Pellegrinaggio al Santuario di Jaddico - 27 giugno 2011

 

 

La sofferenza

 

     Vincenza Piconese, si legge sul giornale, è scomparsa a settantadue anni.

Invece no, era nel reparto di geriatria, parola di origine greca, il cui significato sta ad indicare il reparto dove vengono curate le malattie dei vecchi.

Gli assistenti sociali del suo paese, non avendola trovata a casa, avevano nel frattempo fatto denuncia della sua scomparsa.

Lei stessa legge sul giornale l’articolo a lei dedicato e spiega così il motivo di quella denuncia: “Sono sola e nessuno si occupa di me”.

A questo punto le malattie sono due, quella per cui è stata ricoverata, e l'altra il cui nome è “solitudine”.

L'articolo risale al 25 maggio scorso e mi consente di parlare degli ammalati, di queste persone che spesso restano relegate in case senza poterne più uscire.

Ne parlo perché io e il gruppo con cui mi incontro durante la settimana per il momento della preghiera, abbiamo sviluppato una particolare sensibilità verso queste persone.

Questa stessa sensibilità apparteneva anche ai “Servi della Madonna” che a partire dagli anni 1962-63 si sono interessati del Santuario di Santa Maria Madre della Chiesa (Jaddico).

Nel primo statuto della “Pia Associazione dei Servi della Madonna”, nell'art. 22, si leggeva:

“Ai soci è riservato il privilegio di accompagnare e servire gli ammalati che avessero desiderio di visitare la Chiesa.”

Nel nuovo statuto della “Pia Associazione dei Servi della Madonna”, nell'art. 11 si legge:

“ …........ Si impegnano inoltre a pregare singolarmente o in piccoli gruppi, nelle case stesse degli ammalati, incoraggiando a fare generosa offerta della sofferenza per la conversione dei peccatori.”

Nell'art. 20, invece: “I soci si renderanno sensibili nei riguardi degli ammalati che visiteranno il Santuario.”

     Coloro che fanno esperienza della sofferenza, della malattia, non sono persone che vivono su un altro pianeta ma vivono vicino a casa nostra, anche se spesso capita che non siamo capaci di vederle. Eppure loro stessi gradirebbero una nostra visita, fatta in maniera discreta e sincera, fatta con amore. Solo allora risuoneranno nelle nostre orecchie le parole: “Ero malato e mi avete visitato.”

Appena tre anni fa, svegliandomi al mattino, mi sono subito accorto che da un orecchio non sentivo assolutamente nulla. In quel momento, io che non avevo mai conosciuto la vera sofferenza, ho capito quanto siamo fragili.

Al mattino ci possiamo svegliare con la preoccupazione di una malattia della quale sapremo di più appena ci consegneranno le analisi o le radiografie appena fatte, e con la domanda che risuona nella mente e con la quale ci si chiede: “Che ne sarà di me?”

Siamo fragili, tuttavia pensiamo di possedere il mondo, di poterci imporre sugli altri, e non capiamo che basta un soffio per entrare nella dimensione della malattia.

Antonio è un ragazzo che da piccolissimo ha iniziato a manifestare i primi sintomi della sua malattia. Il suo male, a piano a piano, lo ha costretto su una sedia a rotelle, gli ha impedito di poter parlare bene, di frequentare la scuola, di imparare a leggere e scrivere, di poter giocare con i coetanei, di vivere una vita normale, di stare seduto correttamente, di usare normalmente le mani.

Alessandro chiede al Signore perché non può godere di buona salute, “Perché? Prima mangiavo con appetito, adesso non più.” Ma la sua malattia è ben più grave di quello che raccontano queste righe.

Anna è in terapia a causa della leucemia.

Albino: non lo vedevo da prima di Natale. Appena ci siamo incontrati, mi sono subito reso conto che c’era qualcosa che non andava.

- “Leucemia”, mi ha detto.

Sembrava avesse cambiato gli occhiali, ma non era così, gli occhiali erano sempre gli stessi ma il suo viso si era asciugato, era diventato più piccolo.

Sofia non vede e non sente e non ha nemmeno un anno.

