2017/gen - Nascita del Cristianesimo - di A. Trono

FU VERAMENTE SAULO DI TARSO A PROMUOVERE E DIVULGARELA PAROLA DI CRISTO, OPPORE GIACOMO IL GIUSTO. FRATELLO E DISCEPOLO DI GESU’?  

 

di Antonio TRONO

 

Questo mio nuovo racconto, vuole essere il risultato di come la curiosità del sapere e del conoscere, spinga sempre di più, il mio intendimento a cercare di scoprire, di svelare quei misteri che avvolgono la nostra stessa vita, le nostre stesse usanze, i nostri stessi costumi e particolarmente la nostra stessa religione, fonte primaria del nostro vivere civile.

Per queste ragioni cercherò di scalfire se mi sarà possibile, quel fitto insieme di veli che avvolgono la misteriosa nascita del Cristianesimo, nel quale si fonda la millenaria storia della religione cattolica, vero punto di riferimento della vita spirituale, sociale e culturale della nostra Società.

Furono veramente Paolo (Saulo di Tarso) o Pietro, discepolo di Gesù, a promuovere e diffondere il messaggio evangelico e a fondare la Chiesa di Cristo, oppure Giacomo il Giusto, il fratello di Gesù, il vero prosecutore delle sue opere e della sua parola?

Questo è il dilemma che ha interessato molti storici, archeologi, teologi laici e letterati che in proposito fanno scritto trattati su trattati, nella speranza di dare, senza riuscirvi, una risposta esaustiva nel merito.

Di conseguenza, ciò che scriverò è il risultato di ampie ricerche storiche frammiste ad idee, pensieri ed a personaggi che la mia fantasia ha elaborato ed ha posto sotto la vostra cortese attenzione, onde voi proseguiate, seduti comodi sulla vostra poltrona preferita, nella lettura della narrazione del racconto.

Dopo lunghi giorni di cammino, Kosan, giunse sulla vetta del monte Scopas.

Era l’imbrunire e le luci del giorno, man mano venivano assorbite dall’oscurità della notte, quando all’improvviso un bagliore di fiamme vive e dirompenti si innalzò dalla città Santa di Gerusalemme, dove egli, dopo lungo tempo faceva ritorno.

Era un susseguirsi di fiamme che si levavano, come per incanto, ad iniziare dalla Torre Antoniana, poi dal Tempio e proseguivano dalla città nuova sino al Golgota, continuavano ad innalzarsi dal Palazzo di Erode, dalla città alta, sino a giungere alla città bassa, superando la piscina di Siloe.

Era come se mani di invisibili fantasmi avendo accerchiato la città, vi avessero appiccato il fuoco distruttore di ogni casa. Edifici abitativi e pubblici, il Tempio dedicato a Yahweh, il Dio unico, adorato e pregato dagli Ebrei, ma nella realtà erano le tre Legioni Romane di Tito, che avendo conquistato quel luogo sacro, ora lo mettevano a ferro e fuoco.

 Nella storia del mondo mai, nessuna città, aveva subito uno scempio totale che l’eguagliava con la distruzione del tempio, sede del Dio in terra.

Era giunto troppo tardi, per combattere i distruttori della città, ma si augurava almeno di trovare ancora in vita alcuni di quegli uomini o donne seguaci della dottrina Cristiana, lasciata in eredità da suo zio Giacomo, detto  “il Giusto” e con loro continuare la sua opera evangelica, per far si che il Suo Santo nome, non cadesse nel vano oblio che il tempo gli serbava.

Dopo otto lunghi anni di esilio, era finalmente ritornato nella sua tanto amata e desiderata Gerusalemme.

Ora viveva la sua piena baldanza dei suoi ventidue anni.

Era robusto, si sentiva forte e vigoroso, capace di affrontare tutte le avversità che incontrava nella vita, di combattere e morire con la spada in pugno, uno o più nemici del suo popolo, ma certamente non quella di affrontare da solo la massa delle orde romane che avevano ormai conquistato e dato alle fiamme la sua tanto amata Gerusalemme.

Ma era giunto sin lì, a distruzione avvenuta, per cui memore degli insegnamenti di fede che lo zio sin dalla sua adolescenza gli aveva inculcato, installandoli saldamente nella mente e nel cuore, ora desiderava ardentemente continuare la sua santa opera di evangelizzazione.

Ma la constatata distruzione della sua tanto amata terra, ora lo rendeva inebetito e privo di qualsiasi energia.

Se ne stava lì, inorridito e sconfortato, nel mirare come il fuoco avesse preso il sopravvento.

