La rivolta dei fasci in Sicilia

 

di Antonio Trono

 

La pioggia che ininterrotta per ben due giorni,cadeva sulla città,aveva steso una leggera coltre di nebbia che opacizzava le strade,le auto parcheggiate e le alte case che da immobili sentinelle vigilavano tutto intorno. Come la pioggia e la leggera nebbia penetrava pian piano tra le case e gli uomini,così penetrava nel mio animo rendendolo triste ed infelice. Rinchiuso in casa,mi sentivo pervaso dagli umori angosciosi e desolanti da quella continua e persistente pioggerellina che cadeva fitta e continua dal cielo. Alla ricerca di uno svago,accesi la televisione ed ebbi modo di udire le parole del Presidente della Repubblica,On. Giorgio Napoletano,che glorificava e stabiliva la data del 17 Marzo 2011,per la ricorrenza del 150simo Anniversario della nascita dello Stato Unitario Italiano. Poi lessi su alcuni quotidiani le dichiarazioni rese da diversi uomini politici della Lega Nord e rimasi alquanto turbato e quasi infastidito dal tenore dei loro asserti attraverso i quali manifestavano il loro dissenso. Al che mi posi la domanda di cosa volessero mai e se era il caso di rileggermi e di soffermarmi sulla nascita dell’Unità di Italia, questo perché a sentire il nostro amato Presidente,figlio egregio dell’altrettanta amata città di Napoli,parrebbe una cosa superflua,ma come in ogni cosa italiana,nulla è mai progettato,organizzato,ma tutto deve essere fatto all’insegna della precarietà e della incertezza. Quindi all’italiana maniera.

Ma tornando a quella fatidica data ci si domanda quanti disordini,quanti sovvertimenti che nel meridione peninsulare culminarono con la degenerazione del Brigantaggio politico ferocemente represso ed in Sicilia con la rivolta dei Fasci,ugualmente repressa,quanti morti,quante stragi di inconsapevoli ed inermi uomini,donne e bambini ha provocato?

Ora con gli occhi, il cuore e la mente rivolti alla Storia,rileggiamo e meditiamo sugli avvenimenti che avvennero in quel lontano tempo che fu dei padri dei nostri padri e che purtroppo sono ancora oggi evidenti. Ma per cortesia,evitiamo in maniera certa ed assoluta,quella Storia che i libri scolastici ci hanno raccontato e sentiamo invece quei racconti,che costituiscono la vera Storia,scritta con il sangue delle vittime fra l’attonito stupore di tantissimi miseri braccianti agricoli del Meridione d’Italia e di altrettanti disoccupati operai delle zolfare,di braccianti agricoli siciliani,che sentendosi finalmente liberi dall’oppressione Borbonica e credendo fermamente ad una chimerica giustizia sociale,racchiusi numerosi in cortei manifestavano pacificamente per le strade dei loro paesi,con i ritratti del re e della regina ed un crocifisso portati innanzi, gridando :”Viva il re! Abbasso le tasse”affrontavano inermi le truppe dei fantaccini piemontesi,venendo falciati da quella atroce fucileria fratricida.

Ed ora passiamo ai fatti.

Il 5 maggio 1860,partiva da Quarto,vicino Genova,la spedizione capeggiata da Giuseppe Garibaldi,che aveva al seguito circa mille volontari,fra i quali molti fra intellettuali o meno, Siciliani ,che scontenti della dominazione del regno Borbonico,erano fuoriusciti dalla loro isola,rifugiandosi prima in Inghilterra e poi a Torino,allora capitale del regno Sardo-Piemontese. Dopo una navigazione tranquilla l’11 maggio,le due navi della spedizione,il Lombardo ed il Piemonte,giunsero a Marsala. Lo sbarco avvenne in maniera tranquilla e senza subire alcun attacco da parte delle navi Borboniche,anzi venne coadiuvato dalla popolazione. Ciò avvenne in quanto la flotta napoletana era controllata a distanza da quella Inglese,ancorata lì per evitare che quella Borbonica intervenisse. Fu possibile ciò!Dato che le grandi potenze dell’epoca e cioè la Francia e l’Inghilterra,intenzionalmente avevano manovrato una complessa manovra che aveva lo scopo di consolidare il loro potere economico,militare e commerciale nel mediterraneo,abbattendo il regno delle due Sicilie,facendolo annettere a quel piccolo Stato Sabaudo dei Savoia. I Francesi,infatti in cambio del loro aiuto,avevano ottenuto dal re di Sardegna,l’isola della Corsica,vera piattaforma logistico militare posta al centro del Mediterraneo e la regione della Savoia. Gli Inglesi,aiutati dagli Americani,attraverso l’azione segreta della Massoneria,finanziarono,sostennero e sorvegliarono per la buona riuscita,l’operazione Garibaldina,che non era la realizzazione della tanto agognata Unificazione di una Nazione sotto una medesima bandiera,ma la semplificazione dei rapporti internazionali che vedevano l’Impero Francese e quello Inglese,dividersi il potere su tutto il pianeta. Garibaldi, massone iniziato di una Loggia inglese,così scriveva: “ Io sono del parere che l’unità massonica trarrà a se l’unità politica d’Italia Io reputo i massoni eletta porzione del popolo Italiano. Essi, creino l’unità morale della Nazione. Noi non abbiamo ancora l’unità morale,che la Massoneria faccia questo, e quello sarà subito fatto.” Le idee di Garibaldi erano condivise da tutta la Massoneria,la quale a sua volta voleva “liberare” l’Italia dal cattolicesimo,che allora godeva anche di un territorio,di una economia e di un esercito forte. Lo Stato Pontificio che occupava l’intera area centrale dello Stivale e sostituirsi ad esso,come risulta chiaramente dalla lettura di riviste massoniche,pubblicate durante il periodo risorgimentale. Così è scritto nel Bollettino del Grande Oriente del 1865:”Le Nazioni riconoscano nell’Italia il diritto di esistere come Nazione in quanto le affidavamo l’altissimo ufficio di liberarla dal giogo di Roma cattolica”. Da quanto detto si deduce che tale unità non volgeva al fine di dare al popolo una maggiore libertà,si trattava invece di soddisfare il fine che la Massoneria si proponeva,al quale da secoli aspirava,superando ogni genere di ostacoli e di pericoli.

