PARIGI COME BAGDAD. MENTRE I G.20 DISCUTONO, L’ISIS CONTINUA A SEMINARE TERRORE E MORTE.


In un mio precedente racconto, pubblicato sempre sulla rivista telematica “Il Timone di Brindisi”, dal titolo “L’Islam a confronto col suo vero antagonista l’Isis, ovvero il Nuovo Califfato dell’Iraq e della Siria (Isis)”, narravo di come era nato quello Stato, del suo proclamato Capo, della sua apostasia nei confronti dell’Islam, del suo modesto esercito, sorto con il nascere dello Stato. Ricordavo di come, da raccogliticcio ed eterogeneo, con l’andar del tempo era divenuto sempre più numeroso ed omogeneo, avanzando in breve tempo su vasti territori dell’Iraq e della Siria.

Argomentavo di come si è arricchito sequestrando su quei territori i numerosi giacimenti petroliferi e delle raffinerie. Di come, usufruendo della più avanzata tecnologia informatica nel campo delle telecomunicazioni, attraverso video trasmessi in tutto il mondo, abbia reclutato migliaia e migliaia di proseliti.

Ho narrato inoltre dell’addestramento, dei suoi miliziani in Siria ed in Libia; come nei territori occupati, applichi in maniera crudele e spietata, sulla folla dei residenti la “Sharia” e di come trasmette attraverso video costosi, aperte minacce di distruzione e morte ai Paesi Occidentali, rei di praticare altra religione.

 Infine concludevo la narrazione con il chiedermi se sia stato un bene, assimilare, affratellare ed integrare nella nostra differente società civile, educata dalla religione Cattolica, all’amore per il prossimo, allevare ed educare fanatici che in nome di un’altra religione, che tra l’altro venera lo stesso Iddio, dal nome diverso, stupra, uccide senza alcuna misericordia donne, vecchi, giovani e bambini, colpevoli di essere Cristiani o di appartenere alla loro medesima religione, colpevoli solo di avere trasgredito, secondo una loro diversa interpretazione ad una norma del Corano.

Poiché non è la religione, ma la follia  e l’odio che crea questi mostri, va bene sempre ricordare quel vecchio detto che ammonisce: “chi alleva nel proprio seno la serpe, si condanna a sicura morte.

Con la consapevolezza di oggi, è come se avessi profetizzato la tragedia che ha colpito a morte la terra di Parigi.

Quei mostri hanno voluto dare un esempio di cosa avverrà in futuro, nelle nostre città, nei nostri paesi, nei nostri alberghi, nei nostri ristoranti, sui  nostri litorali,  nei nostri ritrovi di svago e di cultura, nei nostri ospedali e ovunque spazia il territorio occidentale, se noi tutti, non avremo la volontà, il coraggio e la forza di annientarli prima che ciò accada.

Ma perché tale e tanto è l’odio per il nostro vivere occidentale, che cova nei cuori e nell’animo di questi spietati giovani di entrambi i sessi che militano nelle file dell’Isis? A guardare bene, sono e risultano nella maggior parte, cittadini Europei di seconda e terza generazione, che pur di riuscire a sterminare diecine e centinaia di uomini, donne, giovani e bambini, non esitano ad imbottirsi o ad essere imbottiti di cinture esplosive e dopo una strage di gente innocente sì fanno saltare in aria invocando in maniera blasfema che: “Allah è grande”.

Questa è la domanda che mi assilla e mi tortura maggiormente, dopo la strage di Parigi.

Mi chiedo e continuo a chiedermi, da dove provenga tanto odio, tanto rancore e tanta pervicacia, capace di infiammare l’animo di un uomo, o meglio dire di un giovane di ambo i sessi, tanto da fargli odiare l’amore per la vita, per la società occidentale, per il suo prossimo, per la sua compagna e soprattutto per i bambini che sono la ricchezza di questa nostra valle di lacrime, ed uccidere così, senza apparentemente senso logico, fatto salvo per la parodia di invocare il Santo nome di Allah.

Una domanda, alla quale, mi prefiggo di dare una mia abbozzata ma sincera risposta.

Qual è dunque l’origine del male? A cosa è dovuta questa mostruosa ed assoluta mancanza di empatia!

Provo a spiegarlo, ma non a giustificarlo.

Considerato che essi sono i nipoti e persino pronipoti di uomini provenienti da culture Islamiche, insediatisi in Europa dopo aver attraversato il Mare Mediterraneo, che gorgheggia tuttora dei corpi di annegati che barconi sgangherati trasportano dalle coste libiche in Europa;

Considerato che quelle terre a noi molto vicine, sono state schiavizzate per secoli, in nome della nostra maniera di vivere e tenuto conto che la colonizzazione dei paesi, comporta  l’odio dei colonizzati, ritengo che quell’odio direi viscerale e costantemente custodito segretamente nell’animo del colonizzato, sia stato tramandato da generazione in generazione.  

