustificazione per continuare ad esistere. Un secolo prima, i Templari avevano presieduto alla fondazione di un altro Ordine cavalleresco a carattere militare- religioso, i cavalieri Teutonici, che furono poco attivi nel Medio Oriente, ma che verso la metà del XIII secolo si erano creato un Principato indipendente, l’Ordenstaat o Ordensland, che abbracciava quasi tutto il Baltico Orientale. In questo Principato, che si estendeva dalla Prussia al golfo di Finlandia ed il territorio Russo, i cavalieri Teutonici godevano di una sovranità incontrastata, lontani da ogni controllo secolare ed ecclesiastico. Così i Templari, dopo la caduta della Terra Santa, iniziarono a pensare di crearsi uno Stato tutto loro per potervi esercitare una autorità incontrastata ed una autonomia simile a quella dei cavalieri Teutonici. A differenza di questi, i Templari non provavano alcun interesse per le terre selvagge e desolate dell’Europa Orientale. Ormai la loro ricchezza li aveva portati ad essere abituati allo sfarzo ed alla agiatezza e quindi sognavano di fondare un loro Stato nella regione Francese della Linguadoc, dove l’Ordine dei Templari aveva da sempre mantenuto dei buoni rapporti con i Catari. Infatti molti ricchi proprietari terrieri Catari o simpatizzanti Catari, avevano donato all’Ordine cospicui possedimenti, in cui i Templari avevano costruito le proprie fortezze. Secondo quanto lasciatoci scritto da uno studioso, almeno uno dei co-fondatori del Tempio era un Cataro ed è indiscutibile il fatto che Bertrand de Blanchefort, quarto Gran Maestro dell’Ordine, provenisse da una famiglia Catara. Quaranta anni dopo la sua morte i suoi discendenti combatterono a fianco di altri nobili Catari contro gli invasori nordici guidati da Simone de Montfort, che comandava la Crociata contro gli Albigesi. Poco prima del 1215, la fortezza di Blanchefort fu distrutta e le sue terre furono cedute da Simone de Montfort a Pierre de Voisin, in quanto il Signore de Blanchefort, aveva combattuto a fianco di Raymond Roger Trencavel, il comandante dei Catari. Durante la Crociata contro gli Albigesi, i Templari si mantennero ufficialmente neutrali e si limitarono ad assumere il ruolo di testimoni. Nello stesso tempo, il Gran Maestro dell’Ordine in carica, chiarì la posizione dell’Ordine quando affermò che vi era una sola Crociata: la Crociata contro i Saraceni. Inoltre da un attento esame dei documenti dell’epoca si rileva che durante lo spietato sterminio operato dalle Crociate di papa Innocenzo III, ad opera delle truppe di Simone di Montfort molti perseguitati avevano trovato asilo nelle fortezze dei Templari in Linguadoc e molti erano persino entrati nell’Ordine.

I Templari si opposero rigorosamente all’ordine papale di alzare le spade contro dei Cristiani, anche se eretici. In quel periodo di persecuzione, tra i Templari e gli abitanti della regione si formò una solida comunità, tanto che l’intera regione si trasformò in un unico covo di resistenza contro il re di Francia e la burocrazia ecclesiastica. Continuando ad esaminare i registri dell’Ordine si rileva ancora che dall’inizio della Crociata contro gli Albigesi, vi fu una forte affluenza di Catari nelle file dei Templari, dove neppure i Crociati di Simone di Montfort osarono sfidarli. Si evidenzia ancora che in Linguadoc, le alte cariche dell’Ordine erano ricoperte da Catari più spesso che da Cattolici. Grazie ai loro contatti con la cultura Islamica e con quella giudaica, i Templari avevano già assimilato molte idee estranee al Cristianesimo romano ed in seguito all’afflusso di nuove reclute Catare, i cavalieri erano esposti all’influenza del dualismo gnostico, che negava il valore di tutti i sacramenti. Idee queste che Roma non poteva tollerare.