Ma nel contempo, furono proprio quei tristi e dolorosi attimi di panico, in cui lo scempio, il saccheggio e l’orrore, avevano inaridito il suo essere che nella sua mente, gli tornarono vividi i ricordi della sua fanciullezza.

E così, cercò di scorgerli tra le fiamme che come vortici avviluppavano nel cielo, il sacro Tempio.

Ma al suo posto, sulla collina che l’aveva ospitato, per ben sei secoli, vi era un ammasso informe di detriti.

Scorgeva, solo qualche spezzone di colonnato del meraviglioso portico rimasto in piedi, a significare l’imponenza dell’edificio.

Come in un sogno, rivide suo zio Giacomo, il giorno del Kippur, di otto anni prima, uscire dal Sancta Sanctorum, con i paramenti sacri da Sommo Sacerdote.

Egli lo aveva osservato con riverenza e tremore, quasi circonfuso da un aura di Santità.

Il suo capo era sormontato da una tiara di bisso con l’orlo azzurro, una corona d’oro presentava in rilievo le quattro lettere sacre a Dio.

Indossava una veste azzurra lunga fino ai piedi, ricca di frange, da cui pendevano melograni, simbolo del fulmine e campanelli simbolo del tuono.

Cingeva il suo petto una fascia di cinque colori, oro, porpora, rosso, lino ed azzurro, gli stessi della cortina del Tempio ed anche della sua mantellina, bloccata da due fermagli d’oro, su cui erano incisi i nomi degli eponimi delle dodici tribù d’Israele. E dodici, erano anche le pietre che pendevano sul davanti, in fila di tre: sardonico, topazio, smeraldo, carbonchio, diaspro, zaffiro, agata, ametista, ligurio, onice, berillo e crisolito.   

Gli sovvennero alla memoria i fatti che portarono lo zio alla rovina e che ebbero seguito da quando ebbe a redarguire il re Agrippa e ricordare ai sacerdoti i loro doveri verso il popolo Ebraico.

Da lì nacque la collera del re Agrippa che per vendetta nominò al suo posto altro Sommo Sacerdote, un certo Anano, il quale istigato, convocò il Sinedrio per processare Giacomo, accusandolo di blasfemia e condannato, venne precipitato dalle mura del Tempio, preso a sassate e da ultimo finito con colpi di bastone alla testa.

Ora doveva entrare nella città conquistata, anche se la morte, il fuoco e la distruzione tentavano di ostacolarlo. 

Doveva entrare perché doveva assolutamente cercare tra gli scampati al massacro, i superstiti seguaci del Verbo sacro che suo zio aveva lasciato in eredità, che imponeva il rispetto e la  dedizione verso la Torah, la rigida osservanza delle leggi, la stretta proibizione di unirsi  ai gentili, di amare il prossimo, di rispettare il sabato, credere nella resurrezione dei morti, dell’imminente venuta del Regno di Dio ed in particolare di proteggere e soccorrere i poveri e gli oppressi.             

Alcuni atti di quei punti in netto contrasto, con quanto aveva predicato Saulo di Tarso, che si era gettato alle spalle le legge Mosaica ed attribuiva a Cristo, l’istituzione di una nuova alleanza.                                                  

Per lui infatti le leggi potevano anche non essere rispettate, perché in effetti, egli negava la validità della Torah, si mescolava ai Gentili e fu il vero responsabile della deificazione di Gesù.

Intanto la notte aveva preso il sopravvento e solo i bagliori dell’incendio, ne illuminavano le rovine e Kosan, ora più che mai deciso a penetrare nella città, si pose in cammino verso quel luogo ormai  distrutto e devastato.

Dopo essere sceso verso il pendio del monte, trovato sotto un terrapieno, abbandonato dai Legionari romani, vi si era rannicchiato e dopo aver consumato parte delle poche provviste alimentari che aveva con se condotte, si addormentò, con l’intento e la certezza di svegliarsi prima del sorgere del sole ed entrare in quelle rovine. 

E quando i primi balenanti raggi del sole, apparvero ad oriente, squarciando il buio della volta celeste e spazzando via pian piano le ultime ombre della notte, Kosan, si svegliò e si mise in cammino verso le macerie ed i muri anneriti della città distrutta.

Oltrepassò i valichi delle rovine dei tre muri di cinta, che una volta la custodivano e si diresse verso il luogo ove prima della conquista, si ergeva alta ed imponente la Torre Antoniana, che vide ridotta ad una spianata ed informe ammasso di mattoni che sovrastavano l’altura sulla quale sorgeva.

