27 febbraio 2011

ATTENZIONE:

Durante lo scorso pellegrinaggio di febbraio, ci siamo scordati di comunicare che a causa del cambio di orario, in questo mese di marzo, la partenza sarà alle ore 15.30 e non alle ore 14.30.

Abbiamo atteso il ventisette di questo mese. Finalmente tanti e tanti nuovi, che aderiscono a questa pia devozione, oggi si sono potuti unire a noi in occasione della giornata festiva per raggiungere a piedi il Santuario di Jaddico. Eravamo più di cento.

 

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“Non lasciateci soli”

 

 

“Non vi scordate di me”, ci ha detto una ammalata nella cui casa andiamo a pregare.

Anche il nostro amico novantaquattrenne ha affermato la stessa cosa, anzi lui ad uno di noi ha detto esattamente così: “No ti scurdari ti Salvatori, ca iu ti vogghiu beni”, e in un'altra occasione, sempre lui: “Ogni tanto chiamatemi al telefono, perché io non vedo più bene, e non sono in grado di fare il vostro numero per chiamarvi”, ed infine, quando lo abbiamo incontrato pochi giorni fa, ha detto: “Questa è l'ultima volta che ci vediamo”.

“Quando verrete la prossima volta?”, ci chiede un altro di loro.

E ancora un altro ammalato: “È da tanto che non venite a pregare a casa mia.”

Ma può anche capitare di andare a trovare una ammalata di Alzheimer, e, quando a Giovanni chiedo se Rosa Maria mi ha riconosciuto, mi risponde di no. Mi dice che è lì, in quel letto, da dove ogni tanto ci regala quel suo sorriso triste.

Si va per dare conforto all'ammalato, ma quando si è lì, ci si rende conto che la persona da incontrare è in realtà chi accudisce l’infermo. Non ci si deve preoccupare di essere di compagnia, o di essere capaci di dire qualcosa, perché dall'altra parte è tanta la voglia che qualcuno sia andato a trovarli, che lui racconta, come ha fatto Giovanni, tutte le fasi della malattia, sin dal suo nascere, i farmaci prescritti, e il problema del decubito con tutti gli interventi resisi necessari.

Rosa Maria: una istituzione per la nostra parrocchia. Era lei che nei momenti liberi dagli impegni di lavoro, o dall'accudire la sua vecchia mamma, si recava in una apposita sala della nostra Parrocchia, dove c'era il necessario per confezionare le fragranti ostie che il sacerdote avrebbe utilizzato durante le funzioni religiose.

Anche io, con Chicco e Chiara, i miei figli, quando erano ancora piccoli, mi recavo in quella sala della Parrocchia, da Rosa Maria, e lei ci dava i ritagli, che metteva in un “cartuccio”, un pezzo di carta al quale dava la forma di un cono. I miei figli sentivano sotto i denti quella fragranza, quel croccante che spesso veniva mangiato, ancor prima di andar via.

Non sempre è facile entrare nelle case degli ammalati per pregare con loro, ma, quando questo accade, sono loro stessi che ci chiedono e ci sollecitano la preghiera nelle loro case.

Naturalmente questo non ci rende orgogliosi: per noi è solo un servizio e sensibilità nei riguardi di chi soffre anche se sono pochi i giorni della settimana, così come quelli di un mese e quelli di un anno.

Andiamo via dopo aver pregato con loro prima con il Rosario, poi con la Coroncina della Divina Misericordia, seguita da una breve spontanea conversazione che mette in risalto il clima di amicizia instauratosi.

È in questo momento che ci sembra di sentire un grido silenzioso ed assordante con cui ci dicono: “Non lasciateci soli.”

Ma credo che, a questo punto, sia necessario partire dall'inizio e spiegare come nasce la preghiera nelle case.

 

Poco più di sei anni fa pensavo al mio amico Pino Ribezzo.

Erano passati alcuni mesi da quando non usciva più da casa. Stava molto male. Tutti in parrocchia si erano accorti della sua assenza, perché durante la messa era sempre presente. Ogni sera lui animava la celebrazione con la sua voce da basso e con la musica, ma da qualche tempo non era più così a causa della sua malattia.

Per questo motivo decisi di andarlo a trovare, facendomi precedere da una telefonata. Rimase molto contento quando mi vide e fu bellissimo rimanere con lui e intrattenermi a lungo a chiacchierare.

Era seduto sulla sua poltrona, e la prima cosa che mi disse, anzi mi sussurrò appena mi avvicina per abbracciarlo, fu: “Tonì, sto morendo.”

Alla morte non ci si può sottrarre, e Pino viveva questa fase della sua vita in tutta la sua consapevolezza.

Ma come potevo dirgli che la morte è solo una trasformazione? Come potevo dirgli che la morte è il passaggio necessario per entrare in una vita nuova? Forse per confortarlo dovevo ricordargli quanto Gesù, prima di morire, aveva detto al ladrone pentito: “In verità ti dico, oggi sarai con me in Paradiso.” E poiché ho avuto modo, per tanto tempo, di frequentare e conoscere Pino, posso dire che viveva questa sua malattia offrendola al Signore, proprio come aveva fatto Paolo quando, negli Atti, dice che quello era il modo di completare le sofferenze di Cristo.

Con quella visita pensavo di essere a posto con la mia coscienza, ma dopo poco più di venti giorni, ho sentito la necessità di tornare a trovarlo.

A Pino e sua moglie ho detto che non ero bravo nella conversazione, per cui sarei potuto tornare da loro, se volevano, per un Rosario. Ci sarei tornato anche con la mia mamma che ormai si serviva della sedia a rotelle per muoversi.

Hanno accettato.

Il giovedì successivo, appena uscito dall’ufficio, sono passato dalla casa della mamma, e con lei ho percorso la breve strada che ci separava dall’abitazione di Pino. Qui, mentre ero sul marciapiede, ho sbagliato a suonare il campanello: anziché suonare il primo in basso a destra, ho suonato il primo in basso a sinistra. Mi sono reso conto dell'errore, quando si è affacciata alla porta Anna De Marco, che con noi, ogni ventisette del mese, veniva in pellegrinaggio a piedi a Jaddico. Le ho detto che avevo sbagliato a suonare, e che dovevo andare a casa di Pino per un Rosario, a quel punto lei mi ha risposto: “Vengo anch'io, vado a prendere la mia coroncina.”

Questo è stato il primo rosario nelle case degli ammalati. Prima di congedarmi da Pino, da sua moglie Maria e da Anna, ho assicurato loro che ci saremmo visti dopo una settimana, sempre di giovedì, per un altro Rosario.

Prima di quel giovedì, Ada D'Ambrosio, una signora che abita a fianco del mio portone, è venuta a trovarmi a casa di sera, per propormi di iniziare a pregare con il Rosario nelle case. Io le ho risposto esattamente così: “Ada, non so cosa sto facendo, ma forse questa esperienza l'abbiamo appena iniziata.”

Per questo motivo il giovedì successivo, a casa di Pino, oltre ad Anna, c'era anche Ada.

Nel frattempo, per correttezza, ho parlato con il sacerdote della mia Parrocchia, per sapere se la mia iniziativa fosse corretta e giusta. Mi ha risposto che se queste famiglie liberamente gradivano questo intervento, era una cosa buona, e inoltre mi suggeriva di proporre questa preghiera in maniera semplice.

 

                                                                                                                                        u.p.