Tuttavia mentre i Templari si preoccupavano di allontanare il pericolo per la sovranità dell’Ordine, si avvicinava la sciagura da una direzione del tutto inaspettata.

Sul più tardi, nell’anno 1305, corsero strane voci sui Templari, che non erano più accusati delle solite cose: invidia, avarizia e cupidigia, ma di eresia, sodomia ed idolatria, reati per i quali era chiamata in causa la così detta “Santa Inquisizione” o Tribunale ecclesiastico che condannava tali reati con la pena di morte al rogo. Per queste gravi accuse si trovò un testimone: Esquien di Florian, un cavaliere escluso dall’Ordine. Questa pessima figura di Templare rinnegato, cacciato dall’Ordine, per prima cosa tentò di vendere ciò che inventava, affermando di sapere, al sovrano Aragonese Giacomo II che non dimostrò alcun desiderio di mettersi contro l’Ordine cavalleresco. Verso la fine del 1306, si rivolse alla corte Francese sostenendo di essere a conoscenza di “atrocità inaudite” che avrebbe potuto raccontare e trovò subito buone orecchie per essere ascoltato da quei Signori. Chiaramente fra questi Signori vi era Filippo IV, re di Francia, detto Filippo il Bello, che smaniava dal desiderio di sbarazzarsi dei Templari. Erano arroganti ed indomabili. Erano efficienti e perfettamente addestrati, e formavano un esercito di professionisti assai più forte e meglio organizzato di quello che lui stesso sperava di radunare. Erano saldamente piazzati in tutta la Francia, e ormai anche la loro sottomissione al papa era puramente nominale. Filippo, inoltre, non aveva la minima autorità sull’Ordine, al quale doveva parecchio denaro. Non aveva dimenticato l’umiliazione patita, quando per sottrarsi ad una folla di Parigini, era stato costretto a rifugiarsi nella Precettoria del Tempio ed aspirava di mettere le mani sulle immense ricchezze dell’Ordine, che aveva avuto modo di osservare durante il soggiorno presso di loro. Ricordava anche che quando aveva chiesto di entrare nell’Ordine come postulante, aveva subito l’affronto di venire altezzosamente respinto. Tutti questi fattori riuniti alla prospettiva allarmante di trovarsi un Stato Templare indipendente proprio sull’uscio di casa, erano sufficienti a spingerlo all’azione e quindi l’eresia poteva essere un comodo pretesto. Servendosi di due suoi consiglieri che rispondevano ai nomi di Guglielmo di Nogaret e Guglielmo di Plaisians e che interpretavano molto bene il suo pensiero, Filippo il Bello, prese le accuse mosse da Esquien, come oro colato ed ordinò delle indagini segrete, introducendo delle spie nell’Ordine. Lo storico Alain Demurger arrivò addirittura a supporre che nel 1303 dopo la composizione della sua lite con il papa Bonifacio VIII, egli il re avesse fatto, il progetto di riuscire a sconfiggere i Templari. Si può quindi ritenere che fu l’artefice principale di tale disegno. Così si arriva all’alba del 13 ottobre 1307, quando le forze di polizia reali arrestarono tutti i Templari di Francia con l’accusa di eresia. La sorpresa era quindi riuscita ed i Fratelli disorientati e senza difesa si lasciarono condurre via e nessuno tentò la fuga. Dalle più di mille sedi, distribuite in tutta la Francia, in cui ebbero luogo contemporaneamente gli arresti, furono condotti via 546 Templari. Sfuggirono solo dodici cavalieri e tra di loro un unico dignitario il Precettore di Francia, Gerardo de Villers. I capi dell’Ordine che per tradizione mantenevano stretti rapporti con la casa reale, questa volta non ebbero alcun presentimento, basti pensare che Giacomo de Molay, alla vigilia del suo arresto aveva ascoltato la messa con il re di Francia.