Passando ora alla spedizione dei Mille,Garibaldi,nell’attraversare con i suoi la Sicilia,non trova grandi difficoltà. Anzi man mano che procedeva,vedeva le file dei suoi Mille ingrandirsi sempre di più .Questo avveniva perché la popolazione dell’isola,lo riteneva capace di soddisfare quel desiderio sempre più forte di libertà,al quale da secoli anelava,per cui si univa a lui,felice di avere incontrato un novello Duce,capace di soddisfare le sue aspirazioni. Egli infatti non rivoluziona,ma semplicemente ricostruisce un equilibrio che prima faceva perno sul re di Napoli e che avrebbe proseguito dopo il suo arrivo con il re Piemontese. Quindi assicurava solo un semplice cambio di consegne. Da Marsala a Teano,luogo ove Garibaldi incontra Vittorio Emmanuele II,l’esercito garibaldino si ingrandisce sempre di più e passa dai Mille della partenza a circa 30.000 uomini,mentre l’esercito borbonico forte di ben 25.000 uomini con la defezione degli Ufficiali che transitarono in quello Piemontese con il grado superiore,intervenne solo nella battaglia campale di Milazzo e senza infierire il 25 luglio lascia la Sicilia. Ancora più liscia è la traversata della Calabria e della Basilicata,mentre in Campania sotto Caserta vi fu un'altra battaglia campale sferrata dalle truppe rimaste fedeli ai Borbonici. Il percorso della spedizione lungo su per giù 800 chilometri venne percorso in 174 giorni ad una media di cinque chilometri al giorno,per cui dati i tempi ed i numeri,come è facile capire non si trattò di una spedizione particolarmente faticosa e pericolosa. Le ragioni che spinsero per la nascita dello Stato Unitario italiano,furono diverse e contrastanti. Tra le varie ipotesi vi fu quella della realizzazione di uno Stato federale molto auspicata dall’Imperatore dei Francesi Napoleone III,che avrebbe gradito avere il Papa,quale autorità di garanzia dell’Italia nascente,ma che non venne realizzata anche perché le ragioni predominanti dei liberali e dei massoni spingevano verso la soppressione dello Stato Pontificio e che vedevano fino a quel momento il Papa,Re di uno Stato ancora prima di essere percepito come autorità morale.

Realizzato lo Stato Unitario,sin da allora mostrò tutte le contraddizioni esistenti. Ad iniziare dall’esercito,i trentamila volontari,furono incorporati,con una assunzione a tempo determinato nell’esercito regio di Vittorio Emmanuele II,con gli stipendi pagati e garantiti dalla incorporazione alle casse dello Stato Piemontese,quindi novello Stato Italiano,di tutte le attività dell’ex Regno Borbonico. Il Piemonte che all’epoca,era lo Stato più indebitato d’Europa,si salvò dalla bancarotta,disponendo delle grandi risorse che gli provenivano dai territori del Regno delle due Sicilie che da quello infausto dì del 17 maggio 1860 iniziò ad essere denominato Mezzogiorno d’Italia e divenne,in un solo attimo da territorio da liberare a Stato da annettere forzatamente.

Furono venduti, a prezzi ridicoli,tutti i beni privati dei Borboni e gli stabilimenti pubblici civili e militari delle due Sicilie. Tutte le spese per la “liberazione” che equivale a forzata “annessione” del Sud e dei lavori pubblici furono affidate alle speculazioni delle imprese lombarde -piemontesi, e furono addebitate alle “ regioni” liberate” o “annesse”.

In netto contrasto con i tanto decantati principi di libertà,uguaglianza e fratellanza,al Sud fu applicato un aumento delle imposte di oltre il 32%,mentre gli fu attribuito meno del 20% della ricchezza italiana. Queste disposizioni impartite dal nuovo governo Italiano furono una vera cuccagna per l’industria e gli industriali dell’Alta Italia ed una rovina spaventosa per il Mezzogiorno,che provocò il definitivo fallimento degli importantissimi stabilimenti tessili,tra i quali quelli di Otranto,di Taranto,di Gallipoli e del famosissimo complesso di San Leucio a Caserta,i cui telai furono portati qualche anno dopo a Valdagno,dove fu creata la prima fabbrica tessile nel Veneto di Piero Marzabotto che con i Rossi costituirono i primi grossi insediamenti produttivi del marchio “Lanerossi” nel Veneto. Vennero smantellate le cartiere e le ferriere,i cui macchinari furono trasferiti in Lombardia. Le fabbriche per la produzione del lino e della canapa furono costrette a chiudere. La disoccupazione divenne così un fenomeno di massa ed iniziarono le prime emigrazioni verso l’estero. Con la partenza per altri lidi degli emigranti,le terre iniziarono ad essere abbandonate,a causa della mancanza di forza lavoro giovanile. Così nacque la questione meridionale,per la quale si discute ancora oggi,facendo noi apparire dei “terroni”eguagliandoci ai Peones Messicani,( senza alcuna offesa per loro) che trascorrono le loro giornate,attendendo il domani, seduti sull’uscio di casa,con il sombrero dalle ampie falde calcato sulla testa,per ripararsi dal sole cocente,mentre quelli del Nord sono le persone pulite,intelligenti e sveglie,che a sentirli,lavorano anche per noi del Sud. Al disastro dell’abbandono delle terre si aggiunse l’affidamento degli appalti pubblici da compiere nel Mezzogiorno d’Italia che vennero assegnati ad imprese della Lombardia e del Piemonte e furono eseguiti con il prelievo dei capitali meridionali. La solida moneta aurea ed argentea che circolava nel Regno Borbonico,era garantita da solidissime riserve di oro e di argento,non a caso in quella epoca il detto Regno era il terzo Regno più industrializzato del Mondo, dopo l’Inghilterra e la Francia. La moneta solida venne sostituita con quella cartacea che era quella Piemontese,garantita dal Banco di Sicilia e dal Banco di Napoli,provocando la più disastrosa devastazione economica subita da un popolo. L’appalto delle ferrovie del Sud dell’Italia venne affidato ad un Massone e nel Consiglio di Amministrazione erano presenti ben quattordici deputati Piemontesi,mentre quale Vice Presidente della Società “Strade ferrate Meridionali” venne nominato l’allora Primo Ministro del Regno d’Italia,Bettino Ricasoli.