Tentò di ricostruirla attraverso il ricordo che aveva e la rivide ergersi verso il cielo con le sue quattro torri angolari, rivide i suoi rigogliosi dintorni dell’abitato, le ricche valli intersecate da muriccioli, le siepi, gli steccati per gli orti, gli alberi dei giardini, ora tutto ridotto ad una spianata di suolo coperto di cadaveri, sventrati, mutilati e da croci, dalle quali pendevano i corpi dei vinti.

Tutto era stato distrutto ed incendiato, dei boschi, dei giardini e delle siepi, nulla più esisteva, solo la morte regnava sovrana.

Cercò di ricordare la fisionomia della sua città, della quale ne ricordava la bellezza e l’alternanza tra le alture e gli avvallamenti che separavano un’area dall’altra.

Vide invece tanti terrapieni fortificati, molti dei quali culminavano con rampe, sulle quali torreggiavano torri di assedio semidistrutte ed abbandonate.

Sconvolto ed inferocito da tale lugubre spettacolo, impugnò una daga, trovata abbandonata assieme ad altre armi di punta e taglio, tra un mucchio di cadaveri di combattenti zeloti, che nei pressi del Palazzo di Erode, avevano resistito sino alla morte, nella lotta contro i Legionari Romani e procedette guardingo e circospetto tra i cumuli di macerie che gli ostacolavano il cammino. 

Quando giunto ad un crocicchio, ancor prima di arrivare nella zona ove sorgeva la città alta, in un anfratto, ricavato da parte di muri anneriti e da travi di legno in parte bruciati, incontrò un primo gruppo di sfollati. 

Erano in uno stato davvero pietoso e miserando, dalle tuniche strappate ed a brandelli, piangevano e lamentavano i loro parenti uccisi e crocifissi.

Tra di loro, vi erano vecchi, donne e bambini, che oltre a lamentare la perdita dei loro cari, evidenziavano chiaramente i segni della fame e della sete che soffrivano.

Kosan, dopo aver dato loro del pane e del formaggio che gli erano rimasti nella sacca e dell’acqua per dissetarli, chiese ai vecchi se avessero conosciuto suo zio Giacomo o qualcuno dei suoi seguaci.

Dei tanti solo alcuni ultra sessantenni, gli risposero di aver conosciuto un certo Giacomo che era stato Vescovo di Gerusalemme e che i suoi seguaci erano stati nella quasi totalità uccisi o crocifissi dai Legionari romani.

Lasciati gli esuli al loro destino, proseguì la sua strada verso la città alta, che vide ancora integra, ma circondata da una serie di terrapieni in costruzione, dai quali le truppe romane si preparavano ad assaltare.

Di fronte a quella moltitudine di soldati che assaltavano gli ultimi residui rimasti in piedi della città, egli si sentì misero ed impotente, per cui deviò il suo cammino, dirigendosi verso un cunicolo che conduceva in una galleria che correva sotto l’abitato e che l’avrebbe condotto verso la città bassa.

Nei pressi del cunicolo incontrò altro sparuto di profughi disperati, che carichi di tanti fardelli, stanchi ed intontiti dal terrore, tentavano di raggiungere la piscina di Siloe, attraverso la quale abbandonare la città ormai distrutta e conquistata.

A molti di loro, chiese notizie sui seguaci di suo zio Giacomo, ma ebbe solo delle risposte molto evasive, affermando invece che la maggior parte dei profughi ormai da giorni, attraverso il cammino che stavano facendo, avevano abbandonato la città e che forse loro, erano gli ultimi a farlo.

Li lasciò a confabulare tra loro e proseguì da solo il cammino.

Erano trascorse ormai molte ore che egli camminava, quando giunse all’entrata del tunnel che conduceva alla fonte, ma sfortunatamente per Kosan, quello era uno dei transiti sotterranei che i Romani erano riusciti a localizzare, premurandosi di presidiarlo, ponendo all’uscita del tunnel un drappello di soldati ausiliari, che avevano un armamento più leggero dei legionari. 

Ignaro di ciò, Kosan proseguì il suo andare, si munì di una torcia trovata infissa nel muro, l’accese e proseguì il cammino e quando le prime luci che inondavano l’uscita, iniziarono ad illuminare l’interno della galleria, egli quasi sospettando un tranello si fece più guardingo e spense la torcia nell’acqua che scorreva al lato e procedette con prudenza.

Man mano che procedeva, gli sembrò di udire dei rumori di armi che cozzavano le une contro le altre e delle voci e degli ordini militarmente scanditi.

A questo punto, tentò di tornare indietro, ma era stato intravisto dai soldati, che gli intimarono l’alt.

