TESTIMONIANZA DI RIZZO SALVATORE SU TEODORO D'AMICI


     Era il tempo in cui bisognava darsi da fare perché, mi dicevo, “poi” sarebbe stato troppo tardi! Sarebbe stato certamente tardi, perché oggi il signor Salvatore non c'è più.

     L'ho incontrato nel 2005 e, in quella registrazione e tra quelle mie carte, trovo annotato: a dicembre compirà 83 anni. "Ho fatto l'operaio nella ditta Chionna - mi dice Salvatore - facevo il fabbro ferraio. L'officina si trovava sulla salita che porta al Cimitero, sul lato sinistro, prima di Raimondino (detto pure Mondino) che vende i concimi per la campagna (anche Raimondino non è più in vita, ora in quel locale c'è un gommista). Lì ho imparato il mestiere, ho lavorato giorno e notte. Non mi pagavano, avevo famiglia, a quel tempo avevo due bambini. Poi quella ditta mi mandò disoccupato e per campare cercavo qualche lavoretto, finché non mi misi in proprio."

Dopo essersi presentato Salvatore inizia a descrivere la sua testimonianza.

Ho conosciuto Teodoro nel 1952/53. Teodoro, assieme ad un altro vigile urbano, spesso faceva servizio a Porta Lecce e quando le persone rientravano in città, se non tenevano il faro della bicicletta funzionante, ricevevano una multa. Era tanto severo. Ogni tanto "qualche d'unu ccappava" e gli faceva la multa di 3-4 lire da pagare al Comune.

Al rientro dal lavoro, un giorno, Teodoro ha fermato anche me. Entrai a Brindisi con la bicicletta: dinamo innestata, luce accesa, campanello funzionante. Ero in regola, ma lui mi ferma.

In quel tempo non c'erano macchine, solo qualcuna appena. C'erano solo biciclette e moto.

Io ancora non conoscevo personalmente Teodoro, però era conosciuto in città e lo rispettavo. Lui faceva il suo dovere. Non era arrabbiato (cattivo), era serio. Teodoro, inoltre, metteva ordine a tutte le bancarelle della piazza e, se qualcuno non esibiva il prezzo della merce, non lo faceva aprire.

Poi, dopo tanti anni, feci conoscenza con Teodoro.

Il primo incontro fu proprio in via Osanna, dove avevo aperto l'officina da fabbro.

"Mi aggiusti queste zappette?" disse. Poi, vedendo mio figlio Piero che era con me in officina, aggiunse: "Questo è figlio tuo?" "Sì", riposi.

E lui: "Quando mi trovavo a Porta Mesagne l'ho visto passare in bicicletta. Ho fischiato per farlo fermare, ma lui non si è fermato. Aveva un sacco di carbone dietro la bicicletta, però l'ho lasciato andare". Forse in questo modo voleva farmi sentire in debito, ma era un suo modo per mettersi in amicizia, un'amicizia che pure io volevo, perché lo rispettavo assai.

     Devo precisare che ancora non si erano verificati i fatti di Jaddico. Quelli accaddero dopo uno o due anni da quell'incontro.

     Un altro posto in cui Teodoro prestava servizio era dopo l'accademia navale, proprio all'incrocio che porta al Casale. Lì dirigeva il traffico nei giorni in cui al campo sportivo c'era la partita. In quei giorni poi, a partita iniziata, si affacciava al campo sportivo per seguire l'incontro.

Una volta mi disse: "Cè amu fattu ieri alla partita di calcio, mestru Salvatò?" "Teodò amu perduto", gli risposi. "Ahia hiai! Vabbè poi vincimu," concludeva lui.

Ma il 1962, l'anno in cui Teodoro vide la Madonna, non tardò ad arrivare.

Qualche tempo dopo quella data venne ancora da me perché a Jaddico avevano rotto la cassetta delle offerte: "Mestru Salvatò ma ffari nu favori. Si sono presi i soldi delle offerte della chiesa, ma ffari na cassetta, perché questa me l'hanno aperta, me ne devi fare una speciale. Tu sacciu ca lavori forte e non ruberanno più la moneta".

Feci la cassetta e la feci di lamierino grosso: "Quant'è?", "No, no", risposi, perchè io per la chiesa non ho preso mai niente".

In un'altra occasione invece andai con mio figlio Nino, sul "campanaro" della chiesa di Jaddico, perché Teodoro voleva fatto un lavoretto che poi non feci più.

Venne ancora a trovarmi in officina: "Mestru Salvatò, mi devi fare questi anelli per i lampadari di Jaddico con la "M" in mezzo". Li ho fatti assieme a Piero, il mio figlio grande. Feci solo la "M" (di Maria), più un anello intorno. Me lo ricordo come fosse ieri. Ho lavorato fino alle due, le tre di notte.

Non gli ho mai chiesto nulla per Jaddico, anche se ormai la mia famiglia era aumentata: otto figli, tra maschi e femmine, più due dieci, con me e mia moglie.

Mi è sembrato sempre come un grande amico. Questa stima l'avevo già da prima, prima che lui venisse da me in officina, perche mi sembrava un cristiano serio, molto buono.

Lui si fidava di me come fabbro, tanto che gli ho fatto dei lavori a casa. Un giorno mi disse "Mestru Salvatò, dobbiamo fare un lavoro in campagna", e facemmo una ringhiera. Mi pagai onestamente.

Quando ho saputo quello che è successo a Jaddico e sentivo quello che la gente diceva, io l'apprezzavo. Ho conosciuto un Teodoro Nuovo perché, dopo che ha visto la Madonna, Teodoro era una Persona Cambiata “da un modo come stava a un altro”. Io l'apprezzavo come un Santo. Era molto cambiato. Non era più scherzoso, era molto serio, zitto e calmo.

L'ho rispettato prima e poi. Parlava poco e niente.

L'ultima volta che l'ho visto era all'angolo di corso Roma e mentre attraversava la strada, una macchina lo ha sfiorato.

Era l'ultimo periodo della sua vita. Io gli ho voluto bene assai. Era per me un fratello più grande.

L'ho rispettato sempre. Era buono!