Nel corso dell’annessione e successivamente dopo, i Piemontesi che assediavano il Meridione, si diedero ad operare come vere Bande di Ventura,saccheggiando case e chiese alla ricerca di oggetti preziosi. Venne soppressa la libertà di stampa e di pubbliche riunioni,anche la posta privata fu censurata. Fu una vera e feroce dittatura militare,dove i cittadini che si ribellavano a tale loro banditesco comportamento venivano arrestati ed incarcerati in luoghi oscuri e fetidi,abbandonati alla più nera sporcizia di escrementi e topi con i quali erano obbligati a convivere. Molti di quei poveri derelitti,ai quali venivano sequestrati i beni e derubati del denaro che possedevano sconoscevano finanche di quale reato dovevano rispondere. Giunsero ad essere una moltitudine tale che il re d’Italia avviò delle trattative con il re del Portogallo,perché gli affittasse un’isola nell’Atlantico,dove depositarli per lasciarli morire d’inedia,ma grazie ad Iddio questa trattativa fallì e non se ne fece più nulla. Al termine del 1862,in una relazione al Parlamento di Torino furono forniti ai deputati i dati ufficiali relativi all’anno in chiusura,sulla situazione dell’ex Regno di Napoli,nella quale si legge:”15.665 persone fucilate,1740 imprigionate,960 uccise in combattimento,mentre gli scontri di una certa consistenza erano 574. Un vero bollettino di guerra,in cui si vedeva un esercito Nazionale di oltre 60.000 uomini bene armati ed equipaggiati contrastare la guerriglia di numerose Bande armate,composta da uomini e donne che si erano ribellati alla tirannia dell’assedio dei fantaccini Piemontesi,capeggiate per lo più da ex Sottufficiali dell’ex esercito Regio di Napoli,quali il Sergente Romano di Gioia del Colle,Ninco Nanco,Cosimo Mazzeo di San Marzano,detto” Pizzichicchio”,Arcangelo Cristolla di Gioia,detto” Pirichillo”,Rocco Chisichingno,detto “Coppulone”,Riccardo Colasuonno di Andria,detto “Ciucciariello” e tanti e tanti altri che vennero combattuti aspramente ed uccisi e le loro misere spoglie esposte al ludibrio e monito delle genti. Nella lotta al Brigantaggio,l’esercito Piemontese venne coadiuvato dalla Guardia Nazionale Mobile,appositamente istituita da Vittorio Emmanuele II. Dell’epoca rimane famosa la Legge 15 agosto 1863 n: 1409,meglio conosciuta come legge Pica dal nome del suo proponente,On. Giuseppe Pica dell’Aquila.

Della recrudescenza del Brigantaggio politico che ebbe a svilupparsi nella quasi totalità dell’Italia Meridionale peninsulare,rimando il tutto ad altro racconto,che forse scriverò; per il momento mi interessa continuare il presente,narrandovi delle vicende e dei fatti che interessano la terra di Sicilia,dopo oltre 30 anni dell’Unificazione della nostra Italia. Vi narrerò della nascita,dell’evolversi e della dura repressione sferrata dal Governo Nazionale sui braccianti agricoli e sui solfatai che fiduciosi dell’illusoria speranza di libertà avevano aderito ai Fasci Siciliani.