Stabilitisi in Europa, malgrado il miglioramento del proprio tenore di vita, in ognuno di loro, ciò, non abbia cessato di sopravvivere l’odio.

Negli ultimi nati, rabbia, emarginazione e rancore, sono esplosi come lava da un vulcano e in maniera premeditata hanno determinato le stragi di Parigi, in speciale modo in quella ultima, della quale parlerò più approfonditamente.

Questo è quello che ritengo sia stato il motivo scatenante l’odio mortale che ha portato quegli esseri, dal volto e dalla mente disumana, a compiere quella spaventosa ecatombe di vite umane.

 Lo narrerò, perché rimanga durevole memoria del presente, a chi verrà dopo di noi.

Ore 20,15 del 13 dicembre 2015, una serie di attacchi terroristici sferrati a Parigi, colpendo simultaneamente il decimo ed undicesimo arrodissemant di Parigi, dlo Stade de France e Sant-Denis nella regione dell’Ile de France.

Gli attacchi sono stati condotti da almeno otto terroristi, responsabili di tre esplosioni nei pressi dello stadio e di sei sparatorie in diversi luoghi pubblici della capitale francese, la più cruenta delle quali presso il Teatro Bataclan, dove sono rimaste uccise ben cento persone.

Si è trattato di uno dei più cruenti attacchi avvenuti in territorio francese dalla seconda guerra mondiale e del secondo più grave attacco terroristico nell’Unione Europea, dopo gli attacchi dell’11 settembre 2004 a Madrid.

Mentre gli attacchi erano ancora in corso, in un discorso televisivo, il Presidente francese Hollande, ha dichiarato lo Stato di emergenza di tutta la Francia e la temporanea chiusura delle frontiere.

Dall’inizio del 2015, la Francia è vittima di numerosi attentati terroristici di matrice Islamica, compiuti da affiliati e sostenitori di Al-Qaida e dello Stato Islamico.

A gennaio sono stati attaccati la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo a Parigi e un supermercato Koscher, a Porte de Vincennes.

Negli attentati compiuti dai fratelli Kouachi e da Amedj Conlibaly rimasero uccise diciassette persone. In seguito si sono verificati altri attacchi, seppure di minore entità. In febbraio tre militari, sono stati accoltellati a Nizza da Moussa Conlibady, cittadino francese di origine africana; ad Aprile, una donna Aurelie Chatelain, è stata assassinata dallo studente algerino Sid Ahmed Chilam, il quale aveva inoltre pianificato un attacco alla Chiesa di Villejuif a Parigi.  A giugno il trentacinquenne Yassin Salhi’s di origine marocchina, ha ucciso e decapitato il proprio datore di lavoro per poi fotografarsi insieme alla testa mozzata della vittima inviando le foto in  Siria tramite WattsApp. Infine il 21 agosto è stato sventato un attacco ad un treno ad alta velocità, proveniente da Amsterdam e diretto  a Parigi. Tre cittadini americani ed uno britannico, infatti riuscirono a bloccare il terrorista 27enne Ayub al Qabizzam, poco prima di aprire il fuoco con un Kalashnikov. Nel tentativo di immobilizzarlo, tre persone sono rimaste ferite.

Ricordato quanti sono stati gli attacchi terroristi che hanno colpito la Francia, passo ora a narrare come si sono susseguiti gli attacchi del 13 dicembre.

A partire dalle 21,20 circa, una serie di attacchi terroristici, coordinati, ha coinvolto la zona intorno allo Stade de France (mentre si stava giocando l’amichevole calcistica tra Francia e Germania), Bouvelard de Charonne, Bouvelard Voltaire, Rue Alibert, Rue de la Fontaine ed il Teatro Bataclan.

Gli autori, otto terroristi, hanno usato fucili mitragliatori, granate ed esplosivi. Tre di loro si sono fatti esplodere, con cinture esplosive. Dopo aver finito le munizioni, quattro sono stati uccisi dalla Polizia ed uno è riuscito a fuggire, braccato dalle forze dell’Ordine ed a quanto si è saputo successivamente anche dall’Isis, che reclama la sua morte, in quanto non si è fatto esplodere al pari degli altri.

Le prime esplosioni sono state segnalate tra Rue Bichet e Rue Alibert. Gli stessi terroristi hanno attaccato successivamente un ristorante, uccidendo undici persone per poi fuggire in automobile. Poco dopo la sparatoria si è verificata nella terrazza (intesa come spazio esterno con tavolini) in una pizzeria italiana “La Casa Nostra” in Rue de la Fontaine au Roi a Sud de Rue Bichet. Contemporaneamente tre esplosioni di cui due ad opera di Kamikaze, sono avvenute all’esterno dello Stade de France, venti minuti dopo l’inizio dell’amichevole di calcio Francia - Germania a cui stava assistendo anche il Presidente Hollande. La partita si è conclusa regolarmente, mentre il Presidente ha incontrato il Ministro dell’Interni Bernard Cozeneuve, in una riunione di emergenza.

