Questo è lo spazio dove, da un po' di tempo inseriamo la foto del mese. Vi proponiamo questa, anche se non è di questo mese.

 

Lo abbiamo preso, lo abbiamo bloccato, lo abbiamo immobilizzato.

Il suo nome è Nino Fiume (il primo a destra). Ci ha sempre detto che non vuole essere fotografato. Ed eccolo servito.

 

Nino partecipa a tutti i pellegrinaggi mensili, rendendosi utile lungo il percorso. Ama rimanere nascosto e non essere fotografato per un senso di umiltà e di riservatezza. Auguri a nonno Nino e nonna Marisa, per il piccolo Lorenzino,  il nipotino nuovo-nuovo di appena 8 giorni. (Da sinistra: Riccardo, Tonino e Nino).

 

 

 

 

 

 

LA MADONNA DI JADDICO E IL VIGILE URBANO

La storia di Teodoro D'Amici, un cammino di fede che ha portato all'edificazione del santuario

(da Brindisi 7 – quindicinale di informazione della provincia di Brindisi anno XI n. 6 – 18 apr / 1 mag 2003)

 

 

     Raccolto in preghiera, Teodoro è in ginocchio davanti all'affresco. E' buio completo, solo si distingue il puntino rosso di un lumino acceso davanti alla Madonna. A qualche passo da lui (una ventina di metri) assistono in silenzio, compresi dell'evento, parenti e amici, undici persone in tutto.

Ad un certo momento si odono rumori provenienti da dietro il muro diroccato, rumori simili a quelli che fa il brecciolino scaricato da un automezzo. Teodoro, incuriosito, si alza per andare a vedere; ma quando si affaccia dietro al muro, gli appare la Vergine Maria nel suo splendore. E' in piedi, sopra un tufo. Dal palmo delle mani aperte e rivolte in basso si sprigionano fasci di luce che risplendono tutt'intorno e illuminano la scena e la campagna circostante per centinaia di metri. Tutti vedono la luce, solo Teodoro vede anche la Madonna e resta abbagliato dal suo fulgore. Cade in ginocchio davanti a lei, poi, vinto dall'emozione, si accascia al suolo, svenuto. Quando gli si avvicinano per soccorrerlo, la luce si “spegne” e torna tutto nelle tenebre. Ancora in ottobre si verifica un'altra illuminazione alla presenza di Teodoro, dei suoi familiari, di un contadino della zona, Cosimo Melacca, e quattro delle cinque sorelle Mele. In tutto nove persone.

Ricorda Marcella Mele: “La bufera di vento che ci aveva accompagnati per tutta la serata cessò di colpo. Tutti i rumori tacquero, compresi i grilli che fino a quel momento avevano tenuto un coro assordante. Calò un profondo silenzio. Ed ecco che il nostro sguardo fu attratto da una stella alta sulla nostra testa, che solcò il cielo e scese sul muro. In quell'istante il muro si accese di una luce sfolgorante vista da tutti. Anch'io, come gli altri, caddi in ginocchio per terra esclamando: Vergine Santa! Misericordia! Dopo una decina di secondi, una seconda stella si staccò dal cielo e seguendo il percorso della prima cadde sul muro e la luce si spense. Anche i rumori, il vento e i grilli, ripresero.”

Il 5 novembre il muro si illumina per la sesta volta. La luce rimane “accesa” più a lungo. Qualcuno misura il tempo: cinque minuti primi. Un fotografo presente nota che l'irradiazione si proietta per una distanza di circa quattrocento metri; nota inoltre che la luce non produce ombre. Teodoro D'Amici, in ginocchio davanti all'affresco, ode distintamente queste parole: “Ciò che tu vedi, gli altri non potranno vedere. L'acqua c'è.” Seguono altre manifestazioni luminose; in tutto saranno quattordici, l'ultima avviene la sera del 27 maggio '63 davanti ad una piccola folla di devoti in preghiera, non meno di settanta persone. Tra gli altri è presente il professore Del Sordo, studioso di storia locale, persona notoriamente vicina alla curia arcivescovile. Ecco come descrive il fatto: “In un fiat, il rudere si illuminò di luce intensissima, argentea, sicchè lo sbiadito affresco della Vergine apparve come rinnovato e vivo nei colori della veste e del manto. Calcolai che non meno di cento riflettori messi insieme avrebbero potuto offrire un trionfo di luce come quello. Dopo pochi secondi tornarono fittissime le tenebre, mentre tutti in ginocchio piangevano e pregavano.” La signora Carlina, vedova di Ugo Consales, uno dei più fervidi sostenitori di Teodoro, conserva di quei fatti una memoria lucidissima. “La luce – ricorda – non veniva dall'esterno, non c'era nessuna fonte luminosa esterna che si proiettava sul muro diroccato. Era piuttosto una luce interna, come se il muro con tutte le sue pietre e i mattoni sbrecciati modificasse all'istante la sua struttura fisica e chimica e diventasse un muro di luce. Un muro povero e diroccato che nel buio della notte risplendeva come un sole.”

Un amico di vecchia data di Teodoro, Rino Rescio, operaio metalmeccanico, che era presente quella sera, non trova facilmente le parole per descrivere il fenomeno. “Era buio – ricorda – eravamo riuniti in preghiera. Un po' prima di mezzanotte ci fu un grande silenzio intorno a noi, non si sentivano più neanche le rane del vicino acquitrino. Eravamo come fuori del mondo. Ad un tratto Teodoro gridò: “La luce! Ecco la luce!” e corse vicino all'affresco della Madonna e si inginocchiò. Subito dopo noi sentimmo un rombo simile al tuono che veniva giù dal cielo e si abbattè sul muro; allora esplose una fiammata tremenda, e tutto si incendiò di luce in tutte le direzioni, fino al cielo, mentre noi come accecati ci coprimmo gli occhi con le mani e cademmo in ginocchio piangendo. Un pianto spontaneo generale e irrefrenabile. Ci sentivamo piccoli piccoli davanti ad una realtà immensa.