Nel 1871,Roma era divenuta la terza capitale del regno,fra il trambusto violento e la baraonda oscena dei tanti che si erano abbuffati reclamando compensi,carpendo onori e favori. Garibaldi,dopo il suo ferimento e la sua resa in Aspromonte si era ritirato a Caprera. In Sicilia,dove il nuovo governo usurpatore prima aveva gabbato le popolazioni con il miraggio della libertà e poi le aveva affamate con imposte e manomissioni inique,era sopravvenuto il rovinio di tutte le illusioni,di tutta la fervida fede,con cui si era accesa alla rivolta. Povera isola,trattata,come terra di conquista! Poveri isolani,trattati come barbari che bisognava incivilire! Ed erano calati i Piemontesi ad incivilirli,era calata la soldatesca nuova,quella colonna infame comandata da un rinnegato Ungherese Eberharlt,venuto per la prima volta in Sicilia con Garibaldi e poi tra i fucilatori di lui sull’Aspromonte,e quello altro Tenente Savoiardo Dupuy,l’incendiario,calati tutti gli scarti della burocrazia ,con liti e duelli e scene selvagge;poi la Prefettura del Medici e i Tribunali militari,i furti,gli assassini,le grassazioni ordite ed eseguite dalla nuova polizia in nome del Reale Governo,e le fucilazioni e le sottrazioni di documenti ed i processi politici ignominiosi; tutto il primo governo della Destra parlamentale! E poi era venuta la Sinistra al potere ed aveva incominciato anche essa con provvedimenti eccezionali per la Sicilia; e usurpazioni e truffe e concessioni e favori scandalosi e scandaloso sperpero del denaro pubblico;prefetti,delegati,magistrati messi al servizio dei deputati ministeriali,e clientele spudorate e brogli elettorali;spese pazze,cortigianerie degradanti;l’oppressione dei vinti e dei lavoratori,assistita e protetta dalle legge ed assicurata l’impunità degli oppressori. Infine la politica doganale seguita dal Governo Italiano,era stata tutta una cuccagna per l’industria e gli industriali del Nord ed una rovina spaventosa per il Mezzogiorno e per la povera isola,che da anni ed anni con il continuo ribasso dei prodotti e con il prezzo in cui era disceso lo zolfo,diveniva impossibile trattare meglio gli operai addetti all’estrazione dello zolfo,per cui molti proprietari delle zolfare,chiudevano le miniere spingendo gli operai a scioperare. Ma cosa chiedevano questi miseri solfatai se non la libertà di avere realmente il diritto di soddisfare ai bisogni della vita? Ma ciò diveniva un miraggio,per la ignoranza di coloro a cui erano rivolte. In tale contesto, il Primo maggio del 1891,a Catania,guidato da Giuseppe de Felice Giuffrida,furono ufficialmente fondati i Fasci Siciliani. Però il movimento era già nato in maniera spontanea a Messina. Poi seguì il Fascio di Palermo nel 29 giugno 1892,guidato da Rosario Garibaldi Bosco e la costituzione del Partito dei Lavoratori Italiani nell’agosto del 1892. A questi due Fasci se ne aggiunsero altri e già alla fine del 1892,il Movimento si era diffuso in tutto il resto dell’isola con sedi in tutti i capoluoghi,tranne Caltanissetta. Il movimento era nato sull’esempio dei Fasci operai nati nell’Italia centro-settentrionale e fu un tentativo di riscatto delle classi meno abbienti,inizialmente fornite dal proletariato urbano ed a cui si aggiunsero braccianti agricoli e solfatai,lavoratori delle marinerie ed operai. Essi protestavano sia contro la proprietà terriera Siciliana,sia contro lo Stato che appoggiava apertamente la classe benestante. La società Siciliana in quella epoca era molto ma molto arretrata,il feudalesimo pur se era stato abolito dagli stessi aristocratici illuminati,agli inizi del diciannovesimo secolo aveva condizionato la distribuzione delle terre e quindi delle ricchezze. Il Governo Italiano,dall’altro canto,non aveva portato i benefici sociali tanto sperati ed il malcontento era molto forte fra i ceti più umili. Cosa chiedeva il Movimento,se non fondamentalmente delle riforme soprattutto fiscali ed una riforma più radicale nell’ambito agrario,che permettesse una revisione dei patti agrari,delle abolizioni delle gabelle ed una nuova distribuzione delle terre.

Dopo aver dato alcuni cenni storici sulla nascita ed i motivi della costituzione dei Fasci,passo ora a farvi rivivere le voci delle vittime di quella tremenda bufera che si abbatté sui derelitti abitanti di quella isola.

Vi narrò dei fatti avvenuti in Sicilia, a Serradifalco,a Catenanuova,ad Alcamo ed a Casale Florida, che provarono come in tutta l’isola covasse un gran fuoco,che presto sarebbe divampato ed a presentare la Sicilia come una enorme catasta di legna,composta da alberi morti per la mancanza di pioggia ed abbattuti senza misericordia dall’accetta,perché la pioggia dei benefici si era riversata tutta su l’Italia settentrionale e mai una goccia ne era caduta sulle arse terre dell’isola. Ora le giovani idee socialiste avevano acceso sotto la catasta, dei fasci di paglia ed ecco che la secca legna cominciava a prendere fuoco. Erano ancora dei piccoli fuochi,ma scappavano fuori da una parte e dall’altra alcune lingue di fuoco minaccioso. Ed il male era che il Governo invece di accorrere a gettare acqua,inviava soldati a fare sviluppare altri incendi con il fuoco delle armi. Ma i soldati che arrivavano,non erano molti per fronteggiare la moltitudine della popolazione arrabbiata. I pochi presidi, incitati a sparare sulle folle inermi, subito dopo,per paura si vedevano costretti a chiudersi nelle caserme ed allora la folla inviperita dagli eccidi,restava padrona del campo ed assaltava furibonda i municipi e li incendiava. Lo sgomento intanto si propagava su tutta l’isola;sindaci,prefetti e commissari di polizia perdevano la testa. Ora a Malacca,un villaggio posto all’interno della Sicilia,per un mucchio di concime sparso sulle terre di un proprietario terriero che non aveva voluto aderire ai nuovi patti colonici dei contadini dei Fasci,la Forza pubblica,aveva tratto in arresto iniquamente e sottoposto a processo per associazione a delinquere il Presidente e quattro consiglieri del Fascio stesso. E,allora le donne del villaggio,in numero di cinquecento,indignate dall’ingiustizia e dalla prepotenza,si erano scagliate contro la caserma dei Carabinieri,ne avevano sfondato la porta e tratti fuori i cinque arrestati,felici per la liberazione dei prigionieri,avevano condotto in trionfo sulle braccia,per le vie del paese,uno dei Carabinieri e le armi strappate dalle loro mani. Ma la contentezza fu di breve durata,perché i Milorchesi maschi che non si erano immischiati in tale rivolta delle loro donne e non si erano fidati del successo ottenuto,saputo che il Prefetto della Provincia mandava un rinforzo di soldati e delegati e giudici a Milorca,armati di fucile presero il largo e sparsi per la campagna decisero di vendere cara la loro libertà,mentre i giudici a Milorca fecero arrestare 32 donne di cui alcune gestanti,altre con i bambini lattanti in collo e le avevano fatte tradurre ammanettate nelle carceri di Mussameli