Nel frattempo, prima delle 22.00, quattro terroristi, hanno aperto il fuoco ed hanno lanciato granate all’interno del Bataclan, teatro dove si teneva un concerto del gruppo musicale statunitense  “Eagles of Death Metal” a cui assistevano mille e cinquecento persone. Dopo aver assassinato diversi spettatori, i terroristi si sono fatti esplodere mentre il quarto è rimasto ucciso prima che potesse azionare la cintura esplosiva. Il  blitz è avvenuto mentre un quinto terrorista si è fatto esplodere all’esterno, nella vicina Bouvelard Voltaire.

Le indagini sono state condotte dal Procuratore della Repubblica di Parigi, che tra l’altro sono servite ad identificare in uno degli assalitori del Bataclan, un cittadino francese di circa 30 anni, nato a Courconronnes (dipartimento dell’Assoum, sito nel comprensorio della capitale) e schedato per la sua “radicalizzazione” e le vettura usata durante gli attacchi era stata noleggiata a Bruxelles da un cittadino francese residente in Belgio.

Il Presidente Francois Hollande ha tenuto un breve discorso in cui ha dichiarato lo Stato di emergenza  su tutto il territorio nazionale ed il ripristino dei controlli alle frontiere,

Il Belgio ha immediatamente intensificato i controlli lungo il confine con la Francia, mentre negli Stati Uniti d’America il livello d’allerta è stato alzato in alcune città, con particolare riferimento in quelle ove esistono i Consolati francesi.

In Italia il Ministro degli Interni Angelino Alfano, ha elevato il livello di sicurezza, portandolo al 2° livello, quello che precede il livello massimo, cioè di attacco in corso ed ha imposto l’innalzamento delle barriere di sicurezza a scopo cautelativo contro la possibilità di attentati terroristici.

Dopo aver descritto in maniera semplice ma spero esaustiva, l’attacco terroristico al teatro Bataclan ed agli altri siti di una Parigi mostruosamente colpita, con la devastante e proditoria  perdita di centinaia di vite di giovani di ambo i sessi, che avevano il solo torto di volersi godere innocentemente una serata tranquilla di  pace e di svago, passo a narrare  delle prime misure di sicurezza adottate dai vari governi occidentali, delle conseguenze che tali attentati hanno provocato, nella Nazione francese e nell’intero mondo occidentale e delle minacce inconsulte che l’Isis attraverso i suoi video, trasmette a noi  Occidentali.

L’attacco terroristico a Parigi è stato un attacco senza precedenti in Europa. Il drammatico bilancio è di centoventinove morti, trecentocinquantadue feriti di cui novantanove gravi, secondo quanto riferito dal Procuratore della Repubblica di Parigi. Tra le vittime Valeria Solesin, la giovane studentessa veneziana che studiava alla Sorbona e che si trovava fuori del Bataclan, quando è iniziato il massacro.

Intanto in una Parigi attonita per l’attacco subito, commuove il fatto che una delegazione di Imam ha reso omaggio alle vittime della strage del Bataclan, pregando per alcuni minuti davanti al teatro. Alla presenza di centinaia di Parigini, che proprio in quelle ore affollavano il luogo dell’attacco terroristico, gli Imam hanno cantato la Marsigliese.

 

Si sono mossi i Grandi del Mondo impegnati nel G20 in corso in Turchia che che assume l’onere di condividere un documento ad hoc sul terrorismo.

Resta altissimo l’allarme in Gran Bretagna che al pari della Francia fornisce migliaia di miliziani dell’Isis. Il Ministro dell’Interni britannico ha dichiarato che resta l’allarme a livello  “grave”, alla luce dei fatti di Parigi e quindi il rischio di attentati è considerato “altamente probabile”. Mentre il Ministro degli Interni del Governo francese, ha chiesto ed ottenuto una riunione straordinaria dei Ministri degli Interni dell’Unione Europea.

Il Papa nel condannare l’eccidio ha espressamente dichiarato che “ usare Dio per giustificare l’odio è una bestemmia”.

L’Isis ha rivendicato ufficialmente gli attentati di Parigi, dichiarando che “ Parigi è la capitale dell’abominio e della perversione”. Ed arrivano nuove minacce degli jiadisti che hanno pubblicato un video, senza data, in cui fanno sapere alla Francia: “Non vivrete in pace finché continuerete i bombardamenti”.

Si tratta della seconda rivendicazione trasmessa in diretta.

“E’ un atto di guerra compiuto dall’esercito dell’Isis”. Lo ha detto il Presidente della Repubblica francese Hollande, parlando in diretta Tv ai francesi. Le forze di sicurezza, l’esercito, sono stati mobilitati al massimo livello. Annunciati tre giorni di lutto nazionale.

