Il linguaggio delle stelle


Quando Teodoro D'Amici andò a bussare a casa delle sorelle Mele, cercava il loro fratello Giuseppe, geometra, che viveva a Francavilla e lavorava all'Ente Riforma. Teodoro stava già pensando a tirare su una copertura per il muro di Jaddico, e cominciava a guardarsi intorno per capire come stavano le cose: a chi appartenessero quei terreni, se all'Ente Riforma, come si diceva, oppure no.

Alle sorelle Mele apparve però piuttosto scoraggiato, e lo lasciarono sfogare. Disse che si sentiva solo, incompreso, e si lamentava del fatto che non poteva parlare con nessuno dell'esperienza religiosa che stava vivendo. “Non mi credono – diceva – mi prendono in giro”.

Loro lo ascoltarono, lo incoraggiarono, poi si fecero curiose: “Senti, Teodoro, quando tu devi vedere la luce, hai qualche segno?”

“Si signorine, mi avvisa”.

“E come ti avvisa?”

“Di pomeriggio. Sogno di pomeriggio; altre volte vedo cose intorno al muro come dei segni”.

Si lasciarono con l'intesa che le avrebbe invitate una sera a Jaddico appena avesse ricevuto un “avviso”.

* * *

Una sera, erano i primi di ottobre, le cinque sorelle stavano tutte insieme davanti alla televisione a vedere “Campanile sera” quando tra i concorrenti si presentò un vigile urbano. “Ah! - fece a quel punto Maria, la più grande, 44 anni all'epoca dei fatti – me n'ero dimenticata! Fra poco passa Teodoro per portarci a Jaddico. Ma io dico che non è il caso di andarci. Io non ci vado e neanche voi dovete andare”.

Era la più grande e si sentiva responsabile anche per le sorelle. Ma quelle la pensavano diversamente, e quando Teodoro D'Amici arrivò, scesero tutte tranne Maria, che volle restare a casa: ”Con un uomo sconosciuto – mormorava – con un estraneo, in quelle campagne deserte, a quest'ora di notte”. Ma quelle non l'ascoltarono.

La macchina di Teodoro, una Fiat 1100 bianca, era piena: davanti era seduta una signora che seppero poi essere la moglie, dietro c'era una coppia più giovane: la figlia col marito e il loro bambino che stava dormendo. Le sorelle Mele presero posto nella loro cinquecento blu, quindi si avviarono, lui davanti e loro dietro, con un'andatura piuttosto lenta. Erano circa le ore 22. Intanto, lungo la strada, per darsi coraggio, cominciarono a recitare il rosario: meglio sempre affidarsi alla Madonna.

Arrivate a Jaddico, si trovarono in aperta campagna, una zona buia e deserta. Qui fermarono le macchine e scesero. C'era già sul posto un contadino dell'Ente Riforma, tale Cosimo Melacca, con una lanterna di quelle che si appendevano sotto i traini agricoli. La moglie di Teodoro, che parlava con un accento straniero, lo presentò come uno che era lì perché sapeva dire il rosario.

“Lasciamo la macchina qua – disse Teodoro – dobbiamo scendere” e s'incamminarono per un sentiero in terra battuta. Era tutto buio.

“Io mi attaccai alle sue costole – dice Marcella, la più giovane delle sorelle – era mia ferma intenzione di non lasciarlo nemmeno di un passo. Tremavo. Avevo un tremito che attibuii al vento, perché c'era un vento tremendo; ma non era il vento, era uno stato di tensione. Scendemmo in una scarpata. C'era un viottolo e scendemmo tra i vigneti e arrivammo davanti al muro della Madonna. Era all'aperto, tutto buio tranne il chiarore della lanterna; stavamo a quattro-cinque metri distanti dal muro”.

Teodoro propose: “Ce lo diciamo un rosario?”

“Un altro!” pensarono le sorelle, ma ormai c'erano.

Allora si misero a pregare con Melacca che conduceva la preghiera. Il silenzio era rotto da un incessante concerto di grilli, dal forte vento che soffiava turbinando, dalle auto che di tanto in tanto passavano veloci sulla vicina strada statale. Terminato il rosario, restarono ancora un po' così, in attesa di qualcosa, ma non succedeva niente. Teodoro accese un cero rosso e lo sistemò in una cavità del muro che si trovava in basso a destra al riparo dal vento. Depose anche dei fiori.

Poi si rivolse alle sorelle Mele: “Non è successo niente – disse tutto mortificato – mi dispiace, non è successo niente”.

Era desolato perché le aveva scomodate e fatte uscire di casa a quell'ora, e le aveva portate fin là con tutto quel disagio, e non era successo niente.

“E va bene, Teodò – dissero le ragazze cercando di consolarlo, perché si vedeva che era proprio avvilito – non ti preoccupare, sarà per un'altra volta; ora andiamo via”.

Montarono in macchina e si avviarono per il ritorno, ma quando furono sulla strada, all'altezza del muro della Madonna, Teodoro, che andava avanti, si fermò. Si fermarono anche loro.

“Perchè ti stai fermando?” chiesero.

“Noi siamo abituati – rispose Teodoro – che a questo punto, prima di andare via, diamo un ultimo saluto alla Madonna dicendo tre Avemarie.