Si pose a correre, ma venne inseguito  da un intero drappello, che a differenza dei Legionari, avevano un armamento leggero, con la cotta di maglia e non quella a piastre ed avevano lo scudo ovale più piccolo. Raggiuntolo, lo circondarono e fu allora che dimostrò il suo coraggio.

Combattè con ammirevole destrezza contro tutti, riuscì ad ucciderne tre, quando un colpo di lancia, lo colpì alla gamba sinistra, per cui cadde in ginocchio e fu in quel preciso istante che i rimanenti soldati gli furono addosso, trucidandolo a colpi di daga e di lancia.

Poi, con i piedi, rovesciarono il corpo esamine, nel flusso di acqua, che indifferente, ai fatti e misfatti degli uomini, continuò la sua corsa verso la pozza che costituiva la piscina.

Con la morte di Kosan, morì anche la speranza del ricordo di Giacomo il Giusto, della Sua dottrina che il fratello Gesù gli aveva inculcato e delle opere sante che Egli aveva proseguito a compiere dopo la Sua morte sulla croce.

Saulo di Tarso, aveva vinto.

Infatti dal momento in cui la città di Gerusalemme ed il suo Tempio, vennero rasi al suolo dai legionari romani, la sua popolazione subì una terribile carneficina e furono cambiate tutte le carte in tavolo per gli Ebrei, specificatamente per gli autentici eredi del Cristo e per il mondo intero.

Fu a quel punto che Paolo ed i suoi seguaci ebbero il campo libero per agire e predicare e tutti coloro che potevano eventualmente contrastarli e testimoniare la vera parola di Gesù, furono costretti a nascondersi o fatti prigionieri e nella peggiore delle ipotesi massacrati dai Romani.

Il vero messaggio evangelico professato da Giacomo e degli altri fratelli di Gesù, venne quindi soppiantato da un Cristianesimo (quello Paolino) che si tradusse in un calderone di concetti Ellenistici mescolati a concetti Pagani e Giudaici.   

Ora la domanda che dovremmo farci è soltanto una: “chi realmente conosceva ciò che Gesù voleva trasmettere attraverso i suoi insegnamenti, ovvero le sue parole e ciò che predicava?”

Giacomo, il Giusto, fratello ed apostolo di Gesù, scelto da Gesù stesso come suo succesore nel Vangelo di Tommaso o Paolo, cittadino Romano, che senza neppure conoscere Gesù, lo divinizza e ne fa un Dio delle genti!

La risposta, per quanto ovvia, resta sepolta in quel periodo buio, oscuro, dai primi anni del Cristianesimo.

Per una maggiore comprensione di quanto scritto, narrerò per brevi tratti quanto ci è stato tramandato dagli storici e dagli apologisti, sulle due figure emergenti del presente racconto.

Giacomo il minore, detto il Giusto, fratello di Gesù, ha un ruolo determinante nei primi anni del Cristianesimo ed è considerato da molti storici e non solo, il vero successore di Gesù.

La discussione relativa alla successione di Gesù è stata sempre la più calda in assoluto, visto che ne derivò la paternità vera e propria di ciò che noi oggi chiamiamo Chiesa e Cattolicesimo.

Pare strano, quando nel Vangelo apocrifo di Tommaso, guarda caso non accettato dalla Chiesa, troviamo la seguente affermazione: i discepoli dissero a Gesù “sappiamo che tu ci lascerai!” “Chi sarà la nostra guida allora?” Gesù rispose: “ovunque siate, andate da Giacomo il Giusto, per amore del quale, sono stati fatti il cielo e la terra”.  

Epifanio di Salamina, uno dei primi Padri della Chiesa nel suo libro “Contro le eresie”, descrive Giacomo, come “il primo degli uomini a cui il Signore affidò il suo Trono sulla Terra”.

Parole pesanti come macigni per la Chiesa Cattolica e di cui troviamo conferma persino nel Nuovo Testamento, negli atti degli Apostoli in cui si parla di Giacomo come del “primo Vescovo di Gerusalemme”.

E’ palesamente chiaro a questo punto che il primato riconosciuto a Giacomo, metterebbe in crisi il primato di Pietro e di Paolo cui si è fondato il potere di Roma nei secoli.

Infatti per noi cattolici, il fondatore della Roma Cristiana, fu insieme a Paolo (Saulo di Tarso), l’apostolo Pietro, rivestito dalla dignità di Primo Papa da Gesù Cristo stesso: “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa”.

Il 23 ottobre 2002 in una conferenza stampa organizzata a Washington dalla Byblical Archeology Review, dava l’annuncio della eccezionale scoperta del rinvenimento dell’urna funebre di Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù, avvenuto in Israele.