Dopo che la rivista ufficiale dell’Isis, Dabiq, si era assunto nella notte la paternità del massacro, evocando una “vendetta per i raid in Siria”, ed un successivo video di minacce, gli jiadisti dello Stato Islamico, hanno diffuso un comunicato ufficiale ed un audio che ha rivendicato gli attacchi e lanciato nuovi anatemi. Parigi è stata presa di mira perché  “capitale dell’abominio e della perversione”. E’ solo l’inizio della tempesta. “La Francia e chi la sostiene, rimarrà tra gli obiettivi principali dell’Isis e continuerà a sentire l’odore della morte, per aver preso la guida della Crociata, aver insultato il Profeta ed essersi vantata di combattere l’Islam”.

Alcuni testimoni della strage nella sala dei concerti Bataclan, hanno affermato di aver visto una donna nel Comando.

Dopo Parigi, ora tocca a Roma, Londra e Washington, è il sinistro proclama che ha accompagnato le celebrazioni dei sostenitori dell’Isis, su Twitter degli attacchi a Parigi, con l’hashtag : #Parigi in fiamme. Ricordate il 14 Novembre di Parigi. Non dimenticherete mai questo giorno, così come gli americani l’11 settembre! Lo scrive Rita Kokg sul sito, citando canali dell’Isis.

Ed in tale contesto di morte e di terrore, desidero raccontare il miracolo di Massimiliano, che è riuscito a salvarsi, fingendosi morto nella strage del Bataclan.

Massimiliano Natalucci, 45enne e Laura Apolloni, 46enne, sono tra gli italiani che si trovavano nella sala concerti Bataclan. Ad unirli, la città di origine, Senigallia, la passione per il gruppo rock Eagle of Death Metal e una amicizia lunga una vita. Sono riusciti a salvarsi da quella che lo stesso Massimiliano ha descritto in una telefonata al padre come una “carneficina con sangue dappertutto”. Laura è stata colpita di striscio alla spalla dalla scheggia di un proiettile. Massimiliano è riuscito a cavarsela con una escoriazione a una gamba, per una caduta durante la fuga. “Mi sono trovato a 4-5 metri da un terrorista armato. Ogni tanto sparavano a qualcuno, ha raccontato l’uomo. “Temevo che Massimiliano questa volta non c’è l’avrebbe fatta. E’ stato miracolato, per cinque volte. E’ scampato alla strage dell’ Heysel, quando aveva 15 anni, era lì con nostro padre e suo zio. In un terzo Massimiliano non fu direttamente coinvolto. Nel 1989 tre studenti morirono intrappolati nell’abitacolo di una auto finita per una manovra sbagliata, nelle acque del porto canale di Senigallia. Massimiliano era stato con loro fino a mezz’ora prima, ma era dovuto andare via in anticipo per una emergenza familiare. La sorella Federica ha detto di credere che quello di ieri sera non poteva essere che un miracolo, perché a otto anni era stato baciato da Papa Wojtyla in Piazza San Pietro.

E mentre Massimiliano e la sua compagna si sono salvati, uguale miracolo non è avvenuto per la giovane studentessa  veneziana Valeria Solesin, che è rimasta trucidata, assieme ad altri centoventotto giovani, dai cani arrabbiati e, non esseri umani dell’Isis, nella loro orgia di sangue.

Dopo aver terminato di descrivere del come, del dove, del quando e del non senso del perché, desidero capire ed esporre il pensiero comune che domina noi occidentali, nel conoscere e sapere chi sta dietro questo nuovo Stato Islamico, capace di questi risultati.

Lo Stato Islamico, viene definito da diverso tempo il “gruppo terroristico più ricco nella Storia, che è una organizzazione militare imprenditoriale che usa l’Islam per i propri fini.

La rapida conquista dei territori in Siria ed in Iraq, ha spinto molti giornalisti ed esperti a chiedersi in che modo i miliziani dell’Isis siano riusciti a finanziare le loro attività; cioè come abbiano fatto a conquistare, governare ed amministrare in un tempo relativamente molto breve, un territorio grande all’incirca come il Regno Unito e che comprende tra gli otto e i dieci milioni di persone.

Molti hanno cominciato a chiedersi anche “chi ci fosse dietro” all’Isis, e quali fossero gli Stati che gli hanno garantito l’appoggio finanziario; qualcuno ha anche sostenuto, in linea con le posizioni del Governo iraniano, che dietro all’ascesa dell’Isis ci fossero gli Stati Unii. In realtà molte delle ipotesi circolate non sono state finora confutate da fonti culturali. Quello che si sa è che l’Isis è un Gruppo che si finanzia per la maggior parte con le risorse che ricava dal territorio che controlla ed in misura minore con donazioni private. Ad oggi non vi è alcuno Stato del Medio Oriente che ne sostenga l’azione, almeno apertamente, e non lo fa nemmeno l’organizzazione terroristica più forte e conosciuta , al- Qaida. L’Isis ha sviluppato sistemi di finanziamento “autonomi ed innovativi”, che gli hanno permesso di imporsi in alcune zone dell’Iraq e della Siria, due Stati con dei governi che per alcune ragioni hanno perso il controllo del loro territorio. E soprattutto, come ha scritto il Washington Post, la sua economia è altamente differenziata, significa che se una fonte di produzione viene annullata, il Gruppo può contare sulle altre.

