VIENI UN SERA E VEDI”

GLI DISSE TEODORO D'AMICI


Lo disse ad Alberto Del Sordo, conosciuto come “il Professore” per avere a lungo insegnato lettere all'istituto per Geometri. Sposato, quattro figli, pubblicista, cattolico fervente, Del Sordo è quello che si dice un uomo in vista, stimato, ben voluto anche in Curia di cui spesso ha interpretato umori e pensieri.

Quando scoppiò il caso Jaddico e apparvero i primi articoli sui giornali in cui si parlava della Madonna e del vigile urbano, Del Sordo restò in prudente attesa, come molti del resto anche nel clero. Si sapeva che lì a Jaddico, la sera, in aperta campagna, un pugno di fedeli si riuniva per recitare il rosario; che si radunavano davanti ad un rudere di muro con l'affresco scolorito della Vergine, che era tutto quel che restava di un antica chiesa appartenuta ai Cavalieri del Santo Sepolcro; e che questi incontri serali avvenivano perché voluti dalla Madonna.

Che cosa c'era di vero in quella storia? Ci si poteva credere?

Io – dice Del Sordo – Teodoro D'Amici non lo conoscevo per niente, nemmeno come vigile urbano”.

Un giorno stava andando a Bari con amici. Giunti all'altezza di Jaddico li pregò di fermare. “Solo un momento – disse – quanto arrivo un attimo vicino alla Madonna e vengo”.

Notò che si stavano facendo dei lavori, che si stavano tirando i muri laterali della nuova chiesa, ma non c'era nessuno. Tutto era deserto, silenzioso. Si mosse con circospezione. Il luogo era selvatico, circondato da rovi e canneti, e aveva in se qualcosa di “terribile” anche alla luce del giorno. “Impressionante” lo definì un'altro devoto di Jaddico, Vittorio Stasi, che vi si recò da solo un'altro giorno a portare dei fiori.

Alberto Del Sordo si fece coraggio e continuò il suo giro; ed ecco, dietro al muro diroccato si trovò davanti il D'Amici che si era caricato un tufo sulle spalle.

Un rapido scambio di occhiate. Neanche si salutarono. Come si fossero sempre conosciuti.

Questo lo devo portare via prima che sparisca – disse Teodoro riferendosi al tufo -. Poi tornerà”

Che cos'è quel tufo? - domandò Alberto che aveva già intuito tutto – E' quello su cui ha posato i piedi la Madonna?”

Si – rispose Teodoro – Si. La Madonna. Si, i piedi”.

Alberto gli si avvicinò e lo fissò dritto negli occhi: “Senti, Teodò, mo vado di fretta, non mi posso fermare. Se quello che stai dicendo è vero, io ti do una mano, anzi tutte e due. Però se non è vero, e si vedrà subito se è vero o non è vero, io con te sarò spietato. Ti metterò in condizione di dovertene andare via da Brindisi”.

Teodoro era noto per essere uno di poche parole; anche in quell'occasione non ne sprecò molte. Lo fissò a sua volta con uno sguardo fermo e sereno.

Vieni una sera – gli disse – vieni e vedi come stanno le cose”.

Così, dalla fine del gennaio del 1963, a cinque mesi dall'inizio di questa storia, il professore Alberto Del Sordo cominciò ad andare di sera a Jaddico. Lì avevano già costruito un riparo proprio di fronte alla Madonna, una sorta di tettoia di legno, una baracca, e lì si fermavano a recitare il rosario mentre Teodoro pregava stando vicino al muro antico. Vi trovò altra gente di tutto rispetto, gente semplice, di buon senso, contadini, artigiani, casalinghe, professionisti, persone concrete, toccate dalla fede e dal mistero insondabile di quella luce che improvvisamente nella notte illuminava a giorno la contrada.

E c'erano altri fatti “strani”: i profumi misteriosi, i movimenti delle stelle, i silenzi, le sospensioni del tempo....

Del Sordo era sempre lì con gli occhi aperti che registrava tutto, osservava, ascoltava, rifletteva. E poi riferiva. L'Arcivescovo Nicola Margiotta voleva notizie su Jaddico tutti i giorni. La Chiesa non aveva ancora preso posizione su questo evento: non lo aveva riconosciuto, ma non lo aveva neppure negato; lo seguiva con discrezione controllando che non sfuggisse di mano.

Del Sordo invece sembrava già “convertito”; si sentiva ormai parte della cerchia ristretta degli uomini, tutti laici, che poi sarebbero confliuti nei “Servi della Madonna”, una associazione sorta per affiancare l'opera di Teodoro D'Amici per Jaddico. Ma c'era qualcosa che manvava ancora ad Alberto, ed era l'esperienza della “luce”, quasi una forma di iniziazione da condividere coi membri del gruppo storico. E venne la luce. La prima, perché l'ha vista due volte.

Se l'aspettavano la sera dell'undici febbraio per la ricorrenza della Madonna di Lourdes. C'era tanta gente. Oltre i soliti devoti c'erano molte facce nuove, anche delle suore, due preti, giornalisti, studenti, curiosi.... tutti si aspettavano di assistere a qualcosa di clamoroso. Ma non successe niente.

La sera seguente, il dodici febbraio, di gente ce n'era poca, la solita. Ed ecco, di colpo, all'improvviso, la luce!

Ho visto tutto il muro illuminato – dice Alberto – tutto il muro e la Madonna illuminatissima. Avrebbe dovuto esserci un faro enorme per produrre quell'intensità di luce, ma non c'era nessun genere di fonti luminose artificiali da quelle parti”.

La seconda volta che vide la luce misteriosa fu a maggio, la sera del ventisette. C'erano una settantina di persone. Ultimato il rosario, si spostarono come di consueto sulla strada per le ultime preghiere quando in un fiat il ridure si illuminò di luce intensissima, argentea, sicché lo sbiadito affresco della Madonna apparve come rinnovato nei colori della veste e del manto.

Calcolai – ricorda Alberto – che non meno di cento riflettori messi insieme avrebbero potuto fornire un trionfo di luce come quello. Una illuminazione che trascende come tutte le precedenti le umani possibilità. Dopo pochi secondi tornarono fittissime le tenebre mentre tutti in ginocchio piangevano e pregavano”.

Alberto tace, l'emozione è ancora forte, la si legge negli occhi. Ma c'è dell'altro che vuole dire, che sale dal profondo e gonfia il cuore.

La cosa che mi faceva più impressione – ricorda – quando avveniva l'illuminazione del muro, è che ci mancava il respiro. A me mancava il respiro. Non respiravo più. Ma mica stavo male, no. Semplicemente, non respiravo più. L'aria era ferma. Si fermava. Affianco al muro diroccato c'erano degli alberelli che con la cima si muovevano sempre perché erano sottili, bastava una leggera brezza per agitarne le cime. Quando stava per manifestarsi la luce si fermavano anche loro. Sembravano di ferro, non erano più vivi, restavano immobili, fermi. Non si muoveva più niente, più nessuno. Silenzio. Si fermava il respiro. Il respiro della terra e del cielo. Il nostro respiro”.


Vengono alla mente le parole dell'angelo dell'Apocalisse all'apertura del settimo sigillo.