IL FASCINO SEGRETO DI JADDICO E QUELLA LUCE MISTERIOSA

Nei ricordi dei fratelli Rescio

(tratto da “Il muro di Jaddico” di Dario Amodio)

 

 

“Un giorno – ricorda Elisabetta Rescio – la mamma mia, rientrando a casa, ci raccontò che si era incontrata coi fratelli Consales, Mario e Ugo, i quali le avevano parlato di quello che stava accadendo a Jaddico. “Lo sai che abbiamo visto la luce della Madonna? - dissero – Perchè non venite anche voi? Quant'è bello! È una cosa incredibile, una cosa che non si può descrivere”.

A casa c'era mio fratello Rino, che allora era giovane. “Noi non possiamo andare – disse – non teniamo la macchina, senza macchina non si può andare”.

“Senti – fece allora la mamma – io la macchina te la compro, però tu ci porti a Jaddico, anzi, ti impegni a farci fare là l'intero mese di maggio. Ci stai?” “Affare fatto!” rispose lui.

Comprarono una seicento e così, dall'inizio di maggio (1963) e per tutto il mese, Rino Rescio si recò ogni sera a Jaddico per accompagnare la madre e le sorelle.

“Era stupendo, - ricorda Elisabetta – in quell'ombra scura della sera dire il rosario in raccoglimento, era come stare in Paradiso”.

Non ha mai saputo però un fatto strano che il fratello ha sempre tenuto segreto.

“Appena arrivai la prima volta a Jaddico – ricorda infatti Rino – e vidi il muro con l'affresco della Madonna, immediatamente sentii una fortissima attrazione.

Non riuscivo a staccarmi. Sembrava come se fossi stato catturato da una calamita, da una forza misteriosa, invisibile, più forte di me. Ero sconcertato, ma non ne parlai con nessuno.

Al termine del rosario la riunione si sciolse ed io riportai i miei a casa.

Ma quella sera non riuscivo a dormire: mi rigiravo nel letto in preda ad una inquietudine che non mi sapevo spiegare. La visione di quel muro era continuamente davanti ai miei occhi. Alla fine mi alzai, mi rivestii e uscii di casa, presi la macchina e tornai tutto solo a Jaddico in piena notte. Non ebbi paura a tornarci da solo. C'era qualcosa che mi attirava in quel luogo, davanti a quel muro, e questa forza era più forte della mia paura. Quando arrivai non trovai nessuno. Restai lì per un po', recitai qualche preghiera, e alla fine, rinfrancato, feci ritorno a casa.

Anche in seguito quel muro ha esercitato su di me un fascino misterioso. E almeno due, tre volte la settimana (allora ero contadino), indipendentemente da mia madre e dal gruppo di preghiera, a diverse ore del giorno, sentivo il bisogno di fare un salto a Jaddico. Molte volte vi ho trovato Teodoro sempre occupato a fare qualcosa. Un cenno di saluto e poi ognuno restava raccolto nei suoi pensieri”.

Ma prima che si chiudesse quel mese di maggio del 1963 un altro fatto clamoroso doveva accadere: l'illuminazione del muro. Ecco come i due fratelli ricordano quell'evento.

Elisabetta: “Era il 27 maggio 1963. Era di sera tardi, intorno alle ore ventitrè. Una serata bellissima. C'erano una cinquantina di persone, forse di più. Stavamo tutti riuniti sulla strada non asfaltata, quella che oggi corrisponde più o meno al cancello d'ingresso che si trova tra l'attuale complanare e l'inizio del piazzale.

Noi stavamo là, aspettavamo, dicevamo preghiere, ma c'era nell'aria come un senso d'attesa, come se da un momento all'altro dovesse accadere qualcosa; io avevo paura al punto che dentro di me dicevo: “Meglio che non vedo niente”. A pensarci bene, non era nemmeno una vera paura, ma qualcosa che sentivo nel cuore legata all'attesa.

L'aria era silenziosa, non si sentiva volare una mosca. Però ogni tanto si avvertivano dei rumori, come un fruscio, nel canneto che si trovava nel canalone, cioè nel burrone che c'era tra noi e il muro della Madonna, tra la strada e la chiesa. Un canalone profondo dove c'erano anche rovi, rifiuti e sterpaglia, pietre di ogni dimensione e materiale di scarico.

Dunque, si sentivano questi rumori provenienti dal canneto, da dentro le canne. Uno strisciare come quando ci sono tanti serpenti. Qualcuno diceva: “Questi sono i diavoli”.

Ed ecco che all'improvviso abbiamo sentito un tuono forte e ci siamo buttati faccia a terra come tante pecore; e subito dopo si è diffuso un grande splendore che si stendeva sopra di noi, e somigliava al colore della luna. Non era bianco. Era una luce fosforescente, come se fosse azzurro, come la luna; non si capiva da dove usciva. Non si vedeva il muro.

Una cosa, pure che la racconti, non si può immaginare, non si può capire proprio. È una cosa differente da come la dici. Pure le pietre piangevano! Era una cosa che tremavi. Tutti! Noi dicevamo: “Madonna, proprio noi, cristiani che non capivamo neanche che significa la vera fede, che abbiamo avuto questo grande dono dal Signore”.

Tornammo a casa con una sensazione di smarrimento. Siamo rimasti così, svegli, tutta la notte, come ubriachi, imbambolati. Tutti erano rimasti sbalorditi. Pensa che uno, dopo che aveva visto la luce, si sedette sopra una pietra e non si muoveva. Non si muoveva. Rimase là non so per quanto tempo”.

Ed ecco lo stesso fenomeno di quella stessa sera come fu vissuto e come tutt'ora è vivo nel ricordo del fratello Rino Rescio.

“Io ho assistito alla illuminazione una sola volta: la sera del 27 maggio1963. Quella sera c'era un silenzio di tomba. Erano circa le ventitrè e trenta, non si sentiva passare una macchina, tacevano anche le rane del vicino acquitrino. Eravamo fuori del mondo. Ricordo che c'erano tante persone. Tutto ad un tratto sentii che Teodoro gridava: “Eccola, eccola!” e corse vicino all'affresco della Madonna davanti al muretto diroccato e si inginocchiò.

Allora sentii come un tuono, un rombo come un tuono che veniva dal cielo e arrivò sul muro ed esplose una fiammata tremenda, e tutto si incendiò di luce fino al cielo mentre noi come accecati ci coprimmo gli occhi con le mani e cademmo in ginocchio, piangendo. Mo' mi scappano pure le lacrime! - esclama Rescio, commosso, al ricordo di quel fatto -.

Era, quello di allora, un pianto spontaneo generale e irrefrenabile. Eravamo 50-60 persone. Tutti a piangere. Poi quando Teodoro venne da noi sembrava come assente e addosso aveva quel profumo che ti stordiva.

La luce, come l'ho vista io, sembrava composta da tanti colori. L'affresco raffigurante la Madonna col Bambino diventò uno splendore, colori vivissimi. Durò pochi attimi. Una luce più che solare. C'erano tante stelline, stelline colorate, gialle, dorate, piccolissime, ma ricordo anche venature di altri colori: celeste, rosso, rosa. L'occhio riuscì a reggere solo al primo impatto, ma poi dovetti abbassare gli occhi. Diventammo come delle formiche, ci rendevamo conto che stavamo davanti ad una realtà immensa, enormemente più grande di noi, e noi eravamo tutti delle formichine”.