Bisogna dire che il sistema di finanziamento dei Gruppi terroristici non è più lo stesso dai tempi di Osama bin Laden.

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti e i loro alleati riuscirono a smantellare il sistema di finanziamenti usato dalla leadership di al-Qaida, basato soprattutto su donazioni esterne. Lo stesso Osama bin Laden si lamentò ad un certo punto della mancanza di fondi nelle casse dell’organizzazione. Da allora le cose per al-Qaida, e specialmente per i suoi Gruppi affiliati, hanno cominciato a cambiare; oggi i nuovi sistemi di finanziamento si basano sempre più su fondi raccolti localmente e sempre meno su finanziamenti esterni (che comunque sono ancora presenti). Per esempio al-Qaida nel Magreb Islamico (A QIM), Gruppo da cui mesi fa si sono staccati i miliziani algerini responsabili della decapitazione del cittadino francese Hervè Gourdel, basa le sue entrate soprattutto con rapimenti e successive richieste di riscatti e traffici illegali, per esempio di opere d’arte che garantiscono profitti per diecine di milioni i dollari.

Uno schema simile, basato sullo sfruttamento di risorse locali, è stato adottato anche dall’Isis, ma con risultati notevolmente superiori, basti pensare che stando ai dati di Rand Corporation, le entrate totali dell’Isis sono passate da poco meno di un milione di dollari al mese alla fine del 2008, a uno virgola trecento milioni di dollari al giorno nel 2014.

Ma quali sono le spese che deve sostenere l’Isis? Oltre ai costi di essere in guerra e a quelli necessari per l’organizzazione di attentati terroristici, come quelli di Parigi?  Lo Stato Islamico ha diverse spese relative alle sue attività di governo nel territorio del Califfato Islamico, per esempio gestire le scuole, la polizia religiosa, le mense ed il sistema giudiziario basato sulla sharia e anche un autorità per la protezione del consumatore, ha scritto il Washington Post. Paga i suoi miliziani con quattrocento dollari al mese, una cifra superiore a quella offerta dal Governo iracheno ai suoi dipendenti. Ha anche organizzato una banca centrale per la sua moneta, anche se ha  fatto uso spesso le monete locali, come il dinaro.

Giunti a questo punto ci chiediamo di che tipo sono i finanziamenti esterni dell’Isis, giungendo alle relative conclusioni di dire che da diverso tempo alcuni benefattori e cittadini comuni dei Paesi Arabi Sunniti del Golfo Persico, tra cui gli Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Kuwait, finanziano i Gruppi che combattono contro il regime Sciita di Bashar al-Assad, alcuni altri, quali estremisti e considerati “terroristi” dai paesi Occidentali.

I finanziamenti dell’Isis non provengono comunque dai governi del Golfo, ma da privati che spesso usano legislazioni piuttosto morbide per far arrivare il denaro in Siria.

In generale, non stupisce più di tanto che questi paesi mantengono una certa flessibilità riguardo al finanziamento dei Gruppi esterni, anche se terroristi: nelle logiche della politica medio orientale degli ultimi trenta anni, i primi nemici dei paesi Sunniti sono stati Iran e Siria, paesi governati da Sciiti. Insomma dove serve colpire il potere Sciita, come nel caso del regime di Bashar al-Assad, gli aiuti in passato sono stati concessi senza troppa prudenza, anche se non a qualsiasi costo.

E l’Isis in questo senso è un’eccezione, visto che tutti i paesi Arabi Sunniti si oppongono al progetto della creazione di uno Stato Islamico.

Come dimostra uno studio di Washington Institute for Near East Policy, il paese da cui provengono i maggiori finanziamenti all’Isis è il Kuwait, seguito dal Qatar e dalla Arabia Saudita. Non è chiaro a quanto ammontino queste donazioni, ma sembra che siano una piccola parte delle finanze del Gruppo. I Governi di questi tre paesi, comunque, si sono schierati a favore della grande coalizione guidata dagli Stati Uniti: i Sauditi hanno anche partecipato ai recenti attacchi aerei in Siria, mentre il Qatar ha approvato una nuova legge che vieta le donazioni verso l’Isis. La situazione è resa ancora più complicata dal sistema articolato “di Governo” che i miliziani dello Stato Islamico hanno messo in piedi nei territori del Califfato, che include una struttura sociale simile a quella che hanno creato Hezbollah nel Sud del Libano e Hamas nella striscia di Gaza. Questo sistema, a suo modo, fornisce diversi servizi alla popolazione. Il risultato è che differenziare i finanziamenti al terrorismo da quelli per il sostegno alla popolazione locale colpita dal conflitto, non è facile. E si rischia che gli uni finiscano nell’ingrossare le casse degli altri. Di conseguenza ci si domanda come si finanzia l’Isis?