Una volta ottenuto l’arresto di quasi tutti i Templari di Francia, rimane il fatto che quanto compiuto dal re, resta assolutamente inaudito per i seguenti motivi: in primo luogo un tempo sarebbe stato illegale, poiché i Templari non erano sottoposti ad alcuna giurisdizione laica ma solo ed unicamente al papa, inoltre il re, nella sua lettera di protezione del 1303, si era fatto garante per la sicurezza dei Poveri Fratelli e le accuse mosse contro l’Ordine sembravano campate in aria, per cui come si spiega il loro processo? In primis, Filippo doveva assicurarsi la collaborazione del papa, al quale i Templari dovevano almeno in teoria obbedienza. Come fece ad ottenerla? Semplice! Già tra il 1303 ed il 1305, il re ed i suoi ministri riuscirono a sequestrare e a far morire Bonifacio VIII e probabilmente ad avvelenare Benedetto XI. Finalmente nel 1305, Filippo ottenne l’elezione al Soglio Pontificio del suo candidato, l’arcivescovo di Bordeaux, che prese il nome di Clemente V. Con tale pauroso papa, egli ottenne la soppressione dell’Ordine dei Templari e di questo, lo stesso Dante Alighieri, contemporaneo, vedeva le cose in questo modo e nella sua Divina Commedia,profetizzava che Clemente V fu “la distruzione del Tempio di Gerusalemme”e sarebbe arrostito nell’Inferno (Inf.XIX). Bisogna dare atto che Filippo, nella sua pervicacia e nella sua concupiscenza di impadronirsi del tesoro dei Templari, pianificò con molta abilità le sue mosse. Fece compilare un minuzioso atto di accusa che si può classificare in sei categorie:

- Negazione di Cristo.

- Tenere riunioni segrete nelle quali si venera un capo magico.

- Disprezzo dei sacramenti.

- Pratiche di idolatria e omosessualità.

- Assoluzione data dai laici.

- Cupidigia.

Poi con un’operazione di sicurezza degna degli Stati totalitari e più dispotici, sul genere della Germania di Hitler, fece recapitare ordini segreti sigillati ai suoi siniscalchi di tutta la Francia. Gli ordini dovevano essere aperti contemporaneamente e subito eseguiti. All’alba del 13 ottobre 1307, tutti i Templari in Francia, dovevano venire catturati e posti in stato d’arresto dagli uomini del re, i loro presidi dovevano essere messi sotto sequestro ed i loro beni confiscati, Ma anche se, a quanto pare l’operazione di polizia a sorpresa riuscì secondo le sue intenzioni, gli sfuggì ciò che gli stava più a cuore, l’immenso tesoro dei Templari, che rimane tuttora un mistero su dove sia andato a finire.

Guglielmo di Nogaret, uno dei consiglieri del re ed il principale accusatore, applicò nei confronti dei Templari arrestati, compreso Giacomo de Mollay per quanto riguarda la negazione di Cristo il suo solito metodo che consisteva nell’incolpare ogni accusato di eresia, fosse anche il papa, come fece nell’anno 1303 con Bonifacio VIII, quando era stato arrestato. Sotto il supplizio dell’interrogatorio coercitivo, tutti i Templari confessarono unanimi nel loro interrogatorio il punto principale dell’accusa e raccontarono di aver rinnegato Cristo, sputato sulla croce, di averla calpestata e addirittura di avere urinato sopra, al momento della loro ammissione all’Ordine. Anche Giacomo de Molay si esprime così in proposito: “Fratello Umberto fece portare una croce di bronzo su cui si trovava l’immagine del Crocifisso e mi obbligo a negare il Cristo che era sulla croce. Io lo feci controvoglia”. Di tutti questi reati vennero accusati i Templari, ma nonostante le confessioni estorte con il supplizio, l’accusa è rimasta sempre poco plausibile, ma tuttavia la punizione che colpì i Templari non fu del tutto immeritata e l’Ordine andò in rovina per proprie colpe. La sua colpa mortale fu di aver lasciato la retta via al più tardi della metà del XIII secolo ed in una tale mancanza di orientamento e di aver dato una pessima immagine all’esterno. I Templari mostravano una superbia intollerabile, erano inattivi, banchettavano e ordivano intrighi contro gli altri Ordini cavallereschi, la Chiesa ed il re. Resero per ciò le cose facili a re Filippo per screditarli completamente di fronte alla gente. Con tutto ciò si può ritenere che il processo contro i Templari ed il loro Ordine fu fin dall’inizio una vera farsa. La sentenza era stata gia stabilita. E’ evidente che Filippo IV aveva ordito il “più grave assassinio giudiziario del Medioevo, con l’unico scopo di mettere da parte i Poveri Fratelli di Cristo”. Non conosciamo le vere ragioni che lo portarono a tutto ciò, ma in sostanza nulla cambia, in quanto i metodi usati per la ricerca della verità si possono ritenere a buon diritto privi di fondamento, in quanto tutte le confessioni furono estorte. In prigione avevano solo due possibilità: chi avesse confessato poco importava cosa, sarebbe stato perdonato; chi invece anche di fronte alla tortura avesse taciuto, sarebbe finito sul rogo come eretico impenitente.

