2017/apr – La masseria di Restinco e la Chiesa rurale di Sant’Antonino - di A. Trono  (Brigantaggio meridionale - Massoneria - Giuseppe Mazzini - Giuseppe Garibaldi)

Per chi in auto, attraversa a moderata velocità, la strada provinciale che dalla contrada “Montenegro” porta a quella di “Restinco”, prima di giungere a quella costruzione tetra ed oscura, simile ad un carcere, dalle mura alte, circondate da filo spinato, che si identifica nel “Centro di prima Accoglienza per Emigranti”, nota sul lato sinistro  della carreggiata, internato a circa trecento metri, nella campagna, una enorme massa nera di muri diroccati, che una volta,  costituivano una grande masseria fortificata, racchiusa da alte mura di cinta , in parte anche esse crollate.

Da un attento esame, si scorge, sul lato sinistro delle stesse, la facciata di una chiesetta, che le antiche genti, avevano dedicato a Sant’Antonino e che erano parte integrante della masseria stessa.

L’enorme massa di ruderi è circondata da una spianata di campagna deserta, sulla quale aleggia un forte senso di abbandono e di desolazione assoluta.

 L’erbaccia alta e rigogliosa, vegeta a mezza gamba e copre in parte sedimenti di vestiario che gli ospiti del vicino Centro di Accoglienza, avevano lì abbandonato e lasciato a marcire assieme alle foglie di un centenario albero di leccio, che vegeta sul dinanzi del frontespizio.

Il sentiero che una volta conduceva alla chiesetta, era scomparso, ormai sommerso dalla folta erbaccia che cresce tutto intorno. L’ingresso è ostruito dai rami contorti ed intersecati gli uni agli altri di un fico selvatico che vegeta tra i tufi della costruzione.

Prima di procedere oltre nella narrazione, vi dirò che la masseria ed il suo complesso,  è conosciuta quale “ masseria Catanzaro “, in illo tempore, di proprietà di tale Oronzo Catanzaro, Alfiere della Guardia Nazionale di Brindisi, del quale in seguito, vi racconterò quanto la storia, il mito e la leggenda  ci hanno tramandato, circa i fatti risorgimentali che si susseguirono in detti luoghi, nei quali egli, il fratello Giacomo ed al tri personaggi, tra i quali una banda dei cosiddetti Briganti, ne furono i principali attori.

Riprendendo il racconto di prima, sul  lato sinistro, adiacente alle mura di cinta si intravvede la facciata della chiesetta di Sant’Antonino, seminascosta dalla folta vegetazione e dai rami contorti di un albero di fico selvatico, che ne ostruiscono l’ingresso, attraverso il quale si penetra nell’interno, dove si viene accolti da uno spettacolo a dir poco desolante, per lo stato di degrado e di abbandono, che vi regna incontrastato.

Il pavimento è completamente divelto ed i piedi si posano sulla nuda terra, dove cresce spontanea della vegetazione di varie piante selvatiche. Sul lato sinistro vi sono tracce dell’immorsatura dell’antica acquasantiera, asportata, mentre appare ben evidente solo il luogo dove una volta vi si trovava l’altare che ora non vi è più.

Prospicente all’ingresso, sul lato destro, si nota una nicchia di forma quadrata, sul cui fondo, a tempera, vi è una rappresentazione di una scritta dai rozzi caratteri, alquanto oscurata e danneggiata dalle intemperie, che riguarda i Santi Pietro e Paolo.

L’immagine iconografica è quella tipica dei due apostoli, le chiavi per San Pietro, la spada, il libro, la serpe per San Paolo.

I due Santi sono scolpiti in legno sul seicentesco pulpito della chiesa di Santa Maria degli Angeli e su due formelle del coro della cattedrale di Brindisi ed analoga pittura la si vede nella tempera di Restinco.

Sicuramente l’autore della pittura, lo si definirebbe un “ naif “, oggigiorno, in quanto nella pittura murale, lì lasciata, in retaggio a noi posteri, opera uno stacco preciso rispetto alla tradizione, nella trattazione dei volti rispettivamente di San Pietro e di San Paolo, che raffigurano i volti dei due protagonisti del Risorgimento Italiano.