Per molti mesi le finanze dello Stato Islamico si sono basate sui ricavi di operazioni criminali, di rapine e di vendita di greggio estratto dai pozzi petroliferi iracheni e Siriani. Più di recente, ha scritto il New York Times, i miliziani dello Stato Islamico hanno avviato una vera e propria economia di guerra: l’Isis controlla magazzini e raffinerie, ha messo in piedi un sistema molto articolato di estorsioni ai danni di imprenditori e di vendita di ex proprietà  governative ed equipaggiamenti militari americani (tra cui anche gli Humvee, veicoli militari dell’esercito americano sequestrati dalle basi militari irachene e forniti dagli Stati Uniti al governo di Bagdad dopo la caduta di Saddam Hussein).

L’Isis usa anche le nuove tecnologie e i social media per raccogliere le donazioni dei singoli individui: la rivista Al-Naba, una pubblicazione gestita dall’Isis, tiene informati, i donatori dei progressi delle operazioni militari, mentre su Twitter è possibile vedere le foto degli equipaggiamenti militari  e degli avanzamenti territoriali del Gruppo.

Stando allo studio del Washington Institute for East Policy e ad altre analisi di giornalisti ed esperti di terrorismo, la fonte principale di finanziamento dell’Isis è lo sfruttamento dei pozzi petroliferi e raffinerie (la maggior parte si trovano nell’Est della Siria). Secondo alcune stime piuttosto approssimative la vendita di petrolio garantirebbe all’Isis un profitto di circa 1.5 milioni di dollari al giorno. La maggior parte del greggio è smistato attraverso l’Iraq e un corridoio di terra nel Sud della Turchia, e per diverso tempo si è detto che una parte fosse venduto allo stesso governo siriano, a cui l’Isis aveva sottratto i giacimenti (non è un ipotesi così assurda) ed un inchiesta del Financial Times ha dimostrato di recente che l’Isis e governo siriano hanno messo in piedi delle specie di Joint venture per la gestione di alcune centrali elettriche a gas.

Nonostante le pressioni degli Stati Uniti, per ora il governo turco non ha avuto la capacità o la volontà di esercitare un controllo più ferreo sul confine, bloccando il passaggio di risorse, di armi e anche di uomini. Le istallazioni petrolifere sono state riconosciute anche dall’amministrazione di Obama come la principale fonte di sostentamento dell’Isis; più di recente quindi si parla di indebolire l’Isis e si riferisce spesso all’ipotesi di colpire i giacimenti petroliferi e i traffici di petrolio (ma ci sono delle controindicazioni anche a perseguire questa strategia, ha spiegato il Financial Times).

L’Isis ha ottenuto anche circa mezzo miliardo di dollari sequestrando i contanti tenuti nelle banche dell’Iraq, durante la rapida avanzata dell’estate del 2014. Altre fonti di guadagno sono: la rivendita di armi e mezzi militari americani ottenuti dalla conquista di basi militari irachene; la vendita o l’affitto di case di persone che sono state uccise o che hanno lasciato quel territorio dopo l’arrivo dell’Isis, i contanti di valute forti portati dai Foreign fighters, che arrivati nel Califfato islamico per combattere, la vendita di orzo e grano coltivati nelle terre controllate dall’Isis.

Secondo Thomson Ruters se acido solforico e acido fosforico fossero venduti al mercato nero anche solo al 50 per cento del loro valore, potrebbero fornire più di 300 milioni di dollari annui di profitto e il traffico di esseri umani, soprattutto la vendita ai mercati delle schiave di donne.

Ci si domanda, vi sono gli Stati Uniti dietro l’Isis?

No. Il governo americano non ha mai finanziato i miliziani dello Stato Islamico nella Siria e nel Levante (ISIS) e nemmeno quando era affiliato ad al-Qaida. Una delle preoccupazioni più grandi dell’amministrazione Obama, rispetto all’idea di finanziare e armare i ribelli siriani è stato proprio il rischio, anche in tempi non sospetti, che questo denaro e queste armi finissero tra le mani dei gruppi più estremisti, tra cui l’Isis e il Fronte al-Nusra, unico rappresentante riconosciuto di al-Qaida in Siria.  Il primo piano di sostegno statunitense ai ribelli Siriani, quello segreto sviluppato dalla Cia usando delle basi in Giordania, ci mise mesi per dare i primi risultati, proprio per le preoccupazioni americane nel “mappare” per quanto possibile il movimento delle loro armi una volta entrate in Siria.