Salvatore ha 95 anni. Dopo la preghiera si è rivolto al Signore, lo implorava, e in dialetto lo supplicava e gli diceva: “Perchè mi tieni ancora in vita, hai chiamato a Te Nunziatina (la moglie), hai chiamato a Te (qui tutta una serie di nomi), e a me, perchè non mi chiami?

Prendimi con te, cosa aspetti. Prendimi con te, ma cè mali taggiu fattu. Perchè non mi vuoi?, e sono pure di peso a casa, perchè i miei figli mi devono stare sempre appresso.”

Un'altro Salvatore: l'ho chimato al cellulare perchè si era appena ricoverato all'ospedale di Lecce per aver completamente perso l'udito da un'orecchio, e mi ha detto: “Prega per me, ma soprattutto prega per tutte le persone che stanni qui dentro, perchè tutte hanno bisogno di aiuto.”

Quando fai la conoscenza di queste persone, ti accorgi di avere tanto ancora da capire. Questo succede quando ti passa accanto un angelo di nome Giuseppe che ti dice: “Io ci vedo perché vedo con gli occhi del cuore.”

Giuseppe è un non vedente. Lui non si lamenta di questa menomazione, anzi, come ho già detto, afferma di vedere.

Allora io mi domando: “Ed io allora, fino ad oggi, cosa ho visto?. Ho visto solo poco oltre il mio naso!”

Sarà bene allora chiudere gli occhi per non vedere più, ed usare il cuore per essere come lui, come quell’angelo e vederci molto di più e molto meglio di prima.

Tante persone chiedono preghiere e tu pensi di avere capito tutto, ti rendi conto che al mondo esiste la sofferenza e che è arrivato il momento di pregare, perché è sicuramente la cosa più giusta, più importante da fare.

Allora quando quell’angelo ti esorta a vedere con gli occhi del cuore, tu pensi di dovergli dire una parola di conforto, e invece ti rendi conto che è lui che ti sta incoraggiando, consolando, confortando: è lui la tua forza, è lui il tuo sostegno, è lui il tuo coraggio, è lui il tuo conforto, è lui la tua fede.

Solo ora hai finalmente compreso che nel mondo c’è la malattia, che ci sono persone che soffrono, ma capisci anche che questa malattia viene vissuta dignitosamente, nonostante la sofferenza e il dolore.

Queste persone, spesso in solitudine, in silenzio, in segreto, hanno il volto rigato dalle lacrime per dare sfogo al proprio dolore, finché non si mettono nelle mani di Dio e, finalmente in questo modo, trovano pace, speranza e gioia.

 

     E adesso riportiamo una delle tante pagine scritte da Matteo, un ragazzo che è salito sulla croce della sua malattia e ha accettato di soffrire per la salvezza delle anime e morire per amore Suo. Un ragazzo del quale sono convinto di poter dire che vive alla presenza di Dio.

 

La sofferenza

 

Un giorno giochi con i tuoi amici, ridi e sei felice.

Poi all'improvviso lei,

la sofferenza, la malattia.

Senza neanche accorgertene vieni catapultato in un mondo

che non ti sembra il tuo.

Sembra tutto impossibile, credi che queste cose

accadano solo nei film.

Finalmente torni a casa: il Signore è grande, che gioia.

Credi di essere guarito, ma poco dopo ti ritrovi

di nuovo a soffrire. Non riesci a crederci.

Credi che tutto ti stia crollando addosso.

Inaspettatamente, in un pomeriggio che avresti definito

comune, che avresti sprecato come al solito a rattristarti,

incontri un umile sacerdote, semplice ma saggio.

Sotto la sua guida ti riagganci a Dio;

ritrovi la gioia, la speranza.

Torni a casa, tra parenti e amici,

e tutto va splendidamente, sempre meglio.

I medici non si spiegano i miglioramenti;

ma tu invece lo sai, e ridi...

Vorresti gridare al mondo che faresti tutto per il

tuo Salvatore, che sei pronto a soffrire per la

salvezza delle anime, a morire per Lui.

Avrai modo di dimostrargli il tuo amore...

 

Matteo Farina

 

Anche Gesù, quando incontrava un ammalato, Lui che vedeva il buio dei peccati di quegli uomini che con fede gli chiedevano la guarigione, si commuoveva.

                                                                                                                                  u. p.