Il 21 e 22 maggio 1893,si tenne il congresso di Palermo cui parteciparono 500 delegati. dei Fasci e circoli socialisti. Venne così eletto il consiglio centrale,composto da nove membri; Giacomo Montaldo per la provincia di Trapani,Nicola Petrina per quella di Messina,Giuseppe De Felice Giuffrida per quella di Catania,Luigi Leone per quella di Siracusa,,Antonio Licata per quella di Girgenti,Agostino Lo Piano per quella di Caltanissetta e Rosario Garibaldi Bosco,Nicola Barbato e Bernardino Verro per quella di Palermo. Secondo i dati del comitato centrale erano 163 fermamente costituiti,trentacinque in via di formazione. Si era creato dunque un numeroso esercito di lavoratori in Sicilia,nel quale però non si sapeva se ammirare più il fervore,la coscienza o la disciplina con cui la massa obbediva ad un cenno del Comitato centrale. Il capo di ogni Fascio,passava la parola d’ordine ai singoli capi della sezione, e questi a loro volta al capo dei rioni e delle strade; in un batter d’occhio,sia di giorno che di notte,tutti i soci del Fascio potevano ricevere un avviso. E se l’indomani i lavoratori si fossero mossi,tutta la gente Siciliana sarebbe stata travolta come da una fiamma di fuoco. Perché già da lunghi anni covava il fuoco in Sicilia,da quando essa si era vista nel mare come una pietra a cui lo stivale d’Italia dava un calcio per premio di quanto aveva fatto per la così detta Unità ed Indipendenza della Patria. Tale massa copiosa di iscritti era dovuta al fatto che 18 anni prima,in Sicilia era stata aperta una sezione dell’Internazionale Socialista per cui si erano sempre pubblicati giornali di quel partito e circoli,gruppi e nuclei erano stati creati un po’ ovunque, di modo ché non appena sorse la prima idea dei Fasci,era stato un immediato accorrere ed un aggregarsi di antichi compagni di fede. Perché in loro era rimasto vivo il diritto-dovere di manifestare il malcontento contro la politica vessatoria e repressiva del Presidente del Consiglio Francesco Crispi, siciliano,ma di origine Araba che nel tentativo di ristabilire l’ordine sociale,ascoltò solo le istanze dei possidenti ed adottò la linea dura con i poveri,a mezzo di un intervento militare. Sentivano questo diritto con la stessa forza con cui si sente la fame. Per altro,questo sentimento era divenuto in essi coscienza lucida e fredda e la si mostrava apertamente. Un vero spirito fraterno si era diffuso tra i contadini e gli operai,per cui nei numerosi arresti avvenuti si erano visti i compagni liberi mantenere i compagni e le famiglie; nella disgrazia di qualcuno,il pronto soccorso di tutti e l’assistenza e la sorveglianza era davvero sentita. Vi era una ronda dei Decurioni la sera,per le strade e le osterie della città e delle campagne,perché i fratelli non trascendessero ad atti violenti,eccitati dal vino.

Intanto il 20 gennaio del 1893,tra le urla delle passioni più abiette scatenatesi nello sfacelo della coscienza Nazionale,una sola voce si era levata nel Parlamento ,a porre davanti al Governo,lo spettro sanguinoso di alcuni contadini,massacrati in Sicilia,perché non si radicasse nel paese la credenza perniciosa che si potessero impunemente colpire i miseri e salvare coloro che avevano ingannato il popolo rifugiandosi a Montecitorio.Il deputato Siciliano aveva esposto la cruda