Allora scesero di nuovo tutti dalle macchine; tranne Esmeralda, trent'anni, la terza delle sorelle, che volle restarsene in macchina dicendo di avere freddo. La verità era che cominciava ad essere piuttosto scettica, e poi, fuori, l'atmosfera non era davvero invitante: quella sera il vento soffiava in modo pauroso e contribuiva a rendere più lugubre l'ambiente. Anche i fari delle due macchine erano spenti. Era tutto buio, non c'era la luna.

“Comunque -ricorda Marcella – io mi sono posta accanto a Teodoro mentre dentro di me mi dicevo: “E no, bello mio, tu là e io qua, affianco a te, io devo vedere che cosa fai!” Le altre mie sorelle stavano immediatamente dietro. Eravamo tutti rivolti verso il muro della Madonna il quale più che altro si intuiva perché si intravedeva il bagliore rossastro del cero acceso. Eravamo così disposti: Teodoro, alla sua sinistra i suoi familiari, alla sua destra io, Liliana e Tina. Esmeralda era rimasta in macchina.

Ad un certo momento – il ricordo mi emoziona ancora – il vento cessa. Di colpo. Da quella bufera di vento che si sentiva, con quell'ululato sinistro, di colpo, niente. Neanche più grilli. Un silenzio veramente spaventoso. Ed ecco, il mio sguardo venne attratto da una stella che si muoveva nel cielo e poi ha cominciato a scendere giù dal cielo, e bum!, è venuta a posarsi davanti a noi sul muro della Madonna, e il muro si è acceso di colpo, si è illuminato in una maniera indescrivibile. Loro, Teodoro e i suoi, caddero a terra in ginocchio. Di fronte a quello spettacolo io non seppi fare altro che dire: “Vergine Santa, misericordia!” Le ginocchia cedettero e caddi a terra in ginocchio anch'io, di schianto”.

Ma la stella, dov'era allorigine?

“La stella era in cielo – precisa Marcella – era dietro di noi, sopra di noi. La luce che solcava il cielo buio mi spinse a guardare in alto e in quell'attimo pensai: “Che cosa è questa cosa!” Allora vidi la stella che solcando il cielo veniva a posarsi sul muro. Arrivata lì, il muro si accese di luce mentre Teodoro gridava: “La Madonna cade!” perché il muro ondeggiava. Il lumino acceso che Teodoro aveva messo nel cavo del muro, ondeggiava, si muoveva da una parte e dall'altra benchè il vento si fosse completamente placato. Prima non si era mai mosso. Allora Teodoro si precipitò giù gridando: “Il muro crolla, il muro crolla, la Madonna cade”. Noi piangevamo dicendo: “Signore, Madonna mia, misericordia, abbi pietà di noi”.

Quando Teodoro arrivò al muro un'altra stella fece lo stesso percorso della prima, da sopra a noi scese dal cielo e ricadde sul muro illuminato, e il muro si spense. Il ventaccio tornò a farsi sentire, tornarono anche i grilli. Quando cadde la prima stella e il muro si illuminò, regnava il silenzio assoluto, né si sentivano passare le macchine sopra la strada. E in quel tempo che noi restammo tutti fermi sul ciglio della strada, non passò nessuna macchina”.

E le altre sorelle? Liliana, Tina, Esmeralda? Confermano la stessa versione; solo Tina vuole aggiungere qualcosa.

“Appena scesa dalla macchina – ricorda – mi tenni vicina a Marcella perché l'ambiente era pauroso per il buio e per il silenzio che regnava. Ad un certo momento fui attratta a guardare in alto e vidi una grossa stella molto luminosa che solcava il cielo lasciando una scia che scompariva subito. La seguii con lo sguardo e la vidi scendere non troppo velocemente e posarsi sul muro; e quando toccò il muro, che era al buio, il muro si illuminò intensamente, solo il muro, di una luce splendente, a giorno. Tremante, caddi in ginocchio, e pregavo: “Madonna mia, dispensa grazie”.

Il fenomeno durò circa un minuto, forse di più, finché scese un'altra stella dal cielo, si posò sul muro, e questo si spense, e tutto tornò come prima, sia il buio, sia i rumori”.

Ed ecco Esmeralda che era rimasta in macchina.

“Ad un certo momento sentii un vociare concitato, sentii gridare, uscii dalla macchina e vidi il muro illuminato, e le mie sorelle inginocchiate a terra. Per prima cosa mi guardai intorno cercando la fonte di luce che illuminava il muro, perché ero ancora scettica, ma i fari delle nostre macchine erano spenti e intorno non c'era nessuna altra fonte luminosa. Non c'era niente, non c'era nessuno. Il muro sembrava acceso dal di dentro. La luce sì, quella la vedevo, il muro illuminato lo vedevo, e malgrado lo scetticismo avvertii qualcosa di grande ed esclamai: “Madonna mia, Madonna mia!” Dopo mi venne anche un collasso perché pensavo: mamma mia, ho avuto diffidenza della Madonna. Allora caddi in ginocchio anch'io e mi prese un tremito che durò tutta la notte”.

E chi dormì quella notte! Il pensiero delle sorelle Mele girava e rigirava sempre intorno a quel muro diroccato che come un sole splendeva nella notte.