Dopo aver offerto ai lettori, una vasta ed approfondita sintesi su come l’Isis si sovvenziona e con quali mezzi si procura le sue entrate, passo ora a motivare del perché i Grandi, aspirano ad allearsi con Putin, onde riuscire a sconfiggere, anzi meglio ad annientare la compagine del Levante, quella mostruosa con fratellanza di uomini e donne che costituiscono l’armata dell’Isis e che con le sue scorrerie criminali e mostruose sta insanguinando il terreno Cristiano d’Europa.

 Allearsi con Vladimir Putin è la parola d’ordine del momento, una delle poche cose su cui tutti paiono essere d’accordo nel caos di notizie, ideologie e prese di posizione del dopo-Parigi.

“Senza i Russi la vittoria sull’Isis è impossibile. Secondo i politici e gli esperti, l’esperienza di Mosca nel combattere l’islamismo più radicale è impagabile. I russi hanno sperimentato eccidi di massa come quelli di Parigi anni prima, e la strage al teatro della Dubrovka, con il commando che irrompe nella sala in mezzo a uno spettacolo, sembra aver scritto il copione per il massacro al Bataclan.

La strage del teatro della Dubrovka, con quella del Bataclan, ha dei paralleli scontati ma non esattamente corretti.

La scenografia è la stessa, una metropoli colpita al cuore, con le vittime non più lontani abitanti in zone di guerra, ma amici e parenti della Mosca bene, nella platea del Musichall più di moda della stagione.

La scenografia non potrebbe essere più diversa. L’assedio del teatro della Dubrovka, nell’ottobre del 2002, durò ben tre giorni, con i terroristi ceceni che chiedevano un negoziato che, secondo loro, il Cremlino non avrebbe potuto non concedere per salvare più di novecento ostaggi.

Chiedevano il ritiro dei russi dalla Cecenia, l’indipendenza di Crozny e un salvacondotto per se stessi.

Non azionarono le loro bombe nemmeno quando le teste di cuoio russe, lanciarono il blitz, nonostante non tutti i terroristi fossero caduti addormentati dal gas anestetico lanciato prima dell’operazione, e alcuni ingaggiarono una sparatoria con gli agenti.

Dei 130 morti alla Dubrovka, 128 furono uccisi dal gas tuttora misterioso usato dai servizi russi. Soltanto due furono vittime dei terroristi.

La Dubrovka fu uno sparti acque; segnò la fine di una guerriglia cecena nata come nazionalista e laica, più IRA che al-Qaida, e il trionfo definitivo di quella di stampo Jiadista.

Le prime terroriste suicide sono arrivate in Cecenia nel 2000, insieme ai soldi e ai libri di dottrina provenienti dai paesi del Golfo, e le ragazze kamikaze alla Dubrovka hanno sfoggiato per la prima volta veli neri di taglio integralista, sconosciuto sino ad allora nel Caucaso russo. Ma avevano in tasca un biglietto di ritorno a casa e portavano la maschera, speravano ancora di uscirne vive. Dopo, i terroristi ceceni hanno cominciato a entrare nelle scuole, nelle stazioni e negli aeroporti solo per farsi esplodere, solo per uccidere più infedeli possibili, solo per terrorizzare, coma al Bataclan.

La Cecenia è stata infine, “pacificata” appaltandola a Ramzan Kadyrov, un ex guerrigliero che ha imposto una sua forma di sharia, e che vanta un grado di autonomia che mette in imbarazzo a volte perfino Mosca, che però continua a finanziarlo con budget quasi illimitato.

Ma Putin non ha la ricetta magica contro l’Islamismo, non più di quanto ce l’abbia Hollande o l’abbia avuta Bush. Può però usare farmaci più forti, come le rovine di Grozny hanno dimostrato.  Viene quasi il dubbio che gli Europei, invocando a gran voce l’intervento necessario della Russia contro l’Isis, in realtà sperano che Putin faccia per loro il lavoro sporco, bombardamenti a tappeto, incurante  delle Ong e magari mandi i suoi soldati  “on the ground” a rischiare quello che i governi europei non vogliono rischiare, anche perché gli sarebbe molto più facile occultare il numero dei caduti  e impedire le eventuali proteste.”

Putin potrebbe anche accettare. E’ abituato a trarre il massimo di queste situazioni.

Questo è quanto ha scritto in un suo articolo, il quotidiano “La Stampa” del 16 Novembre u.s, a proposito della molto probabile alleanza con Putin, per sconfiggere in maniera definitiva l’Isis ed il suo Califfato.

Intanto i G20, mettono al bando il terrorismo, definendolo “un affronto all’umanità” e sono pronti a colpire le sue risorse e la finanza anche con le sanzioni. Ma è dalle parole del Presidente turco Erdogan che è forse arrivato il messaggio cruciale del vertice: Assad non si ricandida alle prossime elezioni, lascia entro sei mesi. Una frase che arriva a poca distanza dall’incontro del “Sultano”, con Putin che ha parlato di posizioni avvicinate alla Siria, la coalizione anti - Isis si rafforza.