verità sui fatti avvenuti a Caltavuturo,affermando che quei contadini di Sicilia,trovando nella rabbia per l’ingiustizia patita,si erano recati a zappare le terre demaniali prese e fatte proprie con l’inganno dai cittadini influenti ed importanti del paese,amministratori ladri dei beni patrimoniali del Comune;intimoriti dall’intervento dei soldati,avevano sospeso il lavoro ed erano accorsi a reclamare al Municipio la divisione di quelle terre; assente il Potestà,si era affacciato al balcone,un suo subalterno che per allontanare il tumulto li aveva consigliati di ritornare pure a zappare. Ma per la via,la folla composta da cinquecento contadini,aveva trovato la strada sbarrata dalla milizia rinforzata. La moltitudine a questo punto sentendosi forte dal numero,aveva accennato di voler resistere e si era vista prima assalire alla baionetta e poi a fucilate,avendo l’unica colpa di aver alzato le zappe per intimorire gli assalitori. Dodici furono i morti,cinquanta i feriti,tra questi alcuni bambini,uno dei quali crivellato da ben sette baionettate. Lascio a voi immaginare la ferocia di quel soldato che si era così ferocemente accanito sul corpo di quel bambino innocente. Questa mancanza di rispetto per le cose più care fu l’esempio tipico di una furia cieca che esplodeva su tutto e su tutti. Ma il Presidente del Consiglio,On. Crispi,a posto di ricorrere ai ripari,per tale esplosione di violenza omicida,fece proclamare lo stato di assedio in tutta l’isola e le milizie di Palermo invasero le altre Province. A questo punto il movimento organizzò gli scioperi in tutta l’isola e tentò una effimera rivolta. La società Siciliana fu sconvolta,ovunque si ebbero scontri sociali ed il movimento dettò le proprie condizioni alla proprietà terriera per il rinnovo dei contratti Così l’antico,profondo malcontento dei Siciliani,divenne massima indignazione e per quanto l’aristocrazia terriera fosse spaventata dalle agitazioni popolari,ora di fronte a quella sopraffazione militare,a quel comportarsi da nemico invasore della milizia che aboliva per tutti ogni legge e sopprimeva ogni garanzia costituzionale,tutti si sentivano portati,se non a scusarli,almeno a riconoscere che in fine questi,sino a prima,nei conflitti,avevano avuto sempre la peggio,ma mai si erano sollevati a mano armata e che se a qualche eccesso erano trascesi,vi erano stati crudelmente aizzati dallo spargimento di sangue. Per cui la nativa fierezza comune a tutti gli isolani si era ribellata a questo nuovo dispregio che il governo Italiano infliggeva alla Sicilia,invece di rimediare al mal fatto e per tutto era un fremito di odio alle notizie che arrivavano di paesi circondati da reggimenti di fantaccini,da squadroni di cavalleria,per trarre in arresto a centinaia,senza alcun discernimento e con furia selvaggia,ricchi e poveri,studenti ed operai,consiglieri comunali,maestri di scuola e segretari comunali,donne e vecchi,fanciulle e fanciulli;soppressa la stampa,sottoposta a censura anche la corrispondenza privata,tutta l’isola tagliata fuori dal consorzio civile e resa disarmata di fronte all’arbitrio di una dittatura militare. Ma come mai,era stato possibile che l’isola,da un capo all’altro furente,si era lasciata schiacciare ,calpestare così crudelmente,senza insorgere con l’esasperazione dell’odio così lungamente represso? E ciò avvenne! Infatti il popolo di Santa Caterina Villarmosa,era insorto e sfidò la proclamazione dello stato d’assedio,ignorandolo completamente,tanto che con ritratti del re e della regina ed un Crocifisso in capo,sfilando in processione e gridando:”Viva il re! Abbasso le tasse” si era messo a percorrere le vie del paese,sino a che uscendo dalla piazza ed imboccando una strada angusta che la fronteggiava ,vi aveva trovato otto soldati e quattro carabinieri appostati. L’Ufficiale che li comandava aveva preso questa posizione alquanto strategica,perché la folla inerme lì accalcata e pigiata,alla intimidazione di sciogliersi,non si potesse più muovere. E stando lì,non una,ma più volte aveva ordinato contro di essa il fuoco con il risultato di undici morti,innumerevoli feriti,tra cui donne,vecchi e bambini. Poi subentrò la quiete ed il silenzio,come in un cimitero. Solo qua e là si udivano le grida dei parenti che piangevano gli uccisi ed i gemiti dei feriti.

A questi atroci fatti di sangue,seguì la fine della rivolta dei Fasci e con la penna del grande taumaturgo Luigi Pirandello,che così la ebbe a narrare,descrivo minutamente cosa avvenne nel piccolo,squallido camposanto,sulla collina di quel centro:” Seduto su uno sgabelletto,a sinistra di chi entra,con un leggero scialle di lana appeso alle spalle,quegli stava a guardare apaticamente,nel silenzio desolato,le casse schierate per terra innanzi a sé,come un pastore la sua mandria. Aspettava la visita e le disposizioni dell’Autorità Giudiziaria,per il seppellimento. Vedendo entrare quei due visitatori,si voltò,poi subito si alzò e si tolse il berretto,credendo che fossero il Giudice ed il Commissario di Polizia. Il primo dei due si fece conoscere quale giornalista,insieme al suo compagno e lo pregò di fargli vedere qualcuno dei cadaveri. Il custode allora si chinò su una delle casse,più grande delle altre,tinta di grigio,con due fasce nere in croce,e tolse una grossa pietra che stava sul coperchio. Due cadaveri in quella cassa,uno su l’altro,uno con la faccia sotto i piedi dell’altro. Quello di sopra era un ragazzo. Divaricate le gambe,la testa affondata tra i piedi del compagno. A guardarlo cosi capovolto,pareva dicesse,in quello atteggiamento:”No!No!Con tutto il visino smunto,dagli occhi appena socchiusi,contratti ancora dall’angoscia e dall’agonia. No,quella morte;no,quello orrore;no,quella cassa per due,attuata da quel lezzo crudo ed acre da carneficina. Ma più raccapricciante era la vista dell’altro,di tra le scarpe logore del ragazzo,coi grandi occhi neri ancora sbarrati ed un po’ di barba fulva sotto il mento. Era di un contadino nel pieno vigore delle forze. Con quei terribili occhi sbarrati al cielo,dal corpo supino,chiedeva vendetta di quella ultima atrocità,del peso di quella altra vittima sopra di lui. “ Vedete signore,pareva dicesse,vedete che hanno fatto”.

Non una parola poté uscire dalle labbra dei due visitatori ed il custode rinchiuse il coperchio e di nuovo vi pose sopra la grossa pietra”.

Il movimento fu sciolto nel 1894 ed i capi vennero condannati dal Commissario Regio Roberto Morro di Lariano. Il 30 maggio,il Tribunale militare di Palermo condannò Giuseppe De Felice Giuffrida a 18 anni di carcere,,Rosario Bosco,Nicola Barbato e Bernardino Verro ad 11 anni di carcere quali capi e responsabili dei Fasci Siciliani. L’On:De Felice fu difeso in sede giudiziaria dall’Avvocato Siciliano G.B.Impolloremmi. Nel 1895 con un atto di amnistia venne concessa la clemenza a tutti i condannati in seguito ai fatti dei Fasci Siciliani.

Questo e quanto avvenne in quel triste e torbido periodo della nostra storia Patria,a poca distanza dell’Unificazione dell’Italia.