Infatti l’artista che ha operato nella chiesetta, volle rappresentare con il travestimento di Mazzini in San Pietro e di Garibaldi in San Paolo, che stanno a magnificare i differenti ruoli rivestiti dal Nizzardo e dal Genovese, nel processo che portò all’Unità d’Italia.

Di conseguenza   è da ritenere che il committente era da ricercare tra gli aderenti ad uno dei non pochi gruppi eversivi attivi in Brindisi durante l’era risorgimentale.

E’ noto come parte notevole dei proprietari terrieri locali non fosse ostile ai progetti di cambiamento espressi dai circoli antiborbonici.

I Catanzaro, ebbero, quindi con Oronzo, vissuto tra il 1825 ed il 1890, tra l’altro proprietario di ben cinque masserie, quali Cerrito, Angelini, Chimenti, La Spada e Restinco e ricordiamoci sempre che era l’Alfiere della Guardia Nazionale di Brindisi ed il fratello Giacomo, vissuto tra il 1832 ed il 1885, un ruolo certamente non secondario in questo senso.

Per cui l’opera pittorica realizzata a tempera, rientra in quel simbolismo legato ai riti ed alle azioni che diversi movimenti e circoli eversivi Brindisini attivi nella rivolta contro la Monarchia Borbonica, al quale spesso aderivano, o semplicemente garantivano l’appoggio, molti possidenti, tra i quali chiaramente i fratelli Oronzo e Giacomo Catanzaro.

Sicuramente realizzata attorno agli anni 1850 e 60, la leggenda o il mito vuole che Oronzo Catanzaro, adibisse la chiesetta per le riunioni eversive antiborboniche e che  il 30 giugno di uno degli ultimi anni di quel decennio, la Forza Pubblica Borbonica, avvertita dietro compenso da un domestico di uno dei proprietari terrieri, fece irruzione in quel luogo sacro, ma non poté procedere agli arresti che si era prefissa, in quanto trovò gli astanti, circa una trentina,  in ginocchio e rivolti verso le immagini dei due Santi, ne cantavano le lodi e la loro festività.

A tal proposito, si narra anche che nel secolo scorso, la chiesetta venne ancora adibita, negli anni successivi alla prima ed alla seconda guerra mondiale a sede di incontro nel primo giorno di Primavera ( il 21 marzo ), dalla Loggia massonica di Rito Scozzese Libero ed Accettato, al quale aderivano i Venerabili dal 3* grado in su, nel quale si liberavano i volti nascosti e si apriva alle donne dette “ Stelle d’Oriente”.

Così narra, la leggenda o il mito, che così vuole che sia.

Passiamo ora a raccontare come la Banda dei cosiddetti Briganti fece irruzione nella masseria “Restinco”.

Negli anni 1861- 62, nella prima guerra civile italiana, nel corso della quale le Bande dei sempre cosiddetti Briganti, sostenevano la legittimità del loro Re, Francesco II, contro i quali sia l’agguerrito esercito Piemontese che la  Guardia Nazionale, combattevano e nelle cui fila, come già detto, militava Oronzo Catanzaro con il grado di Alfiere, vi fu la Compagnia Laveneziana, spregiativamente chiamata Banda “Laveneziana” o semplicemente Banda di Carovigno, che fu il principale  gruppo ribelle operante del Brindisino che faceva parte del più grande Battaglione “La Morte”, comandato dal Sergente Romano di Gioia del Colle.

Quella squadra di Briganti, composta da 22 Briganti, tra i quali vi era anche il Sergente Pasquale Domenico Romano agli ordini di Giuseppe Nicola Laveneziana, nei primi giorni del mese di ottobre del 1862, si erano presentati nella masseria “La Spada”, sita tra Mesagne, Brindisi e San Vito dei Normanni di proprietà di Oronzo Catanzaro.

Nonostante l’ora, nella masseria vi erano ben tredici persone, tra le quali anche il fratello ed il nipote del proprietario.

Un gruppo di Briganti, entrò nella camera dove soggiornava il fratello del padrone ed ordinò di preparare una ventina di abiti di felpa o velluto, adatti per l’inverno, che loro avrebbero ritirato al ritorno, dopo alcuni giorni. Poi si allontanarono portando via un fucile a due canne, una sella ed una forma di formaggio.