Quella luce – continua commosso – è indescrivibile, era piena di stelline gialle, piccolissime, dorate. C'erano tanti fasci di colori insieme: celeste, rosso, rosa e naturalmente, bianco. L'affresco diventò uno splendore, ravvivato da colori purissimi. Durò pochi secondi, dieci-quindici, poi tutto ripiombò nel buio più totale. E quando Teodoro tornò da noi era inebetito, sembrava ubriaco; da lui e intorno a lui promanava un meraviglioso profumo di fiori che stordiva.”

Straordinaria è la testimonianza di Vittorio Stasi di Mesagne che ricorda quell'evento del 27 maggio di quaranta anni fa, e tutt'ora ne parla in preda ad una forte emozione. “Era buio. Il cielo stellato. Teodoro si staccò da noi e andò a inginocchiarsi davanti all'affresco della Vergine. Entrò in estasi e mentre era in quello stato, intorno si sentiva un meraviglioso profumo di fiori. C'era assoluto silenzio, non si avvertiva il minimo rumore. In quel momento sentii uno schianto e sul muro della Madonna, dopo il guizzo di un lampo,apparvero più di cento fiammellerosso fuoco. Appena queste si spensero il muro si accese di un bagliore solare che illuminò tutta la contrada.”

E Teodoro D'Amici? Come viveva quell'incredibile avventura? Cosa pensava lui stesso di quei fenomeni di luce e dell'apparizione della Vergine? Come ne parlava in privato, a quattr'occhi, coi figli e con la moglie? I suoi lo ricordano schivo e riservato anche con loro. Alla gente che lo fermava per strada assetata di curiosità, e gli chiedeva, lo pressava per sapere, per conoscere i fatti nei particolari, opponeva un silenzio ostinato.

Continuava a fare il suo lavoro: è rimasto nel corpo dei vigili urbani fino a quando è andato in pensione; intanto sempre più spesso tornava a Jaddico e vi dedicava ogni momento libero. C'era tanto da fare: ripulire il terreno intorno al muro, sarchiare, spianare, zappare, recuperare le macerie della vecchia chiesa, puntellare il muro, colmare i fossi, trovare l'acqua che la Madonna gli aveva detto di cercare, pensare a un progetto costruttivo di una chiesa che inglobasse l'affresco. Tutto da solo.

Tra quelli che fin dall'inizio seguivano i fatti di Jaddico e che gli si erano stretti intorno, primi fra tutti i fratelli Consales, molti si offrivano di contribuire alle spese, ma la sua risposta era “no grazie”, farò da solo perchè la Madonna l'ha chiesto a me; almeno il rustico della chiesa lo tirerò su con le mie sole forze, poi si vedrà.” E si tuffava in un'attività febbrile con l'aiuto di una squadra di muratori, come se volesse fare in fretta, come se quel lamento della Madonna (“ho tanto freddo, coprimi”) meritasse una pronta risposta. Sta di fatto che in pochi mesi il rustico è ultimato. Teodoro ha rispettato l'impegno; ora, per costruire il resto, completare e ampliare, ben venga l'aiuto di tanti devoti che si riversano numerosi: sorgerà la sacrestia, un porticato, un vasto piazzale per le macchine, un campanile.... ormai si pensa in grande, anche perchè le offerte, in denaro e in oro, arrivano generose. E la Chiesa, cosa pensava della cosa? Ufficialmente non ne parlava, ma teneva d'occhio quel movimento spontaneo che era sorto improvviso e si stava allargando intorno alla pietà del vigile D'Amici; il quale, accogliendo ora anche il contributo di tanti amici, portava avanti il programma dei lavori per la costruzione della sua chiesa. Per il momento non emergevano motivi d'allarme: la gente si limitava a ritrovarsi la sera a Jaddico per recitare un rosario e sperare nell'eventualità di un segno dal cielo. Non restava che vigilare con discrezione nell'attesa che maturassero i tempi e consentissero una lettura inequivocabile dell'intero fenomeno. Comunque, il vescovo Margiotta si teneva costantemente informato.

In meno di due anni la chiesa è sorta; col tempo è sorto un complesso di edifici con una casa-convento che è stata affidata ai padri carmelitani scalzi. L'otto dicembre 1965, ad appena tre anni dall'inizio dei fatti prodigiosi, alla presenza di diecimila fedeli e con rito solenne, la nuova chiesa è stata benedetta dal vicario monsignor Franco e dedicata a Maria,Madre della Chiesa; qualche anno dopo un altro vescovo, Settimio Todisco, la promuoverà santuario. Adesso è meta di pellegrinaggi.

Teodoro D'Amici è morto da dieci anni e un busto sul piazzale lo ricorda ai viandanti che si fermano a tutte le ore, di giorno e di notte, perchè la chiesa è sempre aperta, com'era all'origine, mille anni fa, quando era tenuta dai Cavalieri del Santo Sepolcro.

Ed è proprio nelle ore notturne, intorno alla mezzanotte, che la chiesa si anima di ombre che scivolano silenziose. Persone anche lontane dalla fede, che in quest'eremo solitario, lontano dal mondo e dalle suggestioni, nel silenzio della notte, trovano il coraggio di inginocchiarsi davanti ad un'antica e sbiadita icona di “madonna con bambino”.

 

                                                                                                                       Dario Amodio