Clemente si riservò direttamente la sentenza per i quattro dignitari più importanti dell’Ordine che il 18 marzo 1314, furono condannati al carcere a vita. Alla lettura della sentenza però, si ribellarono Giacomo de Molay e Goffredo de Charnay che proclamarono che l’Ordine e le sue regole erano sacre e di aver confessato solo per paura della tortura. Tortura continuata e persistente per ben sette anni, durante i quali le loro ossa erano state spezzate, lasciate ricomporsi malamente e quindi spezzate di nuovo. Le giunture slogate, i tendini tranciati, ben coscienti di non poter più fare niente con le mani e le braccia e di non poter più camminare e pur avendo ben chiara la conseguenza della loro ritrattazione, avevano proclamato l’innocenza dell’intero Ordine. L’indomani mattina essi furono bruciati sul rogo come eretici e ben presto la loro fine terribile si trasformò in un mito circondato da un aura di gloria.

Charpentier cita cronache secondo le quali Giacomo de Molay “attese la morte con le mani giunte, lo sguardo rivolto alla Vergine Maria e sopportò il fuoco imperturbabile, tanto che tutti rimasero molto stupiti”. Quando egli era già in piedi sul rogo, augurò, secondo quel che si dice, ai propri persecutori di venire chiamati entro quello stesso anno al giudizio di Dio, per potersi giustificare dei loro misfatti. E così fu, Clemente V morì solo un mese dopo di dissenteria e Filippo il Bello fu stroncato in dicembre dalle conseguenze di una caduta da cavallo. Analoga sorte toccò a tutti i personaggi chiave del processo. Infatti Guglielmo de Nogaret (che redasse l’atto di accusa) morì addirittura nel corso del procedimento ed i principali detrattori, furono pugnalati o morirono impiccati. Di certo i Templari sapevano bene come uccidere un uomo e di Fratelli sfuggiti al rastrellamento che volevano vendicare il loro Gran Maestro ve ne erano certo a sufficienza.

L’Ordine forse continuava ad esistere in clandestinità. Quella che i testi di storia ritengono la fine dei Templari, fu forse solo un nuovo inizio

Vi ho raccontato per sommi capi duecento anni della nostra Storia, quella storia di uomini che un giorno era stata vera vita che riguardava la lunga, gloriosa e triste vicenda dei Poveri Fratelli di Cristo.

Volendo inserire in essa, uno squarcio di crudo realismo, ho pensato alla persona del Gran Maestro Giacomo de Molay, rinchiuso nelle galere sotterranee di Parigi e con la mia immaginazione, vi narro come ebbe a trascorrere verosimilmente l’ultima sera della sua vita, prima di quel fatidico 18 marzo 1314, quando il re Filippo il Bello ed il papa Clemente V con altri cortigiani lo andarono a trovare nelle tetre e buie galere, per tentare per l’ultima volta di carpirgli il luogo ove aveva fatto nascondere il tesoro dei Templari.