Gli attacchi di Parigi, hanno impresso un’accelerazione senza precedenti all’esigenza di trovare una soluzione alla crisi Siriana e l’avvicinamento tra Mosca e Washington ed è tangibile anche dalle parole di Francois Hollande  da Versailles “voglio incontrare Obama e Putin per unire le forze” ha detto appellandosi anche ai vincoli di solidarietà tra partner previsti dal trattato Ue.

La tanto attesa notizia di accordo raggiunto è arrivata attraverso il Dazeba News di informazioni fuori dal coro che ha pubblicato che durante il recente incontro a margine dell’assemblea generale dell’ONU., Viadimir Putin e Barak Obama si sono detti d’accordo sul fatto che Stati Uniti e Russia hanno interessi comuni nella lotta contro l’Isis in Siria e sulla necessità di attuare un canale di comunicazioni per prevenire una mancanza di intesa tra le unità della coalizione  (con a capo gli USA) e la Russia. Lo ha fatto sapere l’ambasciata americana in Russia.

Ma, alla  coalizione tra Russia – Cina e Stati Uniti, manca però la dichiarata partecipazione dell’Europa, che sempre maggiormente titubante, tentenna ancora, e non riesce, sicuramente per pura codardia, a prendere un’unanime decisione,  che la porti a dichiararsi favorevole e d’accordo, ad essere anch’essa partecipe, prima che il panico pervada l’animo delle popolazioni occidentali o che altre stragi  si susseguano,  per mano dei terroristi dell’Isis.

Queste, sono le speranze che albergano nell’animo di ognuno di noi, una coalizione che riesca ad annientare il Califfato del Male e, che dobbiamo distruggere a tutti i costi, per come incalza Obama.

 Ma prima di terminare così, questo mio lungo racconto, vorrei ricordare quanto scrisse lo storico Henri Pirenne nel suo libro “Maometto e Carlomagno” e da me, già ricordato in altro racconto dal titolo “L’espansione Islamica, la decadenza e l’odierna alba del risveglio”, pubblicato nel 2008 nel mio primo libro, dal titolo : “La morte gloriosa di un Crociato” .  “E’ bene rammentare che la storia ci ha tramandato che nel passato nel nostro Mediterraneo, vi furono tre tentativi di conquista del bacino Occidentale da parte di quello Orientale (Fenicio – Greco, Bizantino – Arabo e Turco) come vi furono tre tentativi di conquista, del bacino Orientale da parte dell’Occidente (Romano – Crociato e recente passato coloniale o mandatario), per cui vi è sempre la malaugurata sciagura che la Storia si ripeta, con il quarto tentativo di conquista dalla parte degli Orientali.

 Giunto al termine del racconto, desidero esprimere il mio pensiero che accomuna tutti gli uomini di buona volontà, che è quello che non vorrei mai e poi mai, per l’amore che porto ai miei figli e ai miei nipoti  che l’Occidente venga  conquistato ed Islamizzato, da quell’evanescente e pur consistente esercito dell’Isis, che approfittando dal temporeggiare dell’Europa, lo fa divenire sempre più minaccioso e forte nell’incutere terrore e morte sulle nostre terre Cristiane, e che vuole  essenzialmente distruggere la nostra civiltà. Infine, non vorrei più rivedere, per come mi è capitato di vedere, nelle varie trasmissioni televisive, la messa in crisi, della celebrazione del Santo Natale, né tampoco il vivere sotto assedio, nelle nostre città, a causa delle minacce, che un pugno di folli masnadieri, vuole imporre a tutti i costi a tutti noi, la loro fede, nel nome di Allah.

Ho cercato di esporre i fatti, in maniera semplice e corretta, della sanguinosa notte di terrore e morte abbattutasi, al pari di un fulmine, nella notte del 13 novembre 2015, sulla città di Parigi, nella speranza che anche i più semplici, abbiano il potere della conoscenza, nel capire cosa avviene quotidianamente, sotto i nostri occhi, su questa nostra terra d’occidente, colma di morte, di stupri e di altri misfatti, commessi da uomini, non definibili certamente tali, che non sanno conoscere, il vero significato che ha per tutti noi, il rispetto della nostra e della altrui vita umana.

E, non vorrei che mai accadesse come millenni di anni orsono accadde alla città di Sagunto, alleata della grande Roma che lasciò ad Annibale, suo acerrimo nemico, di conquistarla e distruggerla e con il detto della lingua latina della grande Roma antica termino il mio racconto:” Dum Romae consulitur, Saguntum  espugnatur” - “mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata”.

 

Brindisi, 28 novembre 2015,

                                                      Antonio TRONO