L’ossario in pietra calcarea, che gli archeologi hanno datato del 63 d.C. (ricordo che Giacomo detto il  “minore” morì lapidato nel 62 d.C.) riporta una sorprendente iscrizione in lingua aramaica “Giacomo figlio di Giuseppe, fratello di Gesù.” 

Da una parte dunque la scoperta dell’ossario di Giacomo, rappresenterebbe la prima prova materiale tangibile dell’esistenza di Gesù e dall’altro la conferma che Gesù di Nazareth non era unigenito, ne aveva natura ultraterrena. Gesù, seppure autorevole e degno di lode, era uomo tra gli uomini. 

Lo strettissimo legame con Gesù, legame che va ben oltre  alla fratellanza spirituale è l’importanza di Giacomo (Iacobus minor) detto “il Giusto”, figlio di Maria e Giuseppe, fratello del Signore “ il quale si spegne nella morte ma verrà trovato vivo”, nell’ambito della Chiesa primitiva è da alcuni oggetto di prolungata controversia politico-religiosa, nonostante trovino conferma nei numerosi documenti che di seguito elenco.

- Giuseppe Flavio “ Antichità Giudaiche XX,9,1 “convocò una sezione del Sinedrio e fece comparire il fratello di Gesù, detto Cristo che si chiamava Giacomo;             

-Paolo: Epistola ai Galati 1,19 lettera alla Chiesa della Galizia, Controversia sul Giudaesimo….” E non vide nessun altro degli apostoli, ma solo Giacomo, il fratello di Gesù”;           

-Marco; VI, 2-3 “si mise ed insegnò nella Sinagoga. E’ molti, vedendolo dicevano: non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, e le sue sorelle, non sono tra di noi?”     

 -Matteo XIII 55 “non è questo il figlio di Giuseppe? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo? E le sue sorelle non sono tutte tra noi?”      

-  I Corinzi IX. 5 “non abbiamo noi il diritto di condurre attorno una moglie, che sia una sorella in fede, come fanno anche gli altri apostoli; i fratelli del Signore a Cefa”;            

 -Matteo XXVIII 56 “fra di noi  c’era Maria Maddalena, Maria, madre di Giacomo il minore”;            

-Marco XV.40 “passato il sabato, Maria Maddalena e Maria madre di Giacomo”:     

-Luca XXIV “or quelli che riferirono queste cose agli apostoli sono Maria Maddalena, Giovanni, Maria madre di Giacomo e le altre donne”.               

Saulo di Tarso, l’apostolo dei Gentili, ovvero il principale (secondo gli atti degli Apostoli) missionario del Vangelo di Gesù tra i pagani ed i romani.                        

 Era un Ebreo ellenizzato, che godeva della cittadinanza romana. 

Non conobbe direttamente Gesù e come tanti altri corregionali avversava la neo istituita Chiesa Cattolica, arrivando a perseguitarla. 

 Si converti al Cristianesimo, mentre, recandosi da Gerusalemme a Damasco, per organizzare la repressione dei Cristiani della città fu improvvisamente avvolto da una luce fortissima e udii la voce del Signore che gli diceva: “Saulo, Saulo perché mi perseguiti?” 

 Reso cieco da quella luce divina Paolo vagò per tre giorni a Damasco, dove fu guarito dal capo della piccola comunità Cristiana di quella città, Anania. 

 L’episodio noto come la “conversione di Paolo” diede inizio all’opera di evangelizzazione di Paolo. 

Fatto imprigionare dagli Ebrei a Gerusalemme, con l’accusa di turbare l’ordine pubblico, fu condotto a Roma, dove durante la persecuzione di Nerone nell’anno 66 d.C. venne decapitato, 

Dopo aver sufficientemente descritto le alte figure dei due personaggi, artefici della religione Cristiana, della quale, ripeto, noi ne facciamo parte, lascio liberamente a voi, miei lettori, il compito di valutare chi dei due fu veramente il vero prosecutore e divulgatore del vero verbo di Gesù detto il Cristo: fu forse Giacomo, suo fratello in carne e nello spirito, suo discepolo e seguace? Oppure Paolo, ovvero Saulo di Tarso, che non aveva mai conosciuto in vita Gesù, che anzi prima perseguitò i suoi seguaci e poi convertitosi, divenne l’evangelizzatore dei Gentili?

 A voi dunque la piena liberta di scelta, indipendentemente dalla dottrina religiosa che voi professate. 

 

 

Brindisi, 2 gennaio 20017.