“Era tarda sera e vi era silenzio in quel luogo rumoroso di acciottolii di catene, di cigolii di ruote e cremagliere, di sibili di bracieri e di grida senza fine dei tormenti. Spezzato nel corpo, Giacomo de Molay aveva ripreso i sensi e mentre i suoi pensieri andavano schiarendosi, percepì le consuete fitte di dolore che come di consueto cancellò. Aprendo gli occhi al lume incerto della lumeggiante torcia infissa al muro, vide che niente era cambiato. Le pareti della cella erano ricoperte di una melma verdastra, che colava sul pavimento colmo di sozzura di sangue umano e di escrementi. Molta di quella lordura proveniva dal suo corpo, dato che si trovava lì da circa sette anni. Un tempo sufficiente a distruggere il suo corpo. Si concentrò più attentamente sul tempo che vi aveva trascorso. Erano passati sei anni e mezzo dalla notte in cui gli uomini del re avevano raso al suolo il Tempio di Parigi. Era stato di venerdì, ricordava. Il 13 ottobre 1307. Lui dormiva ancora come molti suoi cavalieri, quando decine di siniscalchi avevano fatto irruzione nella sede del Tempio, alle prime luci dell’alba. Certo i cavalieri avrebbero dovuto essere meglio preparati. Da mesi sapeva che quel re avido ed i suoi servi, stavano cercando il modo di distruggere il potere del Tempio. Avevano fieramente combattuto e benché i suoi cavalieri avevano venduto cara la pelle, gli uomini del re avevano il vantaggio del numero ed ebbero il sopravvento. Poi egli ed i suoi compagni erano stati fatti salire sui carri che li avrebbero condotti al loro destino. Mentre pensava a tutto ciò, udì dei passi che erano di molti uomini che stavano arrivando nella sua cella ove egli era incatenato. Attraverso gli occhi gonfi ed iniettati di sangue intravide cinque o sei uomini in abiti eleganti fermarsi davanti a lui. Al centro vi era il re di Francia. Slanciato e maestoso Filippo IV superava di un palmo tutti gli altri suoi adulatori che gli stavano attorno. Ancora giovane e nemmeno trentenne, Filippo il Bello aveva pelle chiara e lunghi capelli biondi. Sembrava il ritratto stesso della nobiltà, eppure per quasi dieci anni, spinto da un insaziabile senso di avidità, di ricchezza e potere, pari solo alla sua ignobile dissolutezza aveva seminato abbondantemente morte e distruzione, infliggendo tormenti a chiunque gli ostacolasse il cammino ed i cavalieri Templari avevano certamente ostacolato il suo cammino. Questo pensava Giacomo, quando sentì altri passi che sopraggiungevano lungo il corridoio. Passi nervosi ed affrettati che annunciarono l’arrivo di una figura minuta coperta da un mantello grigio e da un cappuccio. L’uomo ad un dato punto inciampò, il cappuccio ricadde ed il Gran Maestro riconobbe il papa. Non vedeva il papa da molti anni e nel frattempo il suo viso era cambiato Rughe profonde gli piegavano verso il basso gli angoli della bocca, come se soffrisse di un qualche disagio interiore e gli occhi erano infossati nelle orbite scure.

Il re ed il papa insieme e nulla di buono si profilava.