Ritornarono la notte del 21 ottobre ed erano ancora più numerosi, ma quando seppero, dal massaro, che i vestiti che avevano ordinati, non c’erano, tutta la Banda, ad un ordine del Capo, si dette alla distruzione di ogni cosa, porte, finestre, bottiglie, vasi ed altro.

Il Laveneziana uccise, con un colpo di fucile, un bue, ma fu redarguito dal Romano che gli gridò: “Non si uccidono gli animali”.  Trovarono nel “caciolaio” tredici forme di formaggio. Cinque di esse furono prese proprio da un dipendente della masseria per portarsele nella sua casa di Latiano, ma lungo la strada fu fermato dai Carabinieri. Un altro dipendente, della stessa masseria, che si chiamava Vincenzo del Prezzo, in quella occasione, prima collaborò con la squadra dei briganti e poi partì, anch’egli con tutta la Banda.

Anche in questa occasione, i capi Briganti, prima di andare via, si appartarono e scrissero un biglietto di estorsione che inviarono al padrone per mezzo del massaro. 

Volevano mille ducati.

Dopo aver combinato tanto disastro, seguendo il suggerimento del nuovo Brigante, appena acquisito, Vincenzo del Prezzo, si diressero verso la masseria Restinco, che si trovava poco lontano ed apparteneva allo stesso proprietario.

In tale luogo presero due cavalli ed una sella.

 

Dopo tali vicende, la masseria “La Spada “, fu chiusa per disposizioni amministrative. Motivi di sicurezza, ma ugualmente dopo circa un mese i Briganti ritornarono e bruciarono tutto.

Qui terminano gli episodi cruenti o meno che ebbero ad interessare la chiesa rurale di Sant’Antonino e la Masseria Restinco, di proprietà di Oronzo Catanzaro che ebbe a dirigerla, secondo il suo discernimento, considerato quel particolare periodo risorgimentale in cui quei fatti avvennero e come ho descritto di lì transitarono tanti e tanti uomini che ora non son più, in un succedersi di eventi che la vita quotidiana dispiegava, ma che la storia, quella con la “S” maiuscola, non ci ha tramandato perché li ha completamente dimenticati, in quanto di tutto ciò che avvenne ne permane se non più che un vago ricordo.

Ora, prima di chiudere la narrazione del racconto, vorrei esprimere liberamente alcune riflessioni, tratte dalla vita sociale ed economica in cui versava la popolazione dell’epoca, che mi portano nel ripetermi su un argomento già trattato in precedenza, quando ebbi a narrare del “Brigantaggio Politico Meridionale”.

Il Brigantaggio Meridionale, fu come diciamo oggi, una vera lotta di classe, perché nasce dalla lotta continua e perpetua che perdura da secoli sino ai nostri giorni, certamente in forma diversa, tra la povera gente (la gleba) ed i proprietari terrieri che si accordarono con i vincitori, i Piemontesi, per far si che il popolo subisse la povertà, mentre a loro andassero privilegi e che la ricchezza da loro mantenuta continuasse a rimanere tale sino, alla completa sottomissione dei miseri. E ciò si addice molto tranquillamente ad Oronzo Catanzaro, quale proprietario di ben cinque masserie, che voleva a tutti i costi mantenere e conservare.

In secondo luogo, ho da far rilevare che quegli uomini, denominati dai vincitori “Briganti”, combatterono e morirono per legittimare il loro Re, per difendere la loro Religione e per liberare, non riuscendovi, il territorio del Regno Borbonico, dalla sete espansionistica degli uomini del Nord, quindi sono da considerarsi degli uomini coraggiosi e Patrioti.

Infine desidero esprimere tutto il mio rammarico, nel constatare che quella tempera, raffigurante i due Santi, Pietro e Paolo, con il volto di Mazzini e Garibaldi, venga lasciato abbandonato in quel tugurio, che una volta fu una splendida chiesa rurale, in balia dell’intemperie del tempo ed al vandalismo degli uomini, senza che alcuno delle Autorità preposte per la salvaguardia dei Beni Culturali, provveda a rimuoverla e trasferirla in luoghi adatti e consoni alla loro conservazione.

 

foto tratta da www.brindisiweb.it