Ora,carissimi lettori,sapete bene che al termine di ogni mio racconto,è mia consolidata abitudine di fare dei confronti tra il passato ed il presente. Quindi,permettetemi di farvi assaporare la tristezza dei tempi attuali,dove effettivamente è vero che non si sparge più sangue dei Fratelli,attraverso le soldatesche,ma è pur vero che oggi si annulla la dignità,la fede e l’onore di ogni cittadino Italiano,attraverso le speculazioni e le angherie attuate dalla totalità degli uomini politici che a loro dire,vengono eletti dal popolo sovrano e questo non è vero in quanto non avviene come nelle vere democrazie Greche delle “Polis”,dove era veramente il popolo a scegliersi i suoi Strateghi e gli uomini di potere. Ora,nella nostra democrazia sono i pochi uomini a capo dei partiti che hanno costituito una potente “oligarchia” politicamente elitaria,che sceglie chi devono essere gli uomini e le poche donne che devono essere eletti. Stabilito questo,passo a parlare del tanto decantato “Federalismo”,che era stato già tanto auspicato dall’Imperatore dei Francesi Napoleone III,prima della spedizione dei Mille. Dopo oltre 150 anni da quando Napoleone III,ebbe l’idea di far nascere uno Stato Italiano Federale,ora i nostri politici del Nord,di quel Nord,i cui padri dei padri furono dei ladri ed assassini nell’annettere lo Stato del Regno Borbonico,spargendo impunemente tanto sangue dei nostri bisnonni,appropriandosi indebitamente delle nostre ricchezze che trasferirono nel Nord,sono finalmente riusciti ad attuarlo,coadiuvati da nipoti degeneri, nelle vesti di politici, del Sud,i quali hanno visto in esso il grande affare del secolo,loro proposto. Che è in ultima analisi,quello di spremere sempre di più la popolazione soggetta. Ora Signori miei,se è vero come è vero che in Italia,da stime effettate,vi sono circa 8.000.000 dico (ottomilioni) di individui che traggono dalla politica il loro sostentamento,alquanto dovizioso,non paragonabile certamente a quello di un impiegato o di un pensionato statale e non! Perché non si accontentano? Evidentemente perché le grosse somme da loro percepite non sono ritenute sufficienti a soddisfare la loro voracità di acquisire sempre di più nuova ricchezza a scapito del popolo cosi detto “ sovrano”; oppure sentono ancora la necessità di fare entrare nella loro cerchia,altri proseliti! Ma voi mi direte:” hanno fatto entrare le loro mogli,le loro amanti,i loro figli e figliastri,i loro fratelli ed i loro amici! Chi altri devono sistemare? Certamente i cugini dei cugini e gli amici degli amici!”. In tale maniera la nuova Massoneria,si allarga a macchia d’olio. Ma a scapito di chi? A scapito del misero impiegato,del povero operaio,dell’inerme pensionato che vede il suo stipendio e la sua pensioni sempre più impoverita dalla proprietà di acquisto. Affermo ciò,in quanto dal Federalismo locale,nasceranno tanti altri balzelli che opprimeranno ancora maggiormente i già miseri contribuenti. Vi faccio l’elenco delle tasse che seguiranno: cedolare sull’affitto delle abitazioni e di altri locali,con un prelievo fisso del 21% per i canoni liberi e del 19% per quelli agevolati;sbocco addizionale IRPEF,aumento non oltre lo 0,4%. Entro marzo i comuni possono aumentare già dal 2010,divenendo in tal maniera retroattivo;finanziamento comuni,prevista una compartecipazione dell’IVA ed inoltre le quote di altri tributi devolute ai comuni per il 30% serviranno per alimentare un “fondo perequativo”;tassa dell’IMU,dal 2014 arriverà per i contribuenti l’imposta municipale propria che assorbirà Irpef sulle case e Ici con aliquota al 7,6 per mille della rendita catastale. Non si pagherà sulle prime case,sconto del 50% per le case affittate;tassa turismo,i turisti potrebbero pagare fino a 5 euro per notte per il soggiorno nei capoluoghi,nei comuni turistici e nelle città d’arte;tassa di compravendite,dal gennaio 2014 ci sarà una sola imposta del 9% per i beni immobili in genere e del 2% sulle prime case;tassa rifiuti,prevista una riorganizzazione in un decreto ad hoc;lotta evasione,saranno inasprite le sanzioni per chi non dichiara i redditi di locazione ed il 50% andrà ai comuni ed infine “dulcis in fundo” la tassa di “scopo”,che genericamente potrà essere introdotta per realizzare infrastrutture,ma che in sintesi potrà servire ad aumentare a dismisura l’avidità dei politici,dalla quale essi in particolare potranno ricavare maggiori profitti,sempre,per le casse dei comuni!! Dal che,sicuramente la Burocrazia approfitterà per invocare l’ingresso di nuovi adepti,come accadde nel 1970 con l’ingresso nell’Italia Unità,delle Regioni e,così mentre da una parte si cerca di recuperare dei soldi per la spesa pubblica,dalla stessa spesa pubblica,poi dovranno essere pagati gli stipendi dei nuovi addetti,che saranno sempre gli amici degli amici dei padroni politici,considerato che in Italia,sono spariti i concorsi pubblici. A chi serve tutto ciò? Se non a quei Signori che sono divenuti una casta degli” Intoccabili”,nella quale entrano sempre nuovi aderenti! Tale gruppo di oligarchi,che ci governa,mantenendosi sempre all’ombra dello Stato Istituzionale,si è spartito il territorio Nazionale. Non esiste branca del potere economico,finanziario e sociale,da dove essi non traggono uno sporco e legalizzato guadagno.

La RAI Nazionale,non è altro che un carrozzone privato,dove trovano ricettacolo d’accoglienza intere generazioni di raccomandati,per cui un estraneo giornalista,per quanto sia bravo,non trova e non troverà alcun tipo di accoglienza ,di contro, il medesimo Ente, malgrado che i suoi programmi siano insulsi ed a volte diseducativi,vedi l’isola dei famosi i vari festival ed altri ancora,siamo obbligati per legge a sostenerlo economicamente attraverso il canone di circa 110 euro l’anno,rimanendo a dir poco sbalorditi e perplessi ,dalle grosse cifre di denaro dei contribuenti sperperato e dispensato a pioggia sui suoi protetti.