Lo sguardo del re era fisso su Giacomo, ma l’uomo distrutto non aveva alcun interesse per il re in quel momento. Invece non staccava gli occhi da quello del papa che si agitava nervosamente evitando di guardarlo. Il Gran Maestro si domandò il motivo della reticenza del papa. Forse era dovuta ai suoi sotterfugi che avevano accelerato la caduta dei Templari? Oppure perché non poteva sopportare la vista delle ferite, delle piaghe aperte e della carne non rimarginata che le continue torture gli avevano procurate? Il re si avvicinò e rivolto all’uomo tarchiato che si teneva ai margini del gruppo e che era Gaspard Chaix, il torturatore, gli chiese: “niente”. “Niente”,rispose l’uomo. “Che sia dannato all’Inferno” sbottò il re, con la voce colma di ferocia nascosta che lo torturava e rivolto al Gran Maestro con un sussurro tagliente lo apostrofò: “parla maledetto. Dove è il tesoro”. “Non vi è alcun tesoro” rispose semplicemente il vecchio Templare con la voce appena udibile anche da lui stesso. “Perché devi essere così cocciuto” gli urlò il re. “A che ti serve? I tuoi Fratelli hanno detto tutto; le vostre sordide cerimonie di iniziazione, con gli umili cavalieri della Croce che negano la divinità di Cristo ed adorato Baphomet, sputano sulla Croce, vi urinano persino sopra. Hanno confermato tutto”. Lentamente Giacomo de Molay si leccò le labbra spaccate con la lingua gonfia, “sottoposti a tortura - riuscì a dire - avrebbero confessato anche di avere ucciso Dio in persona”. Filippo gli si avvicinò ancora di più,”la Santa Inquisizione vincerà” gridò indignato. “Un uomo della tua intelligenza dovrebbe capirlo questo. Dimmi solo ciò che voglio e avrai salva la vita”. “Non vi è alcun tesoro” ripeté il Gran Maestro, con il tono rassegnato di chi sa di non poter convincere il proprio interlocutore. “E’ inutile” disse il re e si voltò ancora furibondo ma apparentemente rassegnato quanto la sua vittima. “Il tesoro deve essersi volatilizzato quella stessa notte”. Poi rivolto il suo sguardo freddo al corpulento torturatore gli chiese: “quanti di loro vivono ancora fra queste mura?” Gaspard Chaix rispose che a parte il Gran Maestro solo il suo Vice Goffredo de Charnay era sopravvissuto. A questo punto, il re si voltò e lanciò un’occhiata all’uomo distrutto. “Fatela finita” ordinò. Il torturatore si avvicinò incerto, “quando Vostra Maestà?” “Domani mattina” rispose il re. A quelle parole, il Templare provò una sensazione che non provava più da molti anni. Era quella del sollievo che acquietava finalmente il suo animo. Con le palpebre pesanti, gettò uno sguardo verso il papa e vide il suo mal celato compiacimento. “ E quanto alle loro proprietà?” domandò il papa, con voce tremula. “I libri, i documenti ed i manufatti, appartengono alla Chiesa”. Allora “prenditeli” rispose il re facendo con la mani un gesto come di noncuranza, quindi gettò un ultima occhiata densa di odio verso il Gran Maestro ed andò via furibondo, seguito dalla piccola corte che gli si precipitò dietro.

Per un brevissimo istante gli occhi del papa incontrarono quelli di Giacomo, prima che Clemente si voltasse per affrettarsi ad uscire. In quella frazione di tempo, il Templare aveva letto nei suoi pensieri che gli avevano confermato la natura dell’uomo: un opportunista scaltro che aveva manipolato il re per i propri scopi. Non potendo dare al papa la soddisfazione di averlo capito, gli rivolse uno sguardo carico di disprezzo e per un fuggevole istante, parve che un lampo di paura attraversasse i lineamenti avvizziti del papa. Una vittoria a suo modo? Pensò. Forse perché il papa non avrebbe dormito bene quella notte e con quel pensiero chiuse gli occhi ed attese la morte che a poche ore gli era vicina.”

Certo di avere dato una succinta ma completa visione di quel magnifico ed eroico Ordine che fu dei “poveri soldati di Cristo” che tanto si distinse in quella triste e sanguinaria epoca, concludo il racconto augurandomi di avervi offerto una buona lettura.

 

Brindisi, 21 febbraio 2011.

 

Antonio TRONO