La Sanità pubblica in mano alle Regioni,i cui Assessori favorendo i propri accoliti,spendono e spandono sempre denaro pubblico e quando dichiarano bancarotta,per sanare i conti,non fanno altro che aumentare di un euro ogni ricetta di medicinale prescritto,come è avvenuto nella nostra amata Regione Puglia,con l’Assessore Tedesco,sotto la Presidenza dell’attuale Signor Vendola,che mirate bene,è un rappresentante dell’estrema sinistra,che per suo divinizzato compito,avrebbe dovuto difendere le classi più deboli del popolo Immaginiamoci se fosse stato di destra !

Nello Sport,come nelle antiche favole della nonna,c’era una volta un gioco che faceva sognare tutti gli Italiani con il quale intere generazioni sono vissute con la speranza in cuor loro di poter realizzare un 13,che gli cambiasse la vita ed era inoltre molto utile al CONI,che attraverso i proventi del Totocalcio,spesava tutte le manifestazioni sportive che si svolgevano in campo mondiale,ad esempio Olimpiadi,campionati di calcio,campionati di Tennis ed altri campionati,facendo cosi risparmiare alle casse dello Stato milioni di euro,che ora invece lo Stato è obbligato a sostenere tassando i suoi contribuenti con nuove imposte. Ora cosa è avvenuto che alcun dei nostri rappresentanti ,parlo di quelli di alto lignaggio politico,hanno obliterato il Totocalcio e si sono spartita la grande torta dei giochi. E così a   chi è toccato il Bingo,a chi il Gratta e Vinci,a chi le scommesse calcistiche,ippiche e di basket e di tutti gli altri sport,facendo divenire l’intero territorio Nazionale una turpe bisca clandestina legalizzata,dove i poveri dei poveri Italiani,bruciano nella illusoria speranza di vincere le loro ultime risorse di denaro.

Di questo scandaloso mondo,testé descritto,personalmente mi ribello e mi auguro che anche voi,miei lettori,lo facciate.

A tale quadro di disgregazione imperante,dove la corruzione e l’arbitrio che ci governa si fa sempre più accentuata,si deve aggiungere l’esodo di massa delle popolazioni del Nord Africa e dello Yemen,che si sono rivoltate contro i loro Presidenti-Dittatori,che hanno vergognosamente abusato del potere pubblico e si spingono affamate e derelitte sulle nostre coste,a loro più vicine,in cerca di aiuto e di ospitalità,con il Fondamentalismo Islamico che cerca in maniera cruenta di combattere e scardinare il nostro sistema Europeo di costumi e di abitudini religiose e sociali. A ciò si aggiunge il nostro Presidente del Consiglio che da oltre 10 anni promette di operare nel campo della Magistratura,la divisione delle carriere fra magistratura Inquirente(Pubblici Ministeri) e quella giudicante(Giudici) e mai lo fa ,permettendo che un P.M.,può disporre a suo piacimento della vita privata dei cittadini posti nell’ambito della sua giurisdizione e che inoltre,non pone alcun interesse nel rimediare in tutti i modi ad alleviare la disoccupazione giovanile,che produrrà una generazione di anziani poverissimi e nullatenenti,mentre al pari di un Sultano,dispone a suo piacimento della vita sessuale di alcune giovani prostitute,ora chiamate “escort”, che ben ricompensate, accondiscendono   volentieri ai suoi eccessi amorosi,che mortificano l’uomo comune, del quale egli ne è legittimamente il rappresentante. Infine il partito della Lega Nord che da anni predica la separazione ed il tanto discusso” Federalismo”,ignorando completamente che la sua attuale ricchezza è dovuta in maniera esclusiva ed incontrovertibile a quella ricchezza,letteralmente rapinata al tanto oscurato e maltrattato Regno delle due Sicilie che ebbe forzatamente e cederglielo.

Con tanti e tanti problemi,miei poveri lettori,ci rimane ben poca cosa per stare allegri,per cui concludo con il dire che quanto ho riferito,particolarmente sui tempi attuali,non vuole essere polemico e sterile,ma lo vuole essere in maniera costruttiva,perché le cose cambino in meglio,in favore dei nostri nipoti che ritengo sia necessario crescano in una società più pulita.

A buon intenditore,intenditore lo sia. Buona lettura a tutti.

 

Brindisi, 06/03/2011

 

                                                                 Antonio TRONO

 

Antonio TRONO, Ufficiale di cpl. dei Carabinieri in pensione, in data 09 Aprile 2008, ha esordito al pubblico con il suo primo libro: “La morte gloriosa di un Crociato”, raccolta di racconti e di poesie, mentre il secondo volume dal titolo “Paradiso perduto”, lo ha pubblicato il 02 Gennaio 2010.

Nei suoi racconti, che trattano eventi storici realmente accaduti, si è immedesimato nei personaggi, rendendo così, con il suo narrare, verosimili le circostanze e le modalità di esecuzione dell’accaduto stesso, per cui a distanza di secoli e di millenni, lo stesso episodio segnalato da altri, viene nuovamente rivissuto e raccontato,attraverso gli occhi dell’eterno fanciullo, che con meraviglia e stupore si accorge che nulla cambia in questo nostro mondo, che gli uomini sono sempre gli stessi con le loro bontà e le loro malefatte e che la vita non è altro che un salire e scendere la stessa scala, la quale racchiude in pochi gradini il mistero della vita di ognuno di noi, che se pur si rinnova attraverso i figli ed i nipoti, rimane sempre immutabile